Bersagli improbabili

Bersagli improbabili

Come evocare un odio che non c’è e fabbricarne le vittime

Bersagli improbabili

Come evocare un odio che non c’è e fabbricarne le vittime

 Chi può avere interesse a intimidire l’anziano fondatore di Repubblica? Un uomo pubblico passibile di minacce deve avere una visibilità, vale a dire deve essere conosciuto da un grande numero di persone; deve rappresentare interessi, gruppi sociali, posizioni politiche, in qualche maniera deve essere un simbolo. Ho personalmente un grande rispetto per Eugenio Scalfari, intanto per l’età veneranda, poi per le sue indubbie qualità di giornalista, delle quali dette la prova migliore ai tempi gloriosi dell’Espresso formato lenzuolo.


Ma chi oggi, a destra a sinistra o al centro, può risentirsi o sentirsi anche solo leggermente scalfito dalle sue prediche domenicali? Chi se ne può sentire danneggiato o offeso? Voglio essere più diretto: fra quanti sono nati dopo gli anni Settanta chi lo conosce? Che possa essere inviso alla destra, quella vecchia o quella riveduta e corretta, quella moderata o quella estrema, è una barzelletta che non fa ridere. Anche ammesso, e non concesso, che a destra si adottassero i comportamenti intimidatori propri dei compagni, che razza di bersaglio sarebbe l’anziano signore  autore dell’“Incontro con Io”? Ma, dicono, si vuol colpire la libertà di informazione. Come se in Italia l’informazione di regime – pressoché tutta – corresse qualche rischio.  La memoria corre al povero Tobagi e all’azzoppamento di Montanelli. L’effetto che volevano ottenere quelli che premettero il grilletto l’hanno abbondantemente ottenuto. È calma piatta – e rossa – nell’informazione; il pensiero unico, corretto, perbene si stende indisturbato sui media ma forse per non spengersi ha bisogno di un nemico, di una minaccia che lo rinvigorisca e se non ce ne sono se li fabbrica da sé. 

 È un caso speculare agli insulti rivolti sulla rete a Liliana Segre. Insulti arrivati a una signora di cui fino a pochi mesi fa si ignorava l’esistenza. Con quel nome (accentato) si conosceva uno scienziato prestigioso, collaboratore di Fermi nell’istituto di via Panisperna, quello che negli anni Trenta fece dell’Italia il centro indiscusso delle ricerche sull’atomo. Della signora Segre si è saputo ora della terribile esperienza nei campi di concentramento tedeschi e tanto basta per suscitare solidarietà e umana vicinanza, a lei come a tutte le vittime dello zelo antisemita del regime nazionalsocialista. Il sionismo in Europa è morto e sepolto, storia passata, che con l’Italia ha poco o nulla a che fare e col sionismo è morto l’antisionismo (e non si dica che il fascismo o il futurismo o il dannunzianesimo avessero anche solo una venatura antiebraica perché sarebbe una plateale menzogna: l’antisemitismo in Italia, per quel che c’era, allignava all’ombra del Vaticano). E allora su quali basi si insinua che quelle minacce, rimaste per altro nebulose, proverrebbero da ambienti di destra? La risposta è semplice e secca: nessuna. Il che non esclude affatto che circolino davvero in Italia, come in Francia o in Germania, attraverso canali nemmeno tanto nascosti, idee, parole d’ordine, proclami contro Israele e gli ebrei, che si spingono fino all’esaltazione della Shoah. Ma quei canali partono da un’unica sorgente, che è quella arabo-palestinese e dei fiancheggiatori rintanati nei centri sociali. In conclusione: o quelle minacce sono costruite ad arte, opera di provocatori, o sono autentiche e allora i responsabili vanno cercati nella casa dei compagni, non a destra.

 


 

Ma quello che si presenta come ovvio ad un osservatore qualsiasi tale non è per il nostro ministro degli interni. Quello stesso che consente indiscriminatamente alle Ong di scaricare clandestini sulle nostre coste violando la legge – perché i cosiddetti decreti sicurezza intitolati a Salvini sono legge e vengono tranquillamente disattesi – senza che la magistratura abbia niente da eccepire. Per il ministro le nebulose minacce alla Segre e le misteriose buste recapitate a Scalfari sono un’emergenza nazionale, la prova dell’odio che avvelena il Paese e di cui le sardine sarebbero l’antidoto.  E fin qui si potrebbe sorridere e concludere che si è visto, e si vede, di peggio: basti pensare alla figura barbina che il Presidente del Consiglio ha fatto con la Libia e sta facendo col coronavirus. Ma nell’intervista concessa a Repubblica il ministro si spinge oltre, fino a sollecitare “un’igiene nelle parole della politica”. Con questo mette automaticamente in comunicazione le minacce a Scalfari (e gli insulti alla Segre) con la politica e questa è una cosa gravissima, foriera di un brutto clima, che se non si realizzerà sarà solo merito della forza della nostra gente.

 

   Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione  

 

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