Centralismo o autonomie?
CENTRALISMO O AUTONOMIE? L’equivoco storico dello Stato Italiano |
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CENTRALISMO O AUTONOMIE? L’equivoco storico dello Stato Italiano |
La recente polemica, intercorsa tra i Governatori Regionali e il Governo Centrale, relativamente alla gestione delle misure sanitarie ed economico-sociali in dipendenza della epidemia di coronavirus, ha riaperto una annosa questione circa vantaggi e criticità di due differenti soluzioni di organizzazione dello Stato, quali quella centralista e quella autonomista. In Italia, i rapporti tra centro e periferia sono stati caratterizzati da un movimento di tipo pendolare, con alternativa di stagioni improntate ad una ispirazione autonomista (riforme Bassanini sul decentramento negli anni 80, la mini-riforma costituzionale del 2001 sotto il governo D’Alema, la legge Calderoli sul federalismo fiscale nel 2009), a stagioni di ricentralizzazione (da Monti a Renzi). Renzi, soprattutto, con la sua proposta di riforma costituzionale, bocciata dal referendum del dicembre 2016, aveva tentato una ricentralizzazione di alcune competenze strategiche, essenziali per l’interesse nazionale, correggendo gli eccessi della riforma del Titolo V, e ripristinando la “clausola di supremazia” dello Stato. Ma il successivo governo Gentiloni aveva fatto di nuovo oscillare il pendolo verso la spinta autonomista, siglando un accordo con alcune regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna), per ottenere la attuazione di “Autonomia Differenziata”. Così facendo veniva riprodotta da un governo di centrosinistra, una esperienza già compiuta dal governo D’Alema, cioè quella del tentativo di anticipare l’avversario (Lega), sul suo terreno, quello della Autonomia. Qui, a noi, non interessa schierarsi con gli uni o con gli altri, ma sarà nostro interesse individuare i passaggi critici inerenti la costruzione di “sistemi costituzionali”, così come si possono osservare in funzione dei modelli storici sperimentati in tutto il mondo.
LO STATO UNITARIO Lo Stato Unitario è uno stato governato come una singola entità, in cui il Governo Centrale è supremo ed assegna ad ogni suddivisione amministrativa soltanto alcuni poteri che però possono essere modificati unilateralmente dal governo centrale. Sebbene il potere possa essere decentrato, il governo centrale resta sempre il punto nevralgico dello stato e può abrogare le leggi di eventuali governi locali e limitarne i poteri. Come si è visto, nello Stato Unitario, alcune funzioni di governo possono essere delegate dal centro ad unità periferiche, ma queste, o meglio, gli organismi politici che le rappresentano, non hanno il potere formale di partecipare alla formazione delle decisioni nazionali e quindi neanche di quelle che le concernano direttamente. Dunque non hanno, neppure, il potere di partecipare alla formazione delle decisioni concernenti l’attribuzione di funzioni di governo, dalle imposte alle risorse per il loro funzionamento. Lo Stato Unitario centralizza la funzione amministrativa giurisdizionale e di indirizzo politico. Storicamente questa forma di governo è quella tradizionalmente assunta dalle Monarchie Europee dell’800 e in parte anche della Francia Napoleonica. Infatti il controllo della periferia avveniva tramite l’uso di istituti ad hoc come ad esempio le Prefetture, residui di tale organizzazione restano anche nelle attuali costituzioni, come quella italiana per esempio. Sotto un profilo prettamente funzionale, appare evidente il vantaggio di velocità di decisione ed esecuzione. Il vantaggio appare soprattutto a livello di tempestività di trasmissione delle decisioni dell’esecutivo, sempre che la filiera della rete risulti ben strutturata. In grandi linee, questa era la struttura dello stesso Stato Italiano delle origini, quello fondato il 17 Maggio del 1861, quel tipo di Stato Unitario morì di fatto con l’8 settembre del 43, lo Stato che nascerà con la nuova Repubblica nel 46 è già un altro Stato, non più semplicemente unitario centralizzato ma, secondo i dettami costituzionali di trasformerà in Stato Regionale.
LO STATO REGIONALE Nelli Stato Regionale si ha, in genere, un movimento dall’alto in basso, quando l’Ente Centrale ripartisce la sua sovranità sul territorio creando veri e propri enti territoriali autonomi (le regioni), che sono si a sovranità derivata (e non originaria), ma ne hanno abbastanza per autoregolarsi e autogovernarsi, hanno cioè proprie funzioni legislative. Sono Stati regionali infatti come abbiamo visto sia l’Italia, la Francia e la Spagna, pur con notevoli differenze costituzionali, tali da influire sulla capacità di governo. Per capire la natura dello stato regionale italiano, bisogna far riferimento al Titolo V della Costituzione che dichiara: “la Repubblica è una indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, quindi prima di tutto dichiara che l’Italia non è federale ne potrebbe diventate una confederazione di stati se non con una “legge costituzionale” che modificasse l’art V. Poi riconosce cioè accoglie di per sé al suo interno ordinamenti territoriali minori e promuove, cioè si impegna a dare concreta possibilità a questi enti di autogovernarsi e anche di ampliarla in seguito. Le regioni sono dunque enti autonomi con propri poteri e funzioni (art. 115 Cost.) Qui si tratta di una vera e propria sovranità, sia pure parziale e “derivata”, l’ente territoriale ha personalità giuridica pubblica. Qui sta infatti la vera discriminante tra stato regionale (con regionalismo politico) e stato unitario (con debole regionalismo amministrativo) che sta nel fatto che solo nel primo caso le regioni hanno potere legislativo. Le regioni hanno anche la potestà legislativa e regolamentare (cfr. Art. 115,117, 121,123,124,127 Cost.) e a quella amministrativa propria e delegata (cfr. Art. 115,119,120,125 Cost.) e anche una potestà “statuaria” (cfr. Art. 116 e 123 Cost.). Queste premesse sulle caratteristiche di uno stato regionale come quello italiano viene ad avallare quelle che sono le criticità di un tale modello che, soprattutto in Italia, ha contribuito a minare quel tanto di stato unitario centrale che altrimenti permane, pur con differenza a livello costituzionale in Francia e Spagna. In Francia si è tentata una “regionalisation” ma molto debole, in Spagna, trattandosi di monarchia costituzionale il centralismo è rimasto ancor più forte se pur ridisegnato con la concessione di particolari autonomie di comunità storicamente e geoetnicamente differenti quali la Catalogna, i Paesi Baschi e Valenciana.
In Italia invece il modello strutturale del regionalismo ha preso connotazioni specifiche e formalmente contraddittorie. Di contro si è riprodotto per tutte le realtà regionali un centralismo differenziato che ha riprodotto per 21 volte tutti i difetti del centralismo unitario. Il nostro stato, perciò è debole soprattutto per la mancata tutela dell’unità giuridica ed economica della repubblica. Le criticità si avvertono in modo preoccupante sul fronte dei diritti sociale e civile fa garantire su tutto il territorio nazionale, il decentramento figurale nato dalla semi-riforma del 90 di Bassanini e D’Alema hanno finito per indebolire nello stesso tempo stato centrale e autonomie locali alle quali vengono eliminati cospicui trasferimenti di risorse e nel contempo si aumentano sproporzionata mente le deleghe. In questo contesto già critico, alcune regioni, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna hanno fatto richiesta di ulteriori forme di autonomia attraverso una legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti delle camere sulla base di una intesa tra Stato e Regione. Si tratta della cosiddetta “autonomia differenziata”. Qui però si annida una sorta di irrazionalità del progetto, infatti la richiesta di maggior autonomia si esplica in una richiesta di ulteriori deleghe su le più varie materie, che per alcune se ne prevede nella potestà legislativa concorrente con lo Stato (art.117, terzo comma tra cui sanità, energia, infrastrutture, rapporti internazionali, credito, politiche industriali), e in altre (tre) di potestà legislativa statale (art.117, secondo comma), tra cui l’organizzazione della giustizia di pace, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali e le norme generali sull’istruzione. Ora è del tutto evidente, che con un aumento così sproporzionato di deleghe, non ci siano a livello regionale le risorse necessarie per gestire le stesse, per cui, logicamente, alla richiesta di maggiori deleghe, fa seguito la richiesta di trattenere a livello regionale il cosiddetto “residuo fiscale”, questo termine è stato coniato nel 1950 dal premio Nobel James H. Buchanan, questa definizione indicava la differenza tra il contributo che il singolo cittadino fornisce sotto forma di prelievo fiscale alle finanze pubbliche e quanto riceve sotto forma di spesa e servizi in una finalità tesa alla redistribuzione e alla equità fiscale.
Questo particolare del fine redistributivo è uno dei paradigmi del federalismo fiscale, e cioè quello della costruzione di un “fondo perequativo” di redistribuzione alle regioni meno performanti della federazione, (J. M. Buchanan, “Federalism and fiscal Equity”). Ora, nel caso italiano, la richiesta della trattenuta a livello regionale del “residuo fiscale” è del tutto atipico, tanto che alcuni critici lo denunciano come vero e proprio tentativo di “secessione”. Sicuramente non siamo in questa prospettiva, ma piuttosto il pericolo è quello di una specie di “deriva confusionale”, un reale peggioramento della stabilità e funzionalità dello Stato Centrale, ma anche un peggioramento delle regioni più deboli, creando uno stato di disorganizzazione ed efficienza totale della comunità italiana. Questa criticità è data dal fatto che mentre nel sistema federale l’autonomia proviene da formazioni statali già formate, con equilibri di strutture economiche, sociali, fiscali, che poi trovano una ulteriore organizzazione nella superiore statutarietà federale, qui, invece, nella situazione italiana, la regione non è nata per sue peculiarità, ma è stata ridisegnata dallo Stato Centrale che ne ha riprodotto per ognuna di esse una copia della burocrazia centrale, frenandone uno sviluppo concreto. Ora il forzare questa richiesta di autonomia avrebbe il risultato di creare condizioni di forte instabilità che potrebbero avere un esito addirittura peggiore per dei veri autonomisti, cioè quello di far nascere tentazioni di autoritarismi del Centro. Questa non è una critica di principio sulla “autonomia differenziata”, ma l’avvertimento che certi progetti, se pur leciti, debbano avvenire nella loro cornice che è quella dello Stato Federale. Che le parziali riforme in senso autonomista avvenute in Italia in questi anni siano state un fallimento, è comprovato da un’analisi impietosa che ci fornisce la storia; questo paese nella sua fase del centralismo si è affermato come una grande potenza industriale, mentre con il regionalismo e il decentramento si è di colpo fermato, privo di una strategia nazionale di sviluppo è andato via via in arretramento fino quasi all’orlo del collasso.
LO STATO FEDERALE Nello Stato Federale la sovranità è ripartita tra diversi enti: La Federazione egli Stati Federati. Gli Stati Federali, quindi, sono formati da più stati che hanno propria autonomia e propri poteri, mentre le funzioni più importanti sono riservate al centro, ossia al Governo Federale. Lo stato federale in genere nasce da un processo dal basso verso l’alto, quindi l’esatto contrario della “devolution “, ovvero del decentramento regionalistico. Pertanto il principale problema che di pone in un sistema federale è quello del rapporto tra stato centrale federale e gli stati membri, ovvero quello della titolarità e dell’esercizio della sovranità, sotto questo aspetto, due sono le tendenze:
1) Una è quella di matrice anglosassone che riconosce la sovranità (derivata) dello Stato Federale, contemporaneamente al mantenimento della sovranità in capo agli stati membri; è quello che si definisce “federalismo duale” e che si ispira ad una concezione liberale dello stato.
2) Quella Continentale (Germania e in parte Svizzera) che riconosce una indiscussa e preminente sovranità dello Stato e configura una subordinazione allo stato degli enti territoriali, di tratta del cosiddetto “federalismo cooperativo” con un intervento economico generale a livello sociale.
Un’altra suddivisione, questa di natura prettamente di dottrina politica, è quella che si ha tra federalismo liberale e federalismo democratico:
1) quello liberale è quello che collega lo stato federale alla ideologia liberale e che pone l’accento sui moduli organizzativi, cioè sulle modalità di ripartizione dei poteri di base territoriale; lo stato liberale è uno stato garantista, cioè teso alla garanzia dei diritti di libertà; la forma dello stato federale intesa come uno stato con una propria costituzione riconosce e garantisce la autonomia (libertà e diritti) di comunità territoriali minori, anche inglobate in realtà più grandi (consorzi, cantoni). Questa suddivisione tra potere verticale e potere orizzontale è tipico delle costruzioni liberali.
2) Quelli di ispirazione democratica Poiché gli istituti dello stato federale si basano su principi democratici e li atti vano concretamente, la divisione verticale del potere da autonomia decisionale a comunità politiche territoriali più vicine ai cittadini, migliorando il dialogo con le istituzioni, così il pluralismo politico a livello locale diventa più concreto. Il richiamo al rafforzamento della democrazia tramite la struttura dello stato federale si ritrova nella costituzione della Confederazione Elvetica e in parte in quella tedesca. La dottrina che identifica stato federale e democrazia, pone l’accento sulla “partecipazione” nell’effettivo esercizio dei diritti garantiti.
Quali sono, in fine, i vantaggi dello Stato Federale rispetto ai modelli dello Stato Unitario e di quello Regionalistico? Ebbene nonostante che alcuni critici lo abbiano ravvisato come un sistema di delicato equilibrio e poco stabile, tuttavia è anche l’unico che riesca a coniugare la istanza decisionale del governo centrale (qui, lo stato federale), e la partecipazione fattiva della base democratica degli stati membri della federazione. Tornando alla attualità di casa nostra, nella presente emergenza sanitaria, con un sistema federale, che prevede già tutte le responsabilità ai vari settori, non avremmo assistito alla confusione e sovrapposizione di poteri, ma realisticamente bisogna capire che per arrivare ad una nuova costituzione di stampo federale, necessitano profondi cambiamenti delle stesse impostazioni ideologiche, che in Italia hanno dato vita a grottesche battagli partitiche a danno della costruzione di realtà economico-sociali, perseguibili invece con un diverso approccio che trova, appunto, nelle esperienze più riuscite, come quella della confederazione elvetica, dove s livello territoriale si assiste ad una stretta collaborazione sui temi di interesse territoriale e comunitario, sia di maggioranza e minoranza.
GIORGIO CALABRIA |