Carige: che fine ha fatto la famiglia Malacalza?

Carige: che fine ha fatto

la famiglia Malacalza?

Carige: che fine ha fatto la famiglia Malacalza?

 

Questa è la domanda che tutti si pongono in questi giorni, in cui le notizie e le indiscrezioni sul futuro di Carige si rincorrono a livelli da record. E più precisamente la domanda fondamentale è: che cosa faranno i Malacalza, che oggi sono il maggiore azionista di Carige con il 27,5 %?

 


Vittorio Malacalza

 

Sulla famiglia di imprenditori è in atto un pressing da più parti. I sindacati interni alla banca hanno chiesto che “tutti i soggetti coinvolti si esprimano formalmente e con la chiarezza dovuta sul riassetto”, sottolineando di avere sempre preferito una “soluzione industriale”, che poi è anche la via indicata a Maggio scorso dallo stesso Vittorio Malacalza quando i commissari erano in trattativa con i fondi americani, poi defilatisi. Ma il fatto che il “salvatore della patria” sia più italiano che mai, e per di più un gruppo bancario (non un fondo), non è bastato ai Malacalza a sciogliere la riserva. Un silenzio che rischia di diventare un’alea sul salvataggio di Carige, visto che i Malacalza hanno la facoltà di bocciare la proposta di riassetto quando a settembre sarà portata nell’assemblea dei soci.

Il sì della famiglia è “conditio sine qua non” per impedireil bail-in di Carige. Certo, “conditio sine qua non” è anche il via libera, da parte della Bce, al piano di salvataggio co-firmato dal Fondo interbancario e da Cassa Centrale Banca (CCB) e poi inviato a Francoforte nella giornata di Giovedì 25 Luglio, quando è scaduto l’ultimatum della Vigilanza. Ma se la Bce darà l’ok,e poi a settembre i Malacalza bocceranno il piano salva-Carige, si tornerà punto e capo. Per lo meno, si tornerà allo scorso dicembre, quando fu conclamato l’ inizio della crisi di Carige per il motivo che la famiglia Malacalza si rifiutò di rifiutò di sottoscrivere la ricapitalizzazione.


I quotidiani liguri riportano indiscrezioni su un’iniziale apertura di credito al piano che prevede che la Cassa Centrale Banca diventi socia al 30 per cento nel giro di un anno e mezzo, e l’esistenza di diversi soggettiprivati e pubbliciinteressati alla sottoscrizione del bond subordinato. Secondo questa tesi, ci potrebbe essere da parte dei Malacalza la disponibilità a sottoscrivere l’aumento di capitale accettando la diluizione della partecipazione. Ma si tratta di indiscrezioni che non bastano a tranquillizzare i commissari di Carige, che sanno bene che il vero potere che hanno i Malacalza non è quello di non partecipare all’aumento di capitale, considerato che il Fondo interbancario fa da paracadute ma quello di bocciare tutto il progetto in virtù dei diritti di voto che gli derivano dall’attuale pacchetto azionario.

Un’eventualità questa che, a quanto si dice, è stata presa in considerazione dalle Autorità di vigilanza, Bce e Bankitalia, arrivando a valutare – in estrema ipotesi – il ricorso alla normativa che consente l’esclusione dai diritti di voto di un socio quando in ballo c’è la tutela dell’impresa. Ma gli esperti della materia avvertono che una mossa simile dovrebbe essere sostenuta con argomentazioni granitiche, pena la nascita di un contenzioso giudiziario.


In sintesi, la famiglia Malacalza sarebbe l’unica a non aver dato alcun segnale di quelle che sono le proprie intenzioni ai commissari straordinari che gestiscono Carige da quando la banca è stata commissariata dalla Bce.

Gli altri soci, invece, si sarebbero mostrati tutto sommato d’accordoall’operazione di ricapitalizzazione, calcolata in 900 milioni di euro, di cui 700 milioni in equity e 200 milioni in bond.

E’ vero che stavolta il regista dell’operazione, ovvero l’FITD, si è mostrato disponibile a sottoscrivere, attraverso il suo braccio obbligatorio, l’inoptato.

Ma nuovi colpi di scena non sarebbero graditi, tantomeno dalla Bce. Ad ogni modo, per mantenere la loro quota con questi numeri, i Malacalza dovrebbero investire circa 180-190 milioni, ma nessuno pensa che dopo i circa 420 milioni sborsati– e persi – in questi anni da azionisti rilevanti della banca ligure, Vittorio e figli possano essere ancora disponibili a mettere in banca cifre di questa taglia. Tra l’altro, c’è da considerare la futura convivenza con quello che è destinato a diventare azionista di maggioranza della banca dopo gli acquisti con un’opzione call (a sconto) delle azioni del FITD, ovvero la trentina Cassa Centrale Banca.


Cosa faranno in un tale contesto gli altri soci, ovvero Gabriele Volpi, con il suo 9%, Raffaele Mincione, che dovrebbe essere rimasto al 4,9%, Aldo Spinelli, con una quota attorno all’1% e Coop Liguria con lo 0,4%? Si vedrà.

È stata inviata ieri alla Banca Centrale Europea una comunicazione nella quale si assicura la copertura del fabbisogno patrimoniale di Carige. Nella comunicazione si informa dello scambio di missive avvenuto tra FITD Cassa Centrale Banca, nelle quali si attesta che le deliberazioni del cda della capogruppo del credito cooperativo sono in linea con quelle assunte dal board del Fondo nei giorni scorsi: dunque una convergenza sul piano che dovrebbe portare i due soggetti a garantire l’apporto di equity per 700 milioni. Con 313 milioni derivanti dalla conversione del bond sottoscritto da FITD, 65 milioni apportati da Ccb e la restante parte coperta e garantita dal fondo stesso. Secondo quanto riportato dall’agenzia Ansa, il FITD e Cassa Centrale Banca hanno formalizzato la proposta non vincolante di rafforzamento di capitale ai commissari di Carige.

Sarebbe previsto che il Fondo incassi la cedola maturata sul bond da convertire per un valore complessivo di circa 60 milioni.

La formalizzazione dell’operazione viene rinviata alle riunioni del board e del comitato del fondo, fissate per il prossimo 30 luglio. A valle di quelle deliberazioni verrà inviata un’ulteriore informativa alla vigilanza europea.


Assemblea dei soci

L’operazione di messa in sicurezza della banca genovese dovrebbe essere, dunque, in discesa. Restano da chiarire le modalità di copertura del bond Tier2, che però in ogni caso, una volta garantito l’apporto dell’equity, non avrebbe difficoltà a trovare sottoscrittori, visto che garantirà un rendimento tra l’8 e il 9 per cento. L’Istituto di Credito Sportivo sale ufficialmente a bordo dell’operazione di messa in sicurezza di Carige. Il cda si è riunito venerdì mattina per riprendere il processo decisionale rimasto aperto in merito al dossier della banca genovese. Lunedì sarà la volta del board di Medio Credito Centrale, per una quota che dovrebbe essere di alcuni milioni. CCB si è impegnata a partecipare con 100 milioni, Amissima (fondo Apollo) per 50 milioni. Altri 17 milioni dovrebbero essere ripartiti tra Equita (1 milione), MediolanumCattolica (in forse), fondazione Cariverona. Nel caso dovesse venire a mancare il contributo della banche a controllo pubblico, gli altri investitori potrebbero aumentare le loro quote e qualcosa potrebbe investire anche il FITD.

 R.T.

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