FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi

   Il caso Welby in Consiglio Comunale  

Desidero tornare sul “caso Welby”, oggi  fuori dai riflettori, per ribadire che non si è trattato solo del “caso di Welby”, non solo di una drammatica vicenda personale, che ha trovato la sua  conclusione in un atto di solidarietà altrettanto personale. Anche ma non solo.

La vicenda di Piergiorgio è stata, per sua stessa volontà, una vicenda politica e, di più, una vicenda umanitaria.

Il caso umano avrebbe potuto trovare molto prima la soluzione di cui era in cerca, come avviene quotidianamente nei tanti casi di eutanasia clandestina.

Ma l’esercizio dei propri diritti non può essere azione clandestina e se in un certo paese e in una certa società e in una certa cultura lo diventa, molto in quel paese, in quella società, in quella cultura non funziona.

In Italia il diritto di rifiutare trattamenti sanitari non voluti è sancito dalla Costituzione e di fatto negato dalle leggi o pesantemente affidato all’interpretazione dei giudici e, quindi, esposto al rischio di differente valutazione ideologica e conseguente disuguaglianza. Così è avvenuto ad esempio per le due donne che tempo fa hanno rifiutato l’amputazione dell’arto: il diritto riconosciuto a una è stato negato all’altra.

Per quanto riguarda poi il Testamento biologico, ne esiste da tempo la legge ma non le norme attuative che ne consentono l’entrata in vigore.  

Non possiamo volere che l’Italia resti il paese della clandestinità, dell’illegalità indotta, della disparità, della contraddizione normativa e dell’ipocrisia socio-culturale.  

Non possiamo volere che i cittadini italiani godano di diritti attenuati rispetto ai cittadini di altri paesi, cosa che purtroppo accade rispetto alla fecondazione assistita, alla pillola abortiva, alla ricerca sulle staminali embrionali, alla diffusione dei cannabinoidi per la terapia del dolore, all’estrema richiesta di decidere della propria vita in condizioni di estrema sofferenza come quelle testimoniate da Piergiorgio.  

Non possiamo volere che l’Italia resti un paese che incrudelisce sui singoli in nome di principi controversi. Le questioni eticamente sensibili sono proprio quelle in cui nessuna scelta può essere obbligata secondo criteri e valutazioni altrui e infatti quello che si chiede alla legge non riguarda l’obbligare ma  il consentire.  

Non possiamo volere che l’Italia resti, nelle sue istituzioni, nelle sue prassi e nella pubblica opinione, analfabeta della laicità.

Non lo voleva Piergiorgio, che ha accettato un surplus di vita dannosa per vedersi riconosciuto alla luce del sole quello che era suo: il diritto di sottrarsi a una vita percepita come dannosa e di morire senza dolore.

Welby ha agito con senso politico, facendo dono alla polis della sua sofferenza, perché la polis potesse avvantaggiarsene. Così come  atto politico, oltre che di umana solidarietà, è stato il gesto di disobbedienza civile compiuto da chi ha materialmente esaudito la sua volontà.

Per questo il “caso Welby” non può finire con la morte di Welby e se così accadesse avremmo tradito lui, la sua vita, il nostro paese e noi stessi. Bisogna tener desto il problema e diventare le spine nel fianco della politica, ad iniziare dagli organismi più vicini alla base.  

Così, ho nuovamente portato nel Consiglio Comunale di Finale Ligure  un ordine del giorno di argomento biopolitico, per sollecitare il Parlamento a discutere quanto prima con serietà, attenzione e conclusività Testamento biologico ed eutanasia, secondo la richiesta fatta nell’ultimo periodo di vita da Piergiorgio Welby. 

La reazione dei colleghi Consiglieri, soprattutto di quelli di maggioranza, è stata di imbarazzo e di ostilità, il sindaco è arrivato ad accusarmi di sprecare il denaro pubblico per una mezzora di discussione in più dedicata a temi da lui giudicati fuori luogo. Né è stato facile far comprendere che non si chiedeva un SI’ o un NO su argomenti davvero molto complessi ma una pressione politica perché il Parlamento provveda a definire la materia, qualunque ne sia l’esito. Eppure il testo parlava chiaro.

Alla fine però, non senza lo sgattaiolare via di qualcuno forse più a disagio degli altri, l’ordine del giorno è stato votato all’unanimità a condizione che non vi fosse citato il nome di Piergiorgio Welby, a cui si collegava troppo l’idea di sostegno all’eutanasia.

Mi è spiaciuto accettare quella condizione ma l’ho fatto comunque in nome di una causa a cui lui stesso ha tanto sacrificato e certo non avrebbe esitato a sacrificare il  nome.

Sono soddisfatta dell’esito, così come di quello ottenuto da un mio altro odg presentato allo stesso Consiglio, di sostegno alla richiesta all’ONU di moratoria universale della pena di morte, annunciata dal nostro governo.

Un filo sottile lega le due materie e le problematiche ad esse legate.  

Per me quel filo consiste nell’impossibilità da parte di uno stato di dare o negare la morte, ovvero di togliere o rendere obbligatoria la vita.  

Spero che altri Comuni discutano questi temi che devono uscire dalle conferenze o dalle campagne degli addetti ai lavori e diffondersi quanto più possibile nella cultura della responsabilità pubblica.

Gloria Bardi

   www.gloriabardi.blogspot.com

 

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