Centrale a carbone: prove tecniche di scaricabarile

CENTRALE A CARBONE:
PROVE TECNICHE DI SCARICABARILE.

“Centrale a carbone di Vado Ligure: un blocco di 14 giorni per motivi tecnici, causati dal comportamento contraddittorio del Ministero all’Ambiente”.

 CENTRALE A CARBONE:
PROVE TECNICHE DI SCARICABARILE.

Centrale a carbone di Vado Ligure: un blocco di 14 giorni per motivi tecnici, causati dal comportamento contraddittorio  del Ministero all’Ambiente”.

Questo sostiene la Tirreno Power che afferma di essere stata costretta al  fermo di produzione di energia elettrica da carbone, nei gruppi VL3 e VL4 , quelli in funzione da 40 anni e che, con tecnologie vecchie ed obsolete,  hanno bisogno di olio combustibile ad alto contenuto di zolfo per poter bruciare carbone a basso costo. Olio che, da decenni, brucia così bene da permettere l’utilizzo di carbone bagnato, quello ammucchiato da 40 anni nei carbonili a cielo aperto, mai voluti coprire, peraltro situati non lontano dall’abitato, dove d’altronde la centrale sta.


Le polveri sottili e il dott. Caviglione.

E’ incontestabile, però, che quei giorni di “sicuro” spegnimento hanno prodotto un dato certo, che in altro modo sembrava impossibile verificare.

Il dott. Caviglione, che oltre ad essere medico sensibile alla questione ambientale è consigliere provinciale, ha voluto elaborare i dati ambientali relativi alle emissioni di polveri sottili e ha potuto dimostrare che le PM 2,5, a centrale spenta, sono state la metà di quelle registrate a centrale accesa.

Questo prova che, volendo utilizzare quest’occasione di blocco per elaborare informazioni scientifiche utili a un rapporto sulla qualità dell’aria e poterne fare raffronti interessanti, i dati potrebbero essere alla portata di mano e non solo di quelle del dott. Caviglione.

Le prese di posizione.

Le prese di posizione, poi, e non solo quelle dell’azienda, di questi ultimi giorni sono, a dir poco, curiose.

La discussione sembra essersi spostata in modo deciso, dal dibattito inerente all’ampliamento della centrale, che ha visto atteggiamenti alquanto discutibili da parte di amministrazioni comunali, provinciali e regionali, Ministero, azienda e sindacati a quello della sopravvivenza dei gruppi a carbone, condizionati dalle imposizioni dell’AIA.


Il Dottor Marco Caviglione

Tra procedimenti relativi a inchieste di disastro ambientale avviate dalla Procura di Savona, interpellanze parlamentari sullo smaltimento delle ceneri e sull’inquinamento prodotto dalle emissioni della centrale, i comitati cittadini , lo scorso anno, comunicavano al Ministero, la pericolosa situazione ambientale provocata dalla combustione dei gruppi 3 e 4 a carbone, anche a causa dell’uso del “noto” combustibile. Situazione rilevabile da tutti, amministrazioni e ARPAL comprese.

L’hanno fatto Uniti per la Salute e la Rete contro il carbone, con lettere circostanziate, dove segnalavano al Ministero, con dati alla mano, l’uso illegale di combustibile ad alto contenuto di zolfo , non contemplato dall’AIA. (leggi la lettera integrale agli atti del Ministero).

Lo stesso combustibile che Tirreno Power chiedeva, in deroga proprio alle direttive AIA , di continuare a utilizzare, ritenendo 90 tonnellate di anidride solforosa in più, una modifica non sostanziale.

E per questo ritenendola essere poca cosa, senza alcuna influenza sui benefici ambientali, indifferenti alle inchieste in corso,Tirreno Power, interpreta la mancanza di risposta del Ministero, come silenzio assenso e acquista 14mila tonnellate di quel combustibile.

Il silenzio assenso qui non vale!

Ma il silenzio assenso qui non vale !”. E’ il Ministero a dirlo “e Tirreno Power ben sapeva perché avvisata del fatto che questa è una modifica sostanziale per le ricadute negative sull’ambiente”. Per questo, il 13 dicembre, il Ministero dell’Ambiente, vieta perentoriamente l ‘uso di combustibile ad alto tenore di zolfo.

Sbalorditivo ! Inaspettato!” il comportamento del Ministero per Tirreno Power.

Così il dott. Erulo di Tirreno Power, ai microfoni di RAI3, si appella al fatto che anche le altre centrali a carbone usano quell’olio e allora perché non a Vado?

Il Ministero, con insperata lucidità, ribadisce che la troppo vecchia tecnologia utilizzata a Vado non permette l’abbattimento di un così grave danno ambientale.


Enrico Erulo, direttore Affari Generali di Tirreno Power

Così Tirreno Power parla la lingua che riesce a parlare meglio:

   di ricorso al TAR contro il Ministero, di danni economici ingenti causati dal fermo degli impianti, di lavoratori in ferie forzate per non parlare di aspetti peggiori.

Il silenzio di amministrazioni e classe politica.

Sembra giunto il tempo che le Amministrazioni e che la classe politica tutta chieda, finalmente, una maggiore chiarezza su tutta la vicenda e prenda decisioni che è delegata a prendere a prescindere dalle vicende giudiziarie.

Ci si è forse dimenticati del sopralluogo degli ispettori Ministeriali, finalizzato proprio alla misurazione delle emissioni, pochi giorni prima che si fermassero i due gruppi a carbone?

Si può credere alla fandonia del carbone bagnato, come se in Liguria e a Vado non avesse mai piovuto, quando invece questo problema è legato proprio all’uso di un combustibile che, nella centrale di Vado, non si sarebbe mai dovuto usare?

Si può credere all’incidentale rottura di ben due camini, proprio mentre 14mila tonnellate di combustibile “proibito” veniva acquistato, in barba alle disposizioni AIA?


 

Ampliamento o no; metanizzazione o riduzione degli impianti, forse la risposta sta altrove.

Mentre a Vado si continuano a respirare sostanze tossiche micidiali che causano, da 40 anni, gravi patologie, c’è chi continua a parlare ancora di produzione di energia a basso costo , di danni economici all’azienda, di perdita di posti di lavoro,  mentre la realtà è un’altra.

La richiesta di energia elettrica, in Italia, è fortemente diminuita e le cause analizzate anche da enti al sopra di ogni sospetto, sono diverse.

L’uso più virtuoso ne ha abbassato il consumo per usi domestici, le energie alternative ne hanno assorbito una quantità sempre maggiore, sottraendola a quella fornita dalle centrali tradizionali, e non ultima, la crisi economica con la chiusura delle aziende, e il territorio savonese sembra averne un triste primato, ne ha fortemente annullato la richiesta ad usi industriali.

Mentre la Germania, regione all’avanguardia per scelte economico-ambientali, annuncia la chiusura di tre centrali a carbone, per la concorrenza da parte delle rinnovabili, eolico e fotovoltaico soprattutto e negli Stati Uniti, dove il mercato elettrico è ben più liberalizzato che in Europa e le rinnovabili godono di un generoso “tax credit”, l’eolico riesce a far concorrenza non solo al carbone ma persino al nucleare, provando un fatto certo: le centrali tradizionali sono in crisi e a rischio chiusura, il Governo italiano getta ancora  un’ancora di salvezza alle centrali termoelettriche.

 Si chiama “capacity payment”: e si traduce per un pagamento maggiorato, da parte dei cittadini,  in bolletta dove si paga non solo l’elettricità prodotta da questi impianti in perdita, ma un costo aggiuntivo come   vero e proprio sussidio pubblico alle fonti tradizionali come il carbone, che costa almeno 4-500 milioni di euro l’anno.

 Il capacity payment, che doveva entrare in funzione nel 2017, è stato anticipato al 2012 da Corrado Passera che ha scaricato, così, sulla bolletta degli italiani i maggiori costi di centrali ormai inutili, molte delle quali progettate quando già si sapeva che la flessione di domanda energetica ci sarebbe stata, dando una boccata d’ossigeno agli operatori del termoelettrico e quindi anche all’uso del carbone.

Quindi di che si parla a Vado?

Di una centrale termoelettrica che possiede , oggi, un’inutile eccesso di potenza istallata, che produce energie che , in parte, nessuno più chiede, mentre invece continua a parlare di ampliamento e a danneggiare la salute e l’ambiente di un vastissimo territorio.

Non si può certo pensare che queste analisi, nei tavoli giusti, non si siano fatte e che si sia dedotto che, forse per adesso, uno “scaricabarile” fosse proprio provvidenziale.

     ANTONIA BRIUGLIA 

 

La lettera inviata al Ministero da Uniti per la salute




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