Biodigestori, depuratori, lobby e coronavirus…

Biodigestori, depuratori, lobby
e coronavirus (ed altri patogeni)

 Biodigestori, depuratori, lobby e coronavirus
(ed altri patogeni)
 
 

Nel documento redatto nel 2014 dall’Istituto Superiore di Sanità dal titolo Metodi analitici di riferimento per la valutazione microbiologica dei fanghi di depurazione e di matrici ad essi assimilabili” (LEGGI),vengono illustrati i metodi per la determinazione delle quantità di alcune tipologie di microrganismi presenti in questa tipologia di reflui.

I fanghi di depurazione una volta che hanno subito gli opportuni trattamenti possono trovare impiego come ammendanti e fertilizzanti nel settore agricolo. 

Il documento è stato compilato in un periodo in cui probabilmente solo gli specialisti in materia conoscevano l’esistenza dei virus appratenti alla famiglia dei cosiddetti coronavirus, parola venuta alla ribalta dopo l’epidemia che ha avuto origine nella regione cinese dell’Hubei e di cui si è iniziato ad avere notizie dalla metà di gennaio del 2020.

Nei fanghi di depurazione sono presenti microrganismi patogeni e non patogeni provenienti dalla raccolta degli scarichi fognari delle acque meteoriche e di dilavamento ed il loro riutilizzo nel settore agricolo potrebbe determinare l’insorgenza di un rischio sanitario, nel caso in cui non venissero adottati gli opportuni processi di abbattimento.

Il rischio sanitario è associato alla contaminazione delle colture vegetali che una volta entrate nella catena alimentare possono determinare la trasmissione di malattie. La dilavazione del suolo su cui sono stati sparsi dei fanghi potenzialmente contaminati può essere ulteriore fonte di rischio sanitario per la contaminazione dei corsi d’acqua o delle falde acquifere.

Secondo il documento dell’Istituto Superiore di Sanità la varietà degli agenti microbici che si possono rinvenire nei fanghi di depurazione spazia dai virus, ai batteri, ai protozoi, ai funghi ed agli elminti (vermi parassiti).

In particolare, tra i virus si possono riscontrare Poliovirus, Coxsachievirus, Echovirus, Virus dell’influenza, Adenovirus, Astrovirus, Calicivirus, Coronavirus, Enterovirus, Parovirus, Reovirus, Rotavirus, Norwalk virus, Virus dell’epatite A, Virus dell’epatite B.

Le nuove ideologie, che stanno prendendo campo in questi ultimi anni complici anche gli eventi meteoclimatici sempre più estremi a cui si assiste, che vorrebbero una transizione verso un economia che sia più rispettosa verso l’ambiente con una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili, favoriscono, tra l’altro, il proliferare di impianti di produzione di energia elettrica da biogas.

Il biogas viene prodotto all’interno di un impianto digestore anaerobico (biodigestore) attraverso un processo di digestione anaerobica, dove l’agglomerato di sostanza organica passando per diversi stadi viene trasformato in una miscela di metano, anidride carbonica ed acqua, mentre i residui solidi del processo o digestati possono trovare impiego, analogamente ai fanghi di depurazione, come ammendanti e fertilizzanti nel settore agricolo. Tra l’altro gli stessi fanghi di depurazione possono alimentare un impianto biodigestore.

La miscela gassosa viene utilizzata come combustibile per mettere in rotazione delle turbine a gas o dei motori a combustione interna, accoppiati a degli alternatori, per la produzione di energia elettrica da immettere nella rete di distribuzione.

Riferendosi nuovamente ad un articolo stilato da un gruppo di esperti dell’Istituto Superiore di Sanità dal titolo “Il biogas: spunti per una serena riflessione” (LEGGI) emergerebbe che i digestati, se non opportunamente controllati e trattati, potrebbero essere causa di un rischio sanitario per la presenza al loro interno di numerosi microrganismi potenzialmente pericolosi, se dovessero entrare nella catena alimentare una volta che i digestati siano stati sparsi sui terreni agricoli.

La qualità dei digestati dipende anche dalle materie prime (bioenergie) con cui viene alimentato l’impianto digestore anaerobico, che possono essere rifiuti organici, fanghi di depurazione, deiezioni animali, scarti provenienti da attività agricole e forestali. È chiaro che se tali materie prime di alimentazione del biodigestore dovessero essere contaminate da microrganismi patogeni, a sua volta il digestato potrebbe presentare delle contaminazioni, se i controlli e le procedure di abbattimento dovessero risultare carenti.

Secondo i dati forniti periodicamente dal Gestore dei Servizi Energetici, la società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha tra i suoi scopi quello di incentivare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, in Italia nel 2018, erano presenti 2.924 impianti alimentati da bioenergie.

Nella tabella che segue si può riscontrare che a fare la parte del leone per la presenza di questa tipologia di impianti sul proprio territorio è regione Lombardia con 730 impianti, seguono il Veneto con 393 impianti, l’Emilia-Romagna con 334 ed il Piemonte con 316 impianti.

Bisogna inoltre sottolineare il fatto che Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte oltre ad essere le regioni maggiormente industrializzate sono inoltre quelle dove il settore agricolo è notevolmente esteso e produce ragguardevoli volumi di prodotti.

Tenuto in considerazione dei potenziali rischi sanitari collegati all’esercizio degli impianti di depurazione e di produzione di biogas, ci chiediamo se siano mai stati effettuati degli studi dettagliati ed indipendenti che mettano in relazione l’incidenza delle malattie dovute ai patogeni potenzialmente associati all’esercizio di questi impianti, con la distribuzione degli stessi sul territorio o al riutilizzo ed alla diffusione dei loro sottoprodotti. 

Altro dato interessante sarebbe quello di avere informazioni sul fatto se il ceppo di coronavirus isolato nei focolai della Lombardia, dell’Emilia-Romagna e del Veneto abbia subito delle trasformazioni rispetto a quello riscontrato nella regione cinese dell’Hubei. Altro confronto di interesse sarebbe quello di avere la stessa correlazione tra il ceppo di coronavirus isolato all’ospedale Sacco di Milano con quello isolato dall’Istituto Spallanzani di Roma.

Alcune risposte a questi ultimi quesiti sono arrivate proprio in questi giorni, secondo Il Fatto Quotidiano del 4 marzo 2020, il nuovo coronavirus sarebbe originato dalla Cina e circolava in Italia, ma anche in altri Paesi diversi dalla Cina, “diverse settimane prima” che venisse identificato il cosiddetto paziente 1 dell’ospedale di Codogno (Lodi). “L’analisi filogenetica dei primi 3 genomi completi” dell’agente patogeno, “ottenuti dagli isolati italiani di Sars-CoV-2 sequenziati al Sacco il 27 febbraio e circolanti in Lombardia ha dimostrato che risultano essere inclusi in un unico cluster di genomi isolati in altri Paesi europei (in particolare in Germania e Finlandia) e in Paesi dell’America centrale e meridionale, oltre che all’isolato italiano recentemente pubblicato dall’Istituto superiore di sanità e ottenuto nell’area del Lodigiano”. Per gli esperti, “la stima preliminare del tempo di origine di questo cluster corrisponde a un periodo che precede di diverse settimane il primo caso evidenziato in Italia il 21 febbraio. L’analisi in corso di ulteriori genomi ci consentirà di ottenere stime più precise sull’ingresso del virus nel nostro Paese e sulle possibili vie di diffusione”.

Il processo di smaltimento e riutilizzo dei fanghi di depurazione non è certo esente da scandali, inchieste giudiziarie, richieste di patteggiamenti da parte dei dirigenti delle aziende di trattamento e smaltimento, sequestri e confische. Come riportato da Il Giorno del 21 luglio 2018 (LEGGI), diversi sindaci del Lodigiano e del Pavese hanno vinto il ricorso al TAR della Lombardia per richiedere l’annullamento di una delibera della Giunta guidata da Roberto Maroni (Lega), che ha alzato di 200 volte i limiti degli idrocarburi presenti nei fanghi utilizzati in agricoltura. Richiesta di annullamento nata dallo scandalo che ha visto coinvolta la CRE Centro Ricerche Ecologiche Spa, società finita nel mirino della procura di Milano per spandimento illecito di fanghi agricoli, che ha concluso nel 2017 la vicenda giudiziaria con una raffica di patteggiamenti e con la confisca di 3 milioni di euro.

Dello scandalo CRE si era già occupato il quotidiano online di informazioni Linkiesta (LEGGI) in un articolo del luglio 2016, dove, tra l’altro, va evidenziato che 8.296 tonnellate di fanghi sarebbero stati sparsi in maniera illecita su diversi terreni, alcuni dei quali di proprietà di aziende agricole compiacenti nei territori del pavese e del lodigiano, asse su cui negli ultimi anni il recupero dei fanghi da depurazione è diventato un business fiorente, e a tratti, come rivela questa operazione, illecito.

Il fatto degli illeciti della CRE è avvenuto nel 2016, ma bisognerebbe domandarsi se da allora siano stati messi in atto maggiori controlli per prevenire il ripetersi di fatti analoghi, visto altresì il proliferare di questi impianti per il trattamento dei rifiuti organici con il relativo rischio sanitario ad essi connesso.

La lobby dei fanghi di depurazione è successivamente tornata ad incalzare la politica ottenendo l’inserimento di norme più permissive per alcune sostanze nel cosiddetto “Decreto Genova”.

Interessante sul tema delle lobby dei rifiuti legati ai biodigestori è un’inchiesta pubblicata nel giugno 2019 dal giornale on line Fanpage (LEGGI), dove vengono messi in relazione i finanziamenti ricevuti dal partito della Lega di Salvini con il business del compost in Veneto. Secondo quanto pubblicato sull’articolo le mani dei leghisti nel business del compost in Veneto ruotano intorno ad una società municipalizzata con un giro d’affari da novanta milioni di euro, fondata nel 1995 da “il Calabrese”, un imprenditore veneto arrestato per ‘ndrangheta.

A tale riguardo bisogna notare l’irresponsabilità della classe politica italiana che probabilmente “incentivata” da una delle tante lobby, prima prova ad aumentare i livelli di attenzione della concentrazione di sostanze potenzialmente pericolose per la salute, salvo poi indossare la mascherina di protezione, forse più per motivi elettorali e propagandistici, al prospettarsi della prima emergenza.

Anche nella provincia di Savona è presente un biodigestore che è stato oggetto di attenzione da parte delle autorità preposte. La Stampa del 5 gennaio 2019 riporta che la Provincia di Savona ha invitato una diffida ai gestori del biodigestore di Ferrania (Cairo Montenotte), riguardo ad anomalie continuanti da tempo. «Perdura da fine anno 2016 il non funzionamento del digestore a freddo con conseguente mancata “polmonazione” del biogas prodotto e ragionevoli possibili effetti sulla gestione della torcia di emergenza» è una delle contestazioni rilevate. Sarebbero inoltre presenti accumuli di materiale sui muri perimetrali del sito, con possibile fuoriuscita di percolato che potrebbero costituire una situazione di potenziale pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. Per questo impianto i comitati ambientalisti avevano sollevato diverse obiezioni, soprattutto per i miasmi emessi, che rendevano difficile la vita alla popolazione residente nelle vicinanze dell’impianto.

Il tema dei biodigestori è tornato di attualità anche per Vado Ligure, visto che l’amministrazione comunale starebbe valutando la proposta di costruire un impianto nella discarica del Boascaccio. Il sindaco Monica Giuliano (PD) pare essere favorevole alla proposta, visto che la partecipata comunale Servizi Ambientali SAT, che gestirebbe l’impianto, secondo le previsioni, dovrebbe incrementare notevolmente la propria redditività. “Attualmente la società fattura 20 milioni l’anno e crea utili per 1 milione. Entrando nella gestione degli impianti di trattamento, smaltimento e valorizzazione può raddoppiare questi utili per destinarli a nuovi investimenti nel settore e creare un effetto moltiplicatore” è l’entusiastico commento della Giuliano a proposito di questo progetto. (La Stampa 12 gennaio 2020).

Più su chi sia il paziente 0 – 1 – 2, nell’interesse generale della cittadinanza, forse sarebbe da interrogarsi maggiormente sulle cause che hanno favorito la diffusione del coronavirus 2019 e di altri agenti patogeni, che in determinate zone del paese è risultata più accentuata rispetto ad altre, non è da escludere che molte lobby per non veder diminuiti i propri profitti prediligano la confusione e la caciara politica.

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 R.T.

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