BIODIGESTRORE DI FERRANIA

BIODIGESTRORE DI FERRANIA
L’Osservatorio di Qualità della Vita
scrive al Sindaco di Cairo, Fulvio Briano

BIODIGESTRORE DI FERRANIA
L’Osservatorio di Qualità della Vita 
 scrive al Sindaco di Cairo, Fulvio Briano

Egr. Signor Sindaco  Fulvio Briano,

se ho ben capito dai giornali il biodigestore di Ferrania ha avuto o sta per avere via libera. Allora, mi permetto rammentarle alcune considerazioni semplici e quasi ovvie, più logiche che tecniche, fatte ad un convegno cui anche lei partecipò qualche mese fa. E che mi pareva, ma evidentemente sbagliavo, avessero avuto un po’ della sua attenzione.

 Il processo di biodigestione  è un buon processo. Lo stesso nelle osservazioni al Piano Provinciale, suggerivo di prenderlo seriamente  in considerazione. Ma come tutte le tecnologie presenta dei rischi. Proporzionali alla complessità e alle dimensioni degli impianti. Ecco qualcuno dei rischi del progetto (quanto meno secondo i dati che ho avuto).

 

1. Si parla di un impianto per trattare inizialmente 30.000 t/a di Forsu + 15.000 di verde per poi forse raddoppiare la capacità. Facciamo due conti. La provincia di SV produce circa 200.000 ton/a RSU. Sappiamo che mediamente la Frazione Organica costituisce circa il 20% del totale, cioè = 40.000 t/a; le 30.000 ton richiederebbero dunque un livello di Raccolta Differenziata  almeno del 75%. Un sogno. E, d’altra parte una buona RD è essenziale all’efficienza del processo, come dimostra ampiamente la sua storia travagliata. Ma dal 75% siamo molto, molto distanti. In realtà, ad oggi sarebbero più o meno utilizzabili (in tutta la provincia) non più di  ca. 10.000 t/a di umido: dunque,  per arrivare ai 30.000 di progetto ci vogliono i rifiuti di mezza Liguria. È questo che si vuole? Se sì, bisogna dirlo chiaramente. Sono conti che chiunque può fare; che bisogna avere il coraggio di fare e di esporre, senza delegare tutte le proprie responsabilità di amministratori e di cittadini a tecnici interessati.

 

2. quando si mescola alla FORSU del verde proveniente da sfalci e da potature, bisogna tener conto che la lignina in esso contenuta è,  chimicamente, un polimero organico molto pesante, una molecola estremamente complessa e molto difficile da decomporre. Per questo si ritiene in genere che la % di verde non debba superare il 20-25% della FORSU, pena il rallentamento/inibizione del processo di biodigestione. Dunque non più di 2000-2500 t/a. di verde e non le 15.000 del progetto. In totale, dunque: 12000-12500 t/a di materiale e non 45.000!

 3. Ancora:  45.000 ton di materiale da trattare corrispondono a circa  4.500 camion in entrata + altri 2.000 ca in uscita per compost e scarti. In totale  altri 6500 camion su e giù per una valle trafficata con viabilità già difficoltosa. E  figuriamoci d’inverno!

4. E poi: il tempo totale di permanenza del materiale in fermentazione sull’impianto è dato da:

Sezione di DA 60   gg

Sezione di Compostaggio  120-140 gg

Totale 180-200gg/365 x 45000 = ca 25.000 ton mediamente presente in sito

Per quanto il processo sia d’impatto contenuto, per quanto sia definito biologico, si tratta pur sempre di 25.000 ton di materiale costantemente presente e che emette continuamente effluvi, diciamo così, odorosi.

 

5. Un malfunzionamento, sempre possibile anche in un buon impianto, della sezione di DA potrebbe facilmente dare luogo ad emissioni di metano, acido solfidrico, mercaptani, .. creando un’atmosfera tipo impianto di depurazione di Savona-Zinola nei suoi momenti peggiori. E, come detto, il rischio e l’entità del guasto sono proporzionali alle dimensioni e alla complessità dell’impianto.

 

6. la produzione di energia elettrica da biogas ha un rendimento <40%. Il resto è calore che, se non si prevede qualche tipo di teleriscaldamento (ma il sito, da questo punto di vista è davvero infelice), si disperde inutilmente insieme alle emissioni inquinanti della combustione .

Insomma, sappiamo tutti che è una buona tecnologia ma, come tutte le tecnologie, deve essere applicata con ragionevolezza e rispetto dei suoi limiti (in questi casi il “come” è altrettanto importante del “cosa”), se non si vogliono correre troppi rischi. Infatti, la taglia media di questi impianti è ovunque di 12-15000t/a. Qui dovrebbe essere di 45.000, forse x 2. Perché mai?

Dunque, così come prospettato, quell’impianto non mi sembra affatto una buona idea.

A conclusione, ripeto qualche raccomandazione:

Credo che, indipendentemente da altre considerazioni, si debbano porre alcune condizioni minime alla scelta di questo sistema per non ripetere errori già fatti da altri; per ridurre i rischi connessi; per evitare impatti sproporzionati, inutilmente sproporzionati. Tra le condizioni indicherei almeno queste:

– se ne può riparlare solo dopo aver raggiunto una quota di RD degli urbani almeno non inferiore a quella di legge (65% dal 2012), anziché mettere una sorta di sovrapprezzo di smaltimento da eliminare solo a quota raggiunta (una sorta di garanzia al contrario, francamente mai vista) 

– potenzialità dell’impianto non superiore a 15.000 ton/a. C’è sempre tempo (San Francisco ci ha messo 15 anni a passare da una RD del 30 al 65%!) per ampliare 

– trattamento riservato esclusivamente alla Frazione Organica del RSU e al verde prodotto localmente 

-per evitare disastrosi connubi volti a preparare facili/lucrose scorciatoie di trattamento (biomasse, inceneritori, ecc…), dichiarare da subito l’incompatibilità della presenza di altri impianti di trattamento aggiuntivi o complementari 

-controllo continuo pubblico dei principali parametri tecnici, dei flussi di materia e della qualità del biogas prodotto. 

 Mi auguro che queste brevi note contribuiscano in qualche modo a indurla a rivedere il suo orientamento. Almeno per quanto riguarda le dimensioni, davvero spropositate, dell’impianto.

Con simpatia, ma con qualche nascente perplessità sulla Sua reale attenzione alle voci dei cittadini, la saluto cordialmente.

Giulio Save

Osservatorio di Qualità della Vita

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.