I binari sono molto chiaramente tracciati dalla Costituzione (a proposito; io, entrando nell’insegnamento, giurai solennemente fedeltà alla Costituzione: lo fanno anche i nostri parlamentari?)
DUE PAROLE SULLA
“CRISI” DI GOVERNO


                                                 di
Sergio Giuliani      versione stampabile

 Proprio in questi giorni mi è capitato di rileggere per l’ennesima volta “L’Orologio” di Carlo Levi, chissà perchè rimasto l’unico romanzo-saggio ad occuparsi del dopo 25 aprile, mentre migliaia di altri scritti si fermano a quella data come un tramway al capolinea.

Quando uscì (1950), il libro fu subissato dagli attacchi da “sinistra”. Non si sopportava una voce discorde dal coro, che chiariva, come il bambino della favola, che, spesse volte, o sempre, il re è nudo.

Sono tornato spesso a quel libro, sia perché è molto ben scritto, sia perché descrive, unico testo, la fine, triste e dignitosa del Governo retto da Ferruccio Parri e formato da uomini del Comitato di Liberazione nazionale perché tutti, alleati e non, vogliono sia riconsegnato ai partiti vecchio-nuovi, tutto il potere, per poterne governare agevolmente le mosse, rese così prevedibili.

Ricordo benissimo, in casa mia, lo sconcerto alla notizia della caduta del governo Parri, che se ne andò in un piovoso autunno 1945 senza sbattere la porta (anzi; nel bailamme non ci si accorse nemmeno che il Presidente era uscito dalla sala del Viminale dove aveva convocato la stampa per comunicazioni). I miei dissero qualcosa come “E’ finita…”

Ma è da una vita ormai che rivedo, dalle foto d’epoca e dalle pagine di Levi, il fragile (ma mica tanto, come tempra!) Parri leggere le sue comunicazioni con occhiali in punta di naso e fra Togliatti (logicamente alla sua sinistra) e De Gasperi (logicamente alla sua destra) e mi chiedo se quel gioco delle parti voluto da tutti e due per toglier di mezzo le novità politico-intellettuali nate dalla resistenza e non gradite come il Partito d’Azione sia un continuum della politica italiana, addirittura da Cavour e da Giolitti in poi, o una scelta di cui tutti pagammo i costi, allora, circoscritta a “quella” difficile realtà.

Leggi e rileggi di storia (consiglio “Un’arida stagione” di Furio Diaz, per anni sindaco rosso, scarlatto, di Livorno) ho acquisito l’idea di una costante politica per cui si è consci di non poter gestire il potere con le sole forze o diciamo socialiste o democentriste e che quindi, logorati i supporters voluti sempre molto piccoli, si debba arrivare all’abbraccio da anaconda, per cui prima si risolvono insieme problemi antichi come la democrazia italiana e che non ci si finisce di sorprendere perché siano sempre ed ancora all’aria, poi si fa a chi stritola di più e meglio! E chissà che Aldo Moro non sia davvero finito nelle spire dell’anaconda!

Un governo vincente per un pelo e senza premi di maggioranza ha evitato nove mesi di imboscate e di insulti, ma, alla fine, è stato battuto in Parlamento. E giù a dar colpe ad alleati in un fronte davvero troppo vasto ideologicamente; giù a tirare in ballo Papa, Usa e industriali. Brevi ragioni, e di fiato corto!

Gli è che, quando in Italia non solfeggi, ma suoni ed affronti i problemi sul terreno, vecchi da far muffa, a viso aperto, impaurisci, esci dalle regole del quieto cabotaggio. Tra le privatizzazioni di Bersani e le infinite Cirami-Cirielli, piccole trappole per salvare i capitali del “padrone”, tra il ponte-sullo-stretto che si può anche non fare e i collegamenti ferroviari europei che vanno fatti (certo, nei luoghi ottimali) ce ne corre.

Facciamo un gioco dei sospetti: era proprio questo il tempo di richiedere l’ampliamento della base di Vicenza? Perché non al precedente governo?

Ho cercato di ragionare da patito dello studio della storia; da politico, stasera 23 febbraio, non saprei davvero se si va allo sfascio, alla soluzione comunque rappezzata o a che cosa.

So soltanto che governare, in Italia, si paga; dà noia agli opportunisti, ai cosiddetti “poteri occulti”. “Quieta non movere” dicevano gli antichi;”Sopire, troncare, padre molto reverendo. Troncare, sopire!” così quel manzoniano conte zio che assomiglia maledettamente a tanti poteri politici attuali.

Che fare? Invitare tutti alla ragione, una volta per tutte; quella logica e rispettosa, che non accetta di essere, di sentirsi imbrigliata né dalle utopie, né dalle fedi. L’azione politica, piaccia o meno, deve essere realista e muovere non da una visione accomodata e fideistica del mondo, ma dalla congerie dei dati e delle situazioni reali. Si debbono affrontare problemi, non peccati o fedi in quel grande uomo che fu Trotskij o in altri. Una visione preconcetta, in politica, è fuorviante. I binari sono molto chiaramente tracciati dalla Costituzione (a proposito; io, entrando nell’insegnamento, giurai solennemente fedeltà alla Costituzione: lo fanno anche i nostri parlamentari?).

Perché non si debba fare il discorso di Sartre e della De Beauvoir , quando De Gaulle vinse a piene mani il referendum e concluse, a modo suo e si fa per dire, ma la concluse per la Francia, la questione algerina e disarmò l’Oas, che dissero: colpa nostra perché non abbiamo insegnato al popolo a votare seriamente, che è un discorso sempre ambiguo, anche se ha molto di veritiero, basta con le fumisterie ideologiche, con le mordacchie al pensiero laico di là dal Tevere, con il mal di cadrega che si diffonde subito e senza antidoto.

I problemi non si rifiutano o si negano per dialettiche di fede: si guardano in faccia e si affrontano. Pulitamente e fidando nella virtù della logica argomentativi e nella pazienza di trovare ragionevoli risoluzioni a problemi incalliti sui quali è funghita l’inerzia vile e paurosa.                                                                     

Sergio Giuliani