CEMENTO IN LIGURIA

CEMENTO IN LIGURIA:
AGGRESSIONE AUTORIZZATA

CEMENTO IN LIGURIA: AGGRESSIONE AUTORIZZATA

 La febbre del cemento s’è impadronita della Riviera!” scriveva Italo Calvino negli anni ‘60.

Nessuna lettura più lucida del fenomeno fu fatta a distanza di anni.

Ciò che stava avvenendo già cinquant’anni fa, oggi ha avuto una trasformazione genetica che ha reso la cementificazione, un tempo denunciata come atto speculativo da perseguire, un atto lecito.

 Oggi il termine speculazione edilizia non si usa più.

Anche quando accade, nella malaugurata ipotesi, d’imbattersi in costruzioni senza regolare Concessione Edilizia o realizzate in difformità dalla stessa, si finisce poi per sanare la questione, se è il caso, con una multa, ma mai viene demolito il manufatto restituendo al territorio la sua conformazione iniziale e la sua tutela.

Oggi la febbre di cemento, non è più vile speculazione, ma è addirittura rivendicata come occasione di crescita, di sviluppo economico di un territorio.

Anche in Liguria, nonostante la conformazione territoriale sia alquanto complessa e morfologicamente problematica, il consumo di suolo è diventato, da anni, la più importante risorsa economica.

  Se si prende poi, come campione, l’area savonese e albisolese si può costatare come il cemento sia l’elemento principale intorno al quale ruotano alleanze politiche, imprenditoriali e lobbistiche.

Tutti uniti e convinti che la “devastazione” del territorio, camuffata da sviluppo occupazionale, dove quest’ultimo viene sottratto al bene pubblico della città e barattato per l’interesse privato, sarà la ricchezza.

La ricchezza di pochi, è ormai assodato, mentre l’impoverimento dettato dalla perdita di luoghi della città, di veri posti di lavoro in cambio di quelli poco qualificati e spesso “importati” con discutibili subappalti, dal degrado geomorfologico, dalla devastazione dell’ambiente, non sarà mai quantificabile, tanto meno recuperabile.

 Le Amministrazioni delle nostre città si sono rese sempre più disponibili a “svendere” terreni anche demaniali e a permettere, con Piani Regolatori sempre più malleabili, che l’accanimento con cui il consumo di suolo si sta verificando, produca risultati disastrosi in quantità e qualità.

Ciò sta avvenendo, come spesso accade, sotto occhi distratti o occupati a interessarsene se ciò avviene nel “proprio giardino”.

 Così accade in terreni situati sulle nostre coste, come quelli della costa savonese, dove prontamente al posto di cantieri dismessi, come ad esempio i Solimano, si costruiscono “palazzate” vicino alla spiaggia o  alla Margonara- Miramare, dove  sembra non essere ancora completamente chiusa la vicenda del porto-cemento che la Giunta( da destra a sinistra) di Albissola Marina rivendicava allo spasimo.

 Accade in  terreni su colline a rischio idrogeologico come, ad esempio, quelli di Poggio al Sole ad Albissola, la cui ferita ha prodotto già traumi alla popolazione residente, o come quelli di Valloria, dove nuovi vistosi condomini stanno sorgendo abbarbicati alle rive scoscese, sostenute da giganteschi muri a strapiombo.

Tutto avviene con grande disinvoltura, tutto autorizzato, tutto lecito, tutto supportato da perizie geologiche che potrebbero essere oggetto d’indagine se lì o altrove, malauguratamente, avvenisse l’ennesimo dissesto.

 Accade in terreni d’industrie dismesse a Savona e ad Albisola che, invece di diventare occasioni di reali riqualificazioni urbane, diventano per i Comuni affamati di fondi, merce di baratto con privati ai quali con “lecita” edificazione autorizzata dal Piano Regolatore, si dà occasione di sfruttarli in modo redditizio e talvolta spropositato.

Torri all’ex Gavarry

 E’ così che nasceranno torri di dieci piani nelle aree della fabbrica di saponi  Gavarry, nel pieno centro cittadino albisolese che, per permetterne l’edificazione, si dovrà spostare in altro Comune, con tempi, risorse, garanzie occupazionali e riqualificazione tecnologica che saranno da vedere.

Nasceranno palazzi nell’estesa lottizzazione delle ex aree industriali di Via Casarino, dove l’ultima fabbrica dopo Piral, la Fac, finirà per togliere  l’incomodo.

 Intanto per il suo risanamento finanziario si pensa già di costruire un altro edificio nell’area  dell’ex deposito ACTS , sempre nel pieno centro cittadino.

Sì perché oggi funziona così: per dare ossigeno a una realtà imprenditoriale si cementifica, si costruiscono palazzi a uso residenziale.

Il territorio diventa il contentino, perché edificare, vuol dire disporre in breve tempo di forti somme di denaro.

 Difficile prevedere se questo meccanismo perverso premierà realmente un investimento per salvare la fabbrica o se diventerà l’ennesimo regalo alle immobiliari o a qualche noto costruttore. 

 

Altro che “NO SPRAWL”, la follia è incontrollata e senza limite e ci sta portando, inesorabilmente, all’autodistruzione.

 

In questa corsa folle sembra non voler rimanere indietro neanche la Chiesa savonese che, dopo gli interessi edificatori per box, per le aree di ex-cantieri  a Savona, di ex-Colonie nelle vicina Celle, anche ad Albisola Superiore ha realizzato la sua discreta operazione immobiliare.

 L’area dell’ex asilo Balbi, un lascito del marchese, è oggi un enorme cantiere. Dove sorgeva una palazzina, nel centro cittadino, a pochi metri dal mare, ora è in costruzione un palazzo di residenze di cinque piani con 60 box interrati.

 Tutto questo, a pochissimi metri da un altro palazzo in costruzione di altrettanti piani e di altrettanto impatto ambientale.

Ma l’impatto e l’ambiente non sembrano essere d’interesse alcuno se non per quei cittadini che già vivono accanto al cantiere.

Non lo è per i politici che stanno gestendo uno scempio non solo ambientale ma che, a medio e lungo termine, si rivelerà anche economico e sociale per le nostre città.

Non lo è per gli imprenditori che, invece di rischiare e investire sulle loro imprese, preferiscono realizzare sicuri profitti immobiliari.

Non lo è per i costruttori, alcuni dei quali, anche in Liguria, hanno permesso infiltrazioni a imprese criminali pronte a sfruttare la situazione.

Non lo è neanche per la Curia che sembra aver dimenticato le indicazioni contenute nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa che elenca proprio un decalogo sulla questione ambientale.

  Nel decalogo si parla di etica, di coscienza ecologica, di destinazione universale delle risorse, di responsabilità giuridiche verso l’ambiente e il territorio e non ultimo di uno stile di vita volto non all’accumulo di ricchezze, ma alla sobrietà e alla temperanza.

  Sicuramente sarà troppo tardi quando ci si accorgerà che la febbre di cemento , quella che Calvino denunciava già negli anni 60, ci avrà impoveriti, ci avrà tolto in modo irreversibile  un patrimonio comune,  quello del nostro territorio, che sarà anche perdita di cultura e di appartenenza sociale, un diritto primario di cittadinanza che, talvolta troppo distratti, stiamo permettendo che ci venga illecitamente sottratto.

 

ANTONIA BRIUGLIA             05 febbraio2012

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