C’era una volta la Lega Nord (cap.6)
C’era una volta la Lega Nord A cura di Attilio Eridanio Capitolo 6 |
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Conclusione (Prima parte) Finisce qui la, storia della Lega Nord dalle sue origini a oggi, abbiamo visto già alla fine del racconto le differenze tra la vecchia Lega Nord e la Lega Salvini Premier, qui però non si tratta di vedere se quelle che erano le ragioni che avevano dato il via alla esperienza del movimento leghista siano cambiate, ma quanto la attuale Lega si sia discosta da quella famosa “linea tracciata” di Umberto Bossi e soprattutto andare a verificare se ambedue le esperienze, quella bossiana e quella salviniana abbiano realizzato le istanze oggettive di quelle forze territoriali e socio-economiche che avevano dato le basi del movimento delle leghe. Per decidere se ci siano riusciti non si può, qui, non ricordate uno dei personaggi fondamentali nel panorama del movimento leghista, la figura cioè di Gianfranco Miglio. Il personaggio di Gianfranco Miglio è fondamentale per capire la ragioni e gli sviluppi dia in positivo che in negativo del movimento Leghista ed è, senza dubbio, l’unica figura di rilievo che possa condividere con Umberto Bossi un ruolo centrale nella storia della Lega. Miglio era uno scienziato politico molto accreditato sul piano internazionale per le sue teorie sullo stato moderno che poneva in discussione la validità dell’impianto costituzionale italiano del 48, studioso di Lorenz Van Stein e Carl Schmitt, aveva disegnato un assetto costituzionale alternativo per l’Italia che funzionasse come un ottimamente lubrificato meccanismo ideale che purtroppo intuiva non praticabile stante l’incapacità e non volontà dei politici di allora a procedere verso la sua tanto auspicata riforma costituzionale. Bossi e Miglio Scartando, per cui, il comportamento dei vari partiti di massa (DC e PCI), cominciò ad osservare l’insieme delle leghe e leghismi che percorrevano il varesotto e il comasco. Quando poi nel 90 la Lega Lombarda raggiunse il 69% in Lombardia, Miglio fiuta la novità che partitocrazia e un egualitarismo spinto hanno travolto una Costituzione che per altro già zoppicava già dalle origini. Bisogna fare in fretta, tutti i difetti dello Stato stanno venendo a galla, Miglio allora si chiese se non fosse il momento di avvicinarsi a quanti operavano nel confuso magma del leghismo, per verificare se si potesse mettere in pratica il suo modello di nuova costituzione di tipo federalista. Miglio di accorge presto che i suoi articoli sul Sole 24 Ore venivano letti con interesse dai quadri dai quadri della Lega, come un intervento che nobilitava la loro impresa e le donava una dignità di vero movimento politico. Per cui, su consiglio della moglie simpatizzante leghista, il 17 Maggio del 90,il Professore conobbe Umberto Bossi nella sua abitazione di Como. I due si trovano immediatamente d’accordo su due convinzioni fondamentali: “che il regime partitocratico doveva essere rovesciato e che alla istituzione della Prima Repubblica doveva essere sostituita una autentica costituzione federale. Miglio si rende conto della spontaneità del movimento e della sua disorganizzazione strutturale, per cui consegna a Bossi una serie di regole che furono definiti i sette comandamenti per dare compattezza al movimento: 1) Stroncare ogni tipo di frazionismo. 2) Differenziazione negli obiettivi e comportamenti della Lega rispetto agli altri partiti. 3) Connotare la Lega come movimento di protesta. 4) Scegliere nelle critiche e nelle proposte obiettivi semplici e chiari per la gente. 5) Controllo morale del partito sui propri eletti. 6) Utilità dei media per informare delle cose fatte dalla Lega. 7) Ricordarsi che la Lega Lombarda resta il nocciolo duro della Lega. Vedremo che Bossi rimarrà sempre fedele a quei comandamenti. Miglio, però, su accontenterà di un collateralismo con la Lega, una specie di consigliere di Bossi. Miglio era consapevole che la dottrina politica della Lega e dei leghisti era piuttosto primitiva, ma ben presto i ma i cominciano ad apostrofarlo come “l’ideologo della Lega”, il professore era richiesto un po’ dovunque per tenere conferenze e comizi; non importava se il popolo leghista comprendesse o meno ciò che Miglio diceva, ne apprezzavano l’affabulazione, il fenomeno leghista era (e sarebbe rimasto) molto vario e in genere di bocca buona (populismo), si esaltava a sentire Bossi che giurava “Preparo il mio golpe per il 95, quando avremo il 30% dei consiglieri comunali faremo quello che vorremo”. Sicuramente era molto più realistica la fotografia che ne faceva un giornalista di destra come Giordano Bruno Guerri che osservava :”È inutile inquadrare in schemi di antico qualunquismo, di nuovo lepenismo, di mini nazionalismo; la Lega nasce da un movimento di protesta civile contro una pessima amministrazione economico e politica, ed è semplicemente umano e logico che questa protesta nasca proprio nelle regioni che dando di più ottengono meno dallo Stato. “.
I primi segni del dissenso tra Miglio e Bossi coincidono proprio con un episodio che mette in luce il punto di non incontro delle due parallele di Miglio e Bossi, punto cruciale perché delinea, al di là delle ragioni profonde che alimentano le idee politiche dei due, la differenza sostanziale di uno scienziato della politica che esprime una teoria e un politico tout court che media per forza di cose le proprie aspirazioni con strategie legate al quadro politico del momento. Infatti Miglio e Bossi avevano parlato ripetutamente di uno che era un classico slogan del leghismo e cioè il rifiuto di pagare le tasse per impinguare “Roma ladrona”. Il governo Amato aveva stabilito un prelievo eccezionale, l’imposta straordinario sugli immobili (ISI). Era un terreno sul quale si poteva dimostrare tutta la forza protestataria del leghismo. Miglio rivendica il diritto a protestare contro il prelievo :”è una idea arcana, statalismo illiberale, questa tassa colpisce ciò che non si può colpire, e una legge non vale quando viola i diritti naturali della persona”. Ma nella Lega ci furono titubanze e no si fece quella battaglia, il risultato fu che schiere di contribuenti lombardi si precipitarono a pagare l’imposta. Quell’insuccesso segnò l’inizio di un crescente dissenso fra il professore e il Senatur. Miglio cominciò a chiedersi se il Senatur credesse veramente nel federalismo che per Miglio era la ragion d’essere del suo collateralismo al movimento leghista e fini per accusare apertamente Bossi, non solo di aver riposto la secessione nel cassetto illudendo il suo popolo, ma anche e soprattutto il federalismo e il suo nuovo ordinamento costituzionale che a detta di Miglio, Bossi e gli altri leghisti “stante la loro ignoranza su ciò che consistesse un vero ordinamento federale”, pensavano forse di poter attuare con l’aiuto del PDS che naturalmente fautore di un semplice decentramento dei poteri statali era di fatto l’antitesi del federalismo.
…Fine capitolo 6 |