E' più giusto perseguire gli ideali in cui si crede sino alle estreme conseguenze o è invece più saggio mediare per ottener comunque un risultato meno alto ma più raggiungibile?
Svet
(La luce risplende nelle tenebre )

MARGHERITA PIRA

Gli spettacoli del Teatro Stabile di Genova sono sempre per me una fonte eccezionale di emozioni.

L’ultima volta è stato Svet di Leone Tolstoj.

Era in programma al Duse e io ero incerta se accettare o meno l’offerta perché temevo che lo spettacolo di un autore classico e ormai assolutamente consacrato come grande potesse essere pesante e in più non conoscevo il testo.

Poi sono andata, soprattutto per rispetto dell’autore e del regista, cioè Mario Sciaccaluga.

Si apre il sipario. L’arredamento scenico è bello e leggermente crepuscolare. Un dolce bosco di betulle, un tavolo allestito in modo elegante, una famiglia della nobiltà russa fine ottocento. Una grossa preoccupazione in tutti i personaggi: il padre, marito, cognato, futuro suocero si è convertito al cristianesimo totale e prova a vivere seguendo in toto il Vangelo. E’ lo scompiglio nella famiglia, è la rivoluzione nella società.

Finalmente appare in scena il reo. Un uomo di mezza età ( assomiglia vagamente a Cornacchione ) che torna nella sua tenuta di campagna dalla città dove è andato a difendere  in tribunale alcuni suoi contadini che hanno tagliato dieci alberi del suo bosco. Le autorità del villaggio li hanno denunciati e lui è andato a difenderli perché la terra non è sua ma di chi la lavora.   

Alcune scene , effettivamente sono pesanti e un po’ troppo didascaliche perché l’autore vuol far capire al pubblico la sua ideologia fatta di cristianesimo integrale e di socialismo anarcoide.  Vuole convincere, probabilmente, o almeno creare dubbi e problemi.

Io trovo che i missionari che predicano siano sempre un po’ noiosi. Quelli che operano no. Infatti non predicano.

Tornando allo spettacolo,viene chiamato il sacerdote del villaggio per riconvertire il reprobo alle buone pratiche, ma questi rimane lui stesso sconcertato.

In lui si è fatto strada il dubbio.

Un figlio si ribella apertamente; cognata e futura suocera sono indignate e temono per il patrimonio di famiglia; la moglie per il destino dei figli.

Si fa intervenire la massima autorità ecclesiastica della Russia: persona anziana e corpulenta che ispira riverenza. Offre a tutti la mano da baciare, ma Nicolaj Ivanovic gliela stringe come ha fatto prima con quella del cameriere perplesso.

Il prelato interroga il protagonista e, alle sue risposte, si allontana offeso.

Intanto però il giovane principe - fidanzato con una delle figlie viene preso da perplessità e dubbi.

La moglie riesce a farsi cedere il patrimonio di famiglia, ma ormai tutto è dissestato.

Il messaggio proclamato è riuscito a sconvolgere quel piccolo microcosmo esterefatto.

Il principe – fidanzato deve prestare il servizio militare,ma ( sempre seguendo il dettame evangelico ) rifiuta di prendere le armi e di prestare giuramento allo zar.

E’ qualcosa di inaudito. I vari rappresentanti delle gerarchie militari interrogano il giovane, giungono alla tortura, usano i mezzi di persuasione. Bella trovata teatrale è il far commentare le parole del tronfio generale da pernacchie e fischi fuori scena Tutto comunque è inutile. Il giovane non cambia la sua posizione.

Il cappellano militare fugge inorridito e lo definisce blasfemo.

Il principe viene destinato al carcere dove si consuma in una lenta agonia.

Poi tutto rientra nella normalità, come era prevedibile. Il sistema sociale può festeggiare, dimenticando i suoi turbamenti, il proprio trionfo. Solo il principe si consuma in carcere sino alla distruzione.

La finale, al contrario, a me è risultata non prevista. Nicolaj viene ucciso dalla madre del giovane freddamente decisa a vendicare il figlio , a suo parere, perduto dalle dottrine nefaste. 

A parte la validità teatrale dello spettacolo e l’evidente bravura del regista, mi sembra che il testo proponga un problema terribilmente attuale: è più giusto perseguire gli ideali in cui si crede sino alle estreme conseguenze o è invece più saggio mediare per ottener comunque un risultato meno alto ma più raggiungibile? E’, credo, il problema che si pongono tutti gli elettori del centro – sinistra in bilico continuo tra un riformismo forse più facilmente praticabile e un integralismo più idealmente corretto ma spesso troppo difficile da attuare.

C’è molto di Tolstoj in “Svet”. Il vecchio scrittore, tormentato da slanci di purezza, visse sulla propria pelle  l’ impossibilità di far coincidere la teoria con la pratica quotidiana sino a concludere la sua esistenza, solo e disperato, nella squallida stazione di Astopovo.

Credo che a tutti noi (se vogliamo essere coerenti con i nostri principi) la vita ponga questo dilemma. La risposta è strettamente individuale.

Ma è tanto difficile!

Margherita Pira