Biblioteca perfetta

Biblioteca perfetta
Chi progetta una biblioteca, chi la amministra, chi la conduce su mandato dell’amministrazione locale, deve pensare a come portare gli utenti dentro la biblioteca, tutti, anche quelli che non sanno cos’è e come funziona.

Biblioteca perfetta

 Sulle edizioni locali dei giornali leggo di una polemica in corso tra le diverse amministrazioni cairesi, per via del divieto allo studio nei locali della biblioteca. Non ho capito bene, in fin dei conti, se è l’attuale compagine o la precedente, che hanno dimenticato qualcosa o imposto un limite che si poteva non imporre. Ci saranno sicuramente delle azioni più o meno corrette, ma non ho neppure voglia di occuparmene qui, perché tutto sommato questo è uno degli episodi in cui se non altro ci siamo ricordati di avere delle biblioteche.


Ne avevamo di più. Erano più diffuse ed estese. E insieme, anche se metterle in contatto non era sempre facile, costituivano un patrimonio librario di tutto rispetto. In particolare, quella itinerante della Comunità Montana Alta Valle Bormida era la più fornita e quella in grado di raggiungere (quasi al domicilio) tutti gli utenti per mezzo del prestito itinerante. Collaterale a questo, ricordiamo anche che la Comunità conduceva l’unica collana di Storia Locale con cadenza annuale (“I libri dell’olmo” diretta da Giannino Balbis) e per una dozzina d’anni ha prodotto e messo a disposizione del pubblico degli ottimi saggi di storia locale, inediti, documentati. Dando spazio ad affermati docenti (Surdich, Malandra, De Nicola, Montino) come anche a sconosciuti appassionati (perfino, nel mio piccolo, a me).

Se occorre fare dei tagli, a quanto pare, meglio partire dalla cultura. Quasi nessuno protesterà se un sistema bibliotecario sparirà, con una collana di studi storici (l’unica). Pazienza, già qualche anno fa un certo politico diceva di metter mano all’arma ogni volta che sentiva la parola cultura.


Abbiamo un servizio in meno, ma non mi pare di vedere risolto qualche problema in più. Vorrei dire che una volta chiusa una biblioteca, non è che se ne apre un’altra. 

In ogni caso a nessuno degli amministratori è mancata la collana di studi storici. Lo scrivo perché oggi, con i prezzi dell’editoria digitale, un paio di giunte potrebbero organizzare la stessa collana, spendendo molto, ma molto meno. Questione di scelte.

Meglio lasciare l’iniziativa all’approssimazione festosa e disorganizzata degli appassionati locali, senza guinzaglio e senza pudore, che sparano liberamente, soprattutto marciando separati, disperdendo, talvolta, energie, documenti, reperti.

Per quanto riguarda le biblioteche ognuno le vive come gli pare: chi le frequenta come luogo di relax (coglie una rivista e s’attarda sulla poltroncina, giusto per passare una mezzora); chi le prende come luogo d’incontro (si parla di tutto, in biblioteca, mica solo di libri); chi come punto di prestito, e le visite saranno rapidissime: restituzione, ritiro e fuga. Complessivamente non c’è mai il gran pienone. Alcune biblioteche sono più frequentate, altre meno. Un bibliotecario valbormidese mi ha mostrato, in un pomeriggio vuoto di utenti e libri da classificare, un certo fondo tenuto sotto chiave. Libri belli, ma niente che giustificasse la serratura. Perché li chiudete?

       Mah, sai – ammise imbarazzato – vengono su i ragazzi delle scuole, si infilano dappertutto, a volte venivano a baciarsi qui in mezzo ai libri!

       Ebbene? E cosa ci sarebbe di male? Pensa che bel ricordo per gli anni a seguire! Adolescenti baciarsi tra i libri… Ci sarebbe da scriverci un romanzo!

       Eh lo so, ma non si può mica eh! Il regolamento…

E sarebbe ora di bruciarli certi regolamenti (dico per dire eh, non sono un incendiario e i regolamenti servono!) e permettere di entrare nelle biblioteche con libri, senza libri, con il gelato, con il cane, con un panino alla maionese, con una chitarra e un’armonica (magari in una saletta apposta), con il fidanzato, il marito o l’amante. Dentro la biblioteca vorrei vederci un bar, un cine, un biliardo, un telaio per fare stoffe, un pianoforte, un forno a legna, un motore di un camion… Esagero neh? Eh lo so. Ma da idee strampalate, a volte, vengono fuori le idee compiute e feconde di altre idee, di cultura appunto. 

Vorrei dire, insomma, che la biblioteca dovrebbe essere il luogo dell’inclusione, dove ci sia modo e spazio per includere, comprendere (nei due meglio sensi del termine), il luogo della condivisione e della comunicazione.

Certe biblioteche mi ricordano il salotto buono che andava di moda nelle nostre case, negli anni Settanta: poltrone scomodissime dai braccioli torniti, tavoloni con improbabili zampe ferine, mobiletti bar, soprammobili. Tutto chiuso e incellofanato, venisse qualcuno. Anche i libri (una enciclopedia intonsa) erano lì per il solo loro valore estetico. Ecco, quello è un posto triste. Chi progetta una biblioteca, chi la amministra, chi la conduce su mandato dell’amministrazione locale, deve pensare a come portare gli utenti dentro la biblioteca, tutti, anche quelli che non sanno cos’è e come funziona. Deve esserci un po’ di chiasso, un vociare indice di fermento e di vita. Deve esserci pure un poco di disordine, qualche briciola, rumor di baci e litigi d’adolescenti. Deve essere viva: non c’è niente di più triste di una biblioteca vuota, perfetta, in ordine. Un libro chiuso è un oggetto per bibliofili, ma è anche un libro morto. Prenderà vita solo se qualcuno lo sfoglierà, darà aria alle parole, alle pagine, e contemporaneamente (se gradito) aria fresca al cervello del lettore.

 

     ALESSANDRO MARENCO

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