Censis: il rapporto annuale

 

CENSIS: IL RAPPORTO ANNUALE

«Italiani incattiviti in preda al sovranismo psichico»

CENSIS: IL RAPPORTO ANNUALE

«Italiani incattiviti in preda al sovranismo psichico»

Delusione su salari e lavoro: in dieci anni 1,4 milioni di giovani occupati in meno. Tra le aree da cui ripartire l’economia circolare e l’industria del riciclo Come sono arrivati gli italiani oltre il rancore? Come ci si è «incattiviti» singolarmente fino a cadere nella trappola del «sovranismo psichico»?

Le domande emergono e trovano risposta nell’ennesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato ieri nella sede del Cnel, a Roma. Il primo movimento viene da una doppia delusione – ha spiegato il direttore Massimiliano Valerii –veder sfiorire una ripresa economica tardiva e non certo entusiasmante (a fine 2017 il Pil era ancora 4 punti sotto i livelli 2008) e scoprire che l’attesa di cambiamento è andata delusa (lo dice il 56% degli italiani). Ma per «andare oltre il rancore» non basta una congiuntura debole o l’incertezza politica. Il motore è acceso da tempo – ha spiegato il segretario Censis Giorgio De Rita – e dopo la rottura del patto sociale via via raccontata dal Rapporto del 2012 in avanti, l’ultimo approdo è quello, appunto, della cattiveria e della paura. L’istituto fondato da Giuseppe De Rita ha sempre intrecciato nei suoi Rapporti la statistica economica con l’analisi sociologica.

Ecco allora i numeri proposti per spiegare come mai siamo arrivati dove siamo arrivati. 

 


 

Dal 2000 al 20017 il salario medio degli italiani è cresciuto, in termini reali, dell 1,4%. Nello stesso periodo, che più o meno coincide con la vita del’euro (è nelle nostre tasche dal 2002), in Germania l’incremento è stato del 13,6%, in Francia del 20,4%. Tra il 2007e il 2017 il numero di occupati tra i 25 e i 34anni si è ridotta del 27,3% mentre la classe di età 55-64 è cresciuta del 72°%. In dieci anni si è passati da un rapporto di 236 giovani occupati ogni 100 anziani al pareggio, mentre i 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani del 2007 oggi sono scesi a 143. 

Gli «snodi da cui ripartire» muovono da un’attenta lettura di questi dati, spiega il Censis, che poi fotografa nel quinto capitolo del Rapporto i «nuovi soggetti economici dello sviluppo». 

C’è tra questi la forza, confermata nel 2017 con un +7,4%, del nostro export di beni e servizi: siamo il nono Paese esportatore con una quota di mercato-mondo del 3,5% nel manifatturiero, l’anno scorso abbiamo chiuso con un saldo positivo di 47,5 miliardi (oltre 448 miliardi di merce esportate) e oggi le aziende che vendono all’estero sono 217.431 (8.431 in più dal 2012). E poi ci sono i nuovi soggetti dell’economia circolare e dell’industria del riciclo: l’Italia su questo fronte di attività, che potrebbero in prospettiva imporsi come nuovo paradigma produttivo, non è in ritardo. Ma servirebbe una politica economica e industriale che mobiliti questi nuovi «generatori di valore aggiunto» andando oltre le attuali politiche di indennizzi previste in manovra, sottolinea Censis nella sua analisi di policy sul tema. «La riconversione circolare dei cicli produttivi può essere un’occasione di investi-mento per le imprese esistenti, ma anche per la creazione di nuove imprese – si legge nel Rapporto -. E il pensiero va naturalmente alle start up innovative che possono beneficiare dell’incrocio tra il nuovo spazio economico e la disintermediazione digitale».

Tanti giovani oggi costretti a lavorare in condizioni di sottoccupazione (erano 237mila l’anno scorso con un’età tra 15e 34 anni; il doppio rispetto al 2011) potrebbero essere coinvolti in questa prospetti-va che Censis chiama di «crescita circolare» ma la transizione va incentivata e governata. 

Certo la strada da battere è molto lunga. E bisogna tener conto che, nel frattempo, il clima di disillusione cresce. L’Italia è ormai il Paese europeo con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori: il 23%, contro una media Ue del30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33%in Germania. Mentre il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita.

Le radici del «sovranismo psichico» affondano in questa sfiducia. Che non si supera, certo, guardando solo alla dimensione economica. Ma è da qui che bisogna ripartire: «Nella vita materiale degli italiani conta solo una parola: lavoro, lavoro, lavo-ro» ha affermato Massimiliano Valerii. «Negli ultimi 10 anni – ha  aggiunto – abbiamo perso un milione e 400mila giovani lavoratori, sicuramente per effetto del declino demografico ma anche per le cattive condizioni di lavoro (se guardiamo alla sottoccupazione o al part-time involontario) che penalizzano soprattutto le giovani generazioni».

 

DAVIDE COLOMBO  Il sole 24 ore

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