Campo Largo senza palla al centro. Un centrosinistra che si cerca senza mai trovarsi
A sinistra, il campo largo è solo un miraggio. Leader senza bussola, intenti a costruire castelli di sabbia sulle promesse mai mantenute.
Tra sorrisi di circostanza e nostalgie di un passato glorioso, i leader della sinistra sembrano più interessati a consolidare posizioni personali che a rappresentare il popolo che dicono di difendere.
Si sono riuniti, di nuovo, con la solita retorica delle grandi occasioni. Al centro del dibattito, un campo largo che si proclama pronto a sfidare la destra, ma che in realtà si perde nei meandri delle ambiguità e dei personalismi. Elly Schlein del Partito Democratico (PD), Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle (M5S), Riccardo Magi di +Europa, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana (SI) e Angelo Bonelli di Europa Verde: ognuno con le proprie idee, ma tutti con un comune denominatore che sembra sfuggente. Un’alternativa c’è, proclamano, ma è chiaro che nessuno sa esattamente come costruirla.
Ecco allora il paradosso: mentre la sinistra si affanna a presentare un fronte unito, la vera mancanza è quella del centro, volutamente escluso in una mossa che sa di autolesionismo strategico. Matteo Renzi di Italia Viva e Carlo Calenda di Azione, nomi invisi e indesiderati, rappresentano il punto dolente di un’alleanza che si vorrebbe ampia, ma che si limita a riprodurre le stesse dinamiche interne che hanno storicamente affossato ogni tentativo di vera coesione.
L’immagine che ne esce è quella di leader patetici, aggrappati al proprio cadreghino con la stessa tenacia di chi teme di perdere l’unico scoglio a cui aggrapparsi. Un quadro triste, in cui le pacche sulle spalle e i sorrisi di circostanza si alternano a proclami sempre meno credibili. La sinistra che un tempo poteva mobilitare le masse, occupare le piazze e influenzare i governi, oggi sembra un pallido riflesso di se stessa, incatenata a promesse mai mantenute e a un elettorato sempre più disilluso.
A Roma, durante la festa di Avs, i leader hanno messo in scena l’ennesima prova tecnica di “campo largo”, ma senza palla al centro. Elly Schlein ha rilanciato l’idea di un possibile allargamento a tempo debito, pur riconoscendo che le differenze esistono e sono profonde. Tuttavia, le sue parole sono state accolte da una platea tiepida, che sembra ormai immune a promesse di unità. Giuseppe Conte, dal canto suo, ha minimizzato il problema della leadership, parlando di un progetto solido e coeso, ma nei fatti continuano a prevalere le divisioni, anche su temi cruciali come la politica estera.
La nostalgia di una sinistra combattiva e influente si scontra con la realtà di una classe dirigente che, attaccata alle poltrone, sembra più interessata alle dinamiche interne che a costruire una vera alternativa. Le mani tese si ritirano davanti alle divergenze, i sorrisi si spengono davanti alle accuse incrociate, e l’ombra di Renzi e Calenda aleggia come un fantasma che nessuno vuole evocare, ma che continua a condizionare ogni passo.
Nel campo largo senza palla al centro, il centrosinistra appare più che mai come un insieme di pezzi che non si incastrano, in una partita in cui la vera sconfitta è l’assenza di una visione comune. Perché senza palla, senza gioco, rimane solo il campo. E quello, purtroppo, non basta a vincere.
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