Aut aut, da una parte o dall’altra

Aut aut, da una parte o dall’altra
Di qua o di là, col popolo o contro il popolo, per il bene comune o per l’interesse personale

Aut aut, da una parte o dall’altra
Di qua o di là, col popolo o contro il popolo, per il bene comune o per l’interesse personale

 I rappresentanti del popolo, quelli che vinsero le elezioni del 2018, si sono abbarbicati a quelli che le persero rovinosamente; l’hanno fatto per difendere l’Italia, l’Europa, il mondo dal pericolo leghista e per non correre il rischio di presentarsi in anticipo al giudizio degli elettori. Paura, pensavo, di dover pagare il conto della loro pochezza umana culturale e politica, che però ne lasciava impregiudicata la buonafede e la personale onestà. Insomma paura, giustificata, che gli elettori accortisi di aver affidato il ponte di comando a un equipaggio di sprovveduti frastornati e un po’ ingenui se ne fossero amaramente pentiti e non intendessero ripetere l’errore; anoetocrazia, l’avevo chiamata. Mi cospargo il capo di cenere. Non è così. La ciurma che occupa il parlamento e ha nelle sue mani il governo del Paese è tutt’altro che ingenua, sprovveduta o frastornata. Con poche eccezioni, di cui ipotizzo l’esistenza solo per ragioni statistiche, sono furbacchioni che perseguono il proprio tornaconto con diabolica lucidità; avevano capito che la politica è l’eldorado e hanno preso al volo l’occasione offerta loro da una piazza esasperata corsa dietro per disperazione a un comico che si è divertito a indossare alternativamente i panni dell’apprendista stregone e del pifferaio. 

 Arrivati alla meta in veste di populisti, sovranisti, antieuropei e soprattutto antisistema, la pressione della loro base li ha in un primo momento costretti a dar seguito alla parte che avevano recitato e alla conseguente naturale convergenza con la Lega, un partito notoriamente populista e antieuropeo che con Salvini è diventato anche sovranista, ma poi, illuminati dall’alto (del Colle), si sono trovati più che bene con gli attuali compagni di merende, gli eredi del Pci. Quel Pci che sarà anche stato la quinta colonna di Mosca, avrà sicuramente avuto un rapporto ambiguo col terrorismo, avrà fatto il doppio gioco, in parlamento e nelle piazze, fra la Nato e il blocco di Varsavia, fra gli Agnelli e gli operai metalmeccanici, ma, quantomeno ai vertici e per quello che so in qualche periferia, era rappresentato da persone serie e preparate e qualche volta convinte di operare per il bene comune e la giustizia sociale. Questi attuali compagni e compagne sono per caratura culturale, intellettuale, morale e politica indistinguibili dai peggiori grillini. È questo il motivo della sostanziale compattezza della maggioranza parlamentare: le divergenze di programma, di ideologia, di bacino elettorale che secondo molti opinionisti bloccano l’azione del governo sono solo virtuali: se è vero, com’è vero, che prima delle idee contano le persone, Pd e movimento 5 stelle sono un unico pateracchio, un indigesto minestrone senza strategia, senz’anima, senza idee, figuriamoci ideali. Chi ne rivendica i contrasti vorrebbe convincere l’opinione pubblica che i due partiti abbiano un’identità, che guardino al loro elettorato, che perseguano una linea coerente.


Non dico che fra di loro ci sia armonia: che ci siano gelosie, rivalità, pugnalate alle spalle mi pare un’evidenza inconfutabile, ma non c’è nessun contrasto fra due anime del governo e della maggioranza, che, lo ripeto, un’anima non ce l’hanno. Non hanno un’anima ma hanno un grande appetito e una grande paura di dover mollare quanto hanno addentato. È questo che blocca e rende confusa l’azione di governo e ha dato spazio al Cicisbeo che giocando a fare il premier ha sconfinato nella parte del caudillo tant’è che qualcuno lo ha dovuto mettere a cuccia. I compagni sono tornati miracolosamente alla mangiatoia dalla quale il popolo sovrano li aveva cacciati, i grillini da quando si sono seduti a tavola sono diventati bulimici e vedono il mondo sub specie epulationis. Del resto c’era da immaginarsela tanta voracità: non per nulla avevano scelto la metafora alimentare della scatoletta di tonno quando progettavano la scalata al parlamento. Insomma la maggioranza è compatta e coerente quando si tratta di esorcizzare il voto, tanto unita al suo interno quanto distante dalla nazione, tanto più unita e solidale quanto più fintamente litigiosa ad uso e consumo dei media incaricati di confondere la pubblica opinione. E se la nave è ferma in balia delle onde non è perché l’equipaggio è diviso in due fazioni che si combattono ma semplicemente perché è un equipaggio che non sa dove andare ed è completamente digiuno dell’arte della navigazione.


Fa rabbia pensare che sarebbe bastato che i grillini avessero rispettato il mandato ricevuto dagli elettori e tenuto fede alla sbandierata vocazione populista e antisistema perché il contratto di governo con Salvini si trasformasse in una coalizione organica che non avrebbe lasciato scampo alla sinistra salottiera, alla destra nostalgica e intrallazzatrice e ai liberal conservatori allevati da Berlusconi. Nello scenario che avevo immaginato non ci sarebbe stata più traccia delle categorie mortifere di destra e sinistra per aprire la strada a due possibilità: un nuovo, virtuoso bipartitismo basato su accentuazioni diverse sul piano sociale, economico e delle politiche ambientali o un superamento delle divisioni partitiche sostituite da una dialettica politica territoriale. In tutti e due i casi una leadership forte che traesse la sua forza dal consenso popolare. Poteva andare così e in tanti ci avevano, ci avevamo, creduto e sperato. Ma il cammino della storia non è mai lineare e ben altre illusioni sono naufragate sullo scoglio della mediocrità delle persone: si pensi alla rivoluzione francese o al risorgimento italiano. Auguriamoci che gli dei protettori della nostra patria ci diano un’altra occasione e nell’immediato accontentiamoci di vedere sparire nel nulla quelli che, per dolo o semplice sprovvedutezza, hanno fatto fallire quella ci era stata concessa.


E ora, a ridosso del referendum, mi sento in grande imbarazzo: che prevalga il sì o che prevalga il no non cambierà nulla, salvo il modestissimo risparmio per le casse dello stato: quel che andava fatto e ci si è ben guardati dal fare era togliere alla politica ogni appeal economico, lasciando a deputati, senatori, consiglieri regionali solo il rimborso delle spese sostenute – documentate e approvate – per la loro attività. Se si obietta, come è sempre avvenuto, che in questo modo potrà fare politica solo chi se lo può permettere bisognerà avere il coraggio di rispondere: tanto meglio!

Il paravento delle ideologie, che raggiunge il suo culmine nella dicotomia destra-sinistra, nasconde interessi e obbiettivi inconfessabili. “Ideologia” è un esempio di scuola di pseudo concetto. Il termine venne originariamente introdotto nel diciottesimo secolo per designare la scienza – mai nata- dei contenuti della coscienza, superata sul piano epistemologico dalla psicologia e su quello filosofico dalla fenomenologia. Più tardi continuò ad essere usato con una connotazione negativa con riferimento a concezioni della realtà prive di basi fattuali, campate per aria. Ma la suggestione semiotica ha poi avuto la meglio sul vuoto semantico, soprattutto in un ambito, quello della sociologia, che di solido ha ben poco e di fumoso molto, e nel corso del Novecento l’ideologia comincia a sconfinare in ambito etico-politico per significare una organizzazione di concetti e di fini nei quali un gruppo sociale si riconosce; e infine, ai giorni nostri, l’ideologia viene universalmente riconosciuta come un pacchetto di promesse elettorali all’interno di una confusa concezione generale del mondo, qualcosa che somiglia ad una fede religiosa.   Ma una fede da miscredenti, una fede priva del senso del sacro, una fede che si riduce a partigianeria alimentata non tanto dai propri feticci quanto da un nemico da abbattere, una sorta di caricatura dell’Io fichtiano che acquista senso solo per contrapposizione. 


Mi viene da ridere quando leggo che la coalizione giallorossa è innaturale, che piddini e grillini non sono d’accordo su nulla, che al loro interno c’è un’incompatibilità “ideologica”. In realtà piddini e grillini sono intercambiabili, e sono intercambiabili con i forzisti e sicuramente anche con molti leghisti o meloniani. Non voglio scadere nel qualunquismo da osteria: sono tutti uguali, rubano tutti, un qualunquismo perfettamente funzionale al potere costituito, quello dei compagni.  La democrazia ha ancora un senso in Italia perché permane sotterranea una dicotomia autentica: quella fra chi è partecipe della politeia  e chi ne è fuori, fra la Nazione e i suoi nemici, fra chi la democrazia la vive e la sente e chi la usa come uno strumento di potere personale e di parte. La cartina di tornasole è l’atteggiamento verso l’Europa e verso l’invasione. Che l’unione europea abbia fatto comodo a Germania e Francia è un dato innegabile. Altrettanto innegabile è la circostanza che con l’ingresso nella comunità europea l’Italia non solo è progressivamente scivolata ai margini sotto il profilo economico ma il suo peso politico e culturale nel continente è diventato trascurabile. Si è assistito a uno sforzo dissennato di snazionalizzazione, di identificazione con un’entità artificiale da qualunque punto di vista, alla quale l’uscita del Regno unito e il progressivo distacco dalla Russia ha dato il colpo di grazia.


L’altra faccia dell’europeismo è la politica dell’accoglienza, l’incoraggiamento ai flussi immigratori attraverso canali illegali, giustificato con argomenti surreali e contraddittori, che vanno dall’obbligo di salvare i naufraghi, di aprire le porte a chi scappa dalle guerre e dalle persecuzioni – ora dal Covid! – alla necessità di manodopera nei campi e per i lavori che gli italiani schifano, fino al razzismo d’antan di chi invoca un innesto di sangue giovane e vigoroso sul tronco marcio della nazione italica. Argomenti surreali e contraddittori che nascondono l’unica vera motivazione: distruggere l’identità nazionale e, sul piano sociale, creare un proletariato estraneo al mondo del lavoro, dipendente dal welfare, vale a dire dall’elemosina di Stato, futura stampella del regime e antidoto ai conflitti di classe, in grado di cristallizzare gli assetti sociali e le posizioni di privilegio e di sospingere verso il basso i ceti operai e impiegatizi. Già ora i nuovi ricchi non sono espressione organica della società civile, delle attività produttive, del merito o dell’intraprendenza unita alla fortuna; sono sospesi sopra il corpo della nazione come maglie di una rete intessuta dal potere globale attraverso la sua filiale europea, sono annidati nei gangli dell’alta burocrazia, occupano le posizioni di potere grandi o piccole nella carta stampata e nella televisione, nell’apparato dello Stato, nello star system. Un’anomalia sociale che si riflette sugli assetti politici, che spiega la perdurante presenza di un partito, il Pd, che è in realtà una lobby, il collasso del sistema formativo, il costituirsi di élite che di elitario non hanno nulla, modello quali sono di ignoranza, cafonaggine, cattivo gusto, cialtroneria. La scuola, l’istruzione, l’intelligenza non sono più un ascensore sociale, gli insegnanti sono stati proletarizzati, non solo economicamente, sull’università occupata dalla sinistra meglio stendere un velo pietoso. Che per gli americani la chiusura o il funzionamento ridotto della scuola sia percepito come la causa di un danno futuro di proporzioni drammatiche mentre dalle nostre parti si bada solo al disagio per le famiglie la dice lunga sul peso che nella politica e nella società italiane si attribuisce all’istruzione. 


E si vede bene nell’inarrestabile impoverimento culturale del Paese, nell’ignoranza abissale dei giornalisti televisivi e della carta stampata, nello spaventoso vuoto didattico, formativo e selettivo delle università italiane. Sardine, pd, grillini sono il frutto di questo vuoto. Le sardine mi riportano alla mente le parole di Giacomo Matteotti quando denunciava alla Camera i brogli elettorali nelle elezioni del ’24 ”qui non siamo al Messico!”: un secolo dopo ci tocca constatare che qui siamo peggio che in Messico, siamo nel più corrotto Sudamerica, dove si organizzano movimenti di sostegno al dittatore di turno. E i nostri custodi della democrazia ci vorrebbero convincere che è cosa normale che ci si mobiliti non contro il governo ma contro l’opposizione! Quanto al Pd, è il partito del potere, del privilegio, del capitale: una versione camuffata e peggiorata dei più biechi partiti reazionari del passato, l’esatto contrario di ciò che dà ad intendere di essere e di rappresentare. I grillini sono la nube tossica che si è levata dalle terre dei fuochi. Se quelle terre venissero sanificate la nube si dissolverebbe.

Ma i grillini non spariranno, così come non sono spariti i compagni. Saranno drasticamente ridimensionati ma non spariranno: bene che vada riappariranno sotto mentite spoglie.


La forza perversa della loro debolezza politica etica morale culturale risulta evidente nelle aree più depresse del loro bacino elettorale, nelle quali, al di là dei programmi, dei proclami, dei voltafaccia, la politica è diventata attrattiva da quando si è visto il commesso, l’insegnante precaria, il nullafacente balzare da un giorno all’altro nell’empireo dei benestanti grazie a un pugno di voti raccolti col passaparola. Si può saltare a piè pari l’ostacolo del lavoro che non c’è, e che, quando c’è, porta con sé fatica tanta e denari pochi, non ci si sporca le mani con attività illecite: i soldi si possono fare seguendo l’esempio del vicino di casa, del figlio della portinaia, dell’animatore del villaggio vacanze o del bibitaro dello stadio. La politica è la nuova manna, la lotteria che non distribuisce vincite a caso ma si lascia manipolare con facilità, un po’ di faccia tosta, un gruppo di amici che ti sostiene, tanto potrai contraccambiare, la famiglia che è con te. Basta crederci per poter sognare, molto meglio che stare in coda per entrare nella casa del grande fratello, che lì uno solo ce la fa mentre qui c’è posto per tutti, o quasi. È l’Italia giovane, disperata e cialtrona, senza un’idea di futuro, ignara di sé, del proprio passato, vittima di tutti gli stereotipi, vile e violenta. L’Italia delle sardine, del tutti in casa senza fiatare, degli anarchici a corrente alternata, dei collettivi studenteschi su commissione, l’Italia di un sud lamentoso, risentito, questuante, cronicamente incapace di rimboccarsi le maniche e di sollevarsi. È qui che i cinquestelle hanno messo radici ed è qui che  la politica si è messa a nudo: le sue parole sono solo rumore, gli obbiettivi un pretesto o un acchiappacitrulli, si fa oggi quello che ieri si condannava, quello che prima era fondamentale ora non conta più nulla, tav, trivelle, ilva, alitalia, casta, uno vale uno, Bibbiano, tutta chiacchiera, era quello che la gente voleva sentirsi dire e gli si è detto, l’importante era il voto sulla rete, il voto elettorale lo garantivano la popolarità di Grillo e la rabbia, ma anche il qualunquismo, degli elettori. Del resto per quale motivo si voleva aprire il parlamento come una scatoletta di tonno? Per mangiarlo, ovviamente. E su Grillo, la sua finta rabbia, il suo delirio di onnipotenza, le sue spericolate inversioni di rotta, parola non vi appulcro.

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

 

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