Azione sotto il Cupolone: una guida politica tra destra e sinistra, col vate che sacrifica sulle rovine della Terza Repubblica
Un novello amore capitolino pare affacciarsi dalle terrazze del potere: Carlo Calenda, erede di quella tradizione borghese e cinematografica – nipote del regista Comencini – si aggira tra le colonne dell’agorà politica con l’occhio languido verso Giorgia Meloni. Il leader di Azione, sempre più solo nel suo vagone di centro liberale, guarda ora alla premier come ad un’ancora di salvezza. In gioco non c’è un sentimento, ma una fredda e calcolata sopravvivenza partitica. E sotto l’ombra del Cupolone si prepara il sacrificio: quello dell’autonomia ideologica in cambio di qualche seggio nel proporzionale.

Carlo Calenda
Meloni, che guida con prudenza l’auto della destra tra gli ostacoli di Tajani e Salvini, sa bene che la legge elettorale è il suo volante. E mentre Calenda sogna una guida a sinistra che non lo ha mai realmente accolto, si offre ora alla destra con la speranza che un sistema proporzionale lo lasci in vita.

PUBBLICITA’
Una conversione, la sua, che non ha nulla di spirituale ma molto di strategico, figlia di quel trasformismo che Pasolini avrebbe descritto come “frattaglie politiche” da macello istituzionale.
Nel frattempo, Matteo Renzi – antico alleato e ora beffardo antagonista – sghignazza dal loggione della sinistra, scrollando il capo di fronte all’ennesimo tentativo calendesco di restare in scena. Il suo sarcasmo s’inquadra in quella rappresentazione tragicomica che è la sinistra italiana: mentre cerca un campo largo, deve fare i conti con personaggi che saltano le staccionate come fa Calenda, e con la debolezza strutturale di una leadership (quella di Schlein) troppo impegnata a urlare contro Meloni per tessere alleanze solide.
E così, Azione si aggancia a Fratelli d’Italia per non estinguersi. Ma l’immagine è quella di un parassita più che di un alleato: Calenda offre servigi parlamentari in cambio di ossigeno mediatico. In cambio, Meloni ottiene lo sfaldamento definitivo del centro e la possibilità di dire, con realismo machiavellico, che il divide et impera funziona anche nel Ventunesimo secolo.

Matteo Renzi
In questo teatro romano – tra inganni, ammiccamenti e impasti ideologici – resta solo il Vates optimus: il Popolo Italiano, che come Enea si aggira tra le rovine, in cerca di un segno. Visita le urne come si visitano i sepolcri, sacrifica il suo voto nella speranza che qualcosa rinasca dalle ceneri.
Ma per ora, solo fumo. E qualche risata di Renzi sullo sfondo.