Quando sento parlare, dal presidente della Provincia, di “creare nuove figure professionali”, mi viene un brivido. Non abbiamo bisogno di un esperto che venga a dirci di spegnere il cerino, e come farlo

Spegnere i piromani:
il verde e la   coscienza civile
 Prima parte

                                    di Nonna Abelarda          versione stampabile

Il grande incendio di Capodanno a Valleggia ha richiamato l’attenzione, purtroppo in modo drammatico, su un problema enorme per l’ambiente e il territorio, che qui da noi ci troviamo costantemente a fronteggiare: quello dei devastanti incendi di bosco.

Da ambientalista appassionata di natura e per così dire, idolatra delle piante, non so dirvi quanto soffra per questa piaga. Per non parlare delle vittime umane, cosa che non è una triste novità degli ultimi tempi, se pensiamo anche ai Canadair caduti in passato. Ma naturalmente, il punto non è esternare i miei lamenti. Il punto è, come sempre, trattare o almeno cercare di trattare argomenti concreti.

Se non altro, magrissima consolazione, siamo stati agli onori delle cronache nazionali, e qualcosa per l’occasione si è mosso: convegni e parole di politici e protezione civile. Ma anche se un apparato funzionale per cercare di intervenire in tempo, circoscrivere e limitare i danni, è pur sempre auspicabile e meglio di niente, nasce comunque il malizioso sospetto che si tratti di mettere su enormi carrozzoni con interessi precisi per qualcuno, o anche solo spremere finanziamenti ad hoc, che purtroppo, come si sa, non è detto vadano tutti a buon fine. Al di là dell’argomento, pur legittimo, di una rete di monitoraggio e intervento efficiente, non si calca mai abbastanza la mano sul discorso a monte, ignorato o dato troppo per scontato: educazione e prevenzione.

Quando sento parlare, dal presidente della Provincia, di “creare nuove figure professionali”, mi viene un brivido. Non abbiamo bisogno di un esperto che venga a dirci di spegnere il cerino, e come farlo. Abbiamo bisogno di non accenderlo proprio, quel cerino. E figure professionali vanno benissimo quelle vecchie, purché non sotto organico e messe nelle condizioni di operare al meglio.

Ecco, non si tratta di creare professionisti, ma tutti quanti noi dovremmo avere un rapporto corretto con l’ambiente, di cura, estremo rispetto, attenzione. Perché è chiaro, lampante, evidente che non è così. A partire dalla città, dai suoi abitanti e amministratori. Guardate quanti sono gli spazi verdi e come sono tenuti, e soprattutto come sono considerati. Questo già la dice lunga. Chi si comporta così in città, che atteggiamento avrà nelle gite fuori porta, come cacciatore, fungaiolo, escursionista? Starà abbastanza attento a non sporcare il bosco e ai pericoli di incendio, o sarà negligente e trascurato in proposito?

Per non parlare delle case in campagna. Lo avevo scritto in un articolo di qualche tempo fa: molti abitano nel verde ma lo ignorano, quasi si trattasse di un bello sfondo dipinto. I boschi  e le campagne sono sporchi, trascurati, invasi da sterpaglie. Non solo perché si è persa l’esperienza, perché non si ha tempo, perché è venuto meno quel concetto utilitaristico di curare il bosco per averne dei vantaggi concreti, ma anche e soprattutto perché si è smarrito il senso della comunità agricola, qualsiasi spirito di comunione con la natura. Si abita in campagna come in città, sperando solo nell’aria un po’ più pulita, senza neanche conoscere il vicino.

L’idea, il concetto stesso, peraltro molto nebuloso e generico, di “piromane”, cioè di persona che per malattia mentale (ma ho i miei dubbi, che siano tanti con questa caratteristiche), interesse, dispetto, gioco perverso ecc. dà fuoco a un bosco, è sintomo di una società alienata e malata, che ha perso i suoi millenari punti di riferimento. Tralasciamo i fuochi di pulizia che sfuggono al controllo: ci sarà anche incoscienza o inesperienza, ma purtroppo è un rischio concreto anche per i contadini più esperti.  Ma sparare razzi pirotecnici in prossimità di un bosco, come si dovrebbe classificare? Leggerezza, irresponsabilità o qualcosa di peggio, mancanza totale di coscienza civile? Non sottovalutiamo un sintomo del genere, altamente significativo.

Del resto, c’è un errore di fondo, su cui non si riflette mai ma che dovrebbe essere assolutamente intollerabile: si dà quasi per scontato, con rassegnazione, che il bosco possa bruciare. Si creano mappe delle zone a rischio, dei periodi dell’anno, delle condizioni atmosferiche, di vento, siccità, calura, che favoriscono lo svilupparsi delle fiamme. E mi sta bene, come monitoraggio o prevenzione. Ma non esiste proprio che si ammetta implicitamente come in queste situazioni il fuoco, quasi inevitabilmente, prima o poi da qualche parte arrivi. Non ci si può arrendere in partenza.

L’ineluttabilità è un concetto assurdo. Se anche, che so…per esempio, in prossimità di grandi serbatoi petroliferi, di raffinerie o rigassificatori si studiano i rischi di incidente, si fanno piani di evacuazione per la popolazione e cose così, mica si dà per scontato che, in presenza di materiale altamente infiammabile, l’incidente prima o poi debba per forza avvenire! Anzi, si fa di tutto per evitarlo.

E allora, perché non è così anche per i boschi? Perché non cambiamo proprio la mentalità alla base, questa rassegnazione di fondo? Una voce maligna mi dice: perché si sa che nei boschi, prima o poi, a qualcuno l’incendio “conviene” farlo scoppiare. Ma non voglio darle retta, faccio finta di non sentire.  Bisogna fermarlo, questo qualcuno. Metterlo nelle condizioni di non nuocere. E lo si ottiene solo se questi “qualcuno” sono pochi, isolati, e quelli che si oppongono sono tanti, preparati e determinati a impedirlo.


Nonna Abelarda