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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

 Equorum mirabilia

 

Ottava parte

Il Circo Massimo

Corse di Cavalli nell’antichità. 3

 

 

L’organizzazione

 

La tradizione vuole che i gradus del Circo tarquiniense fossero divisi in trenta settori, ognuno destinato ad una delle curiae nobiliari (DION. AL. ant. Rom. III 68, 1); dai tempi di Augusto in poi però l’antica discriminazione fra patrizi e plebei era divenuta un ricordo retorico, sostituita da un’altra piú “moderna” fra senatori e cavalieri da un lato, cui erano riservati i seggi migliori, e proletarii dall’altro, che comunque assistevano anche se dai posti piú disagevoli (SUET. Aug. 44, Claud. 21, Nero 11, Domit. 8). Naturalmente si sedeva sulla nuda pietra, almeno gli spettatori del primo piano, onde le signore si portavano pulvinus e scabellum, infatti i due sessi non erano discriminati, ciò che dava esca ai maliziosi consigli di Ovidio (ars am. I 136 sqq.).

 

Nel Circo non serve mettersi d’accordo a cenni, fa’ in modo di sederti accanto alla ragazza che t’interessa, tanto nessuno lo vieta, e stringiti a lei piú che puoi colla scusa che non c’è spazio, poi attacca discorso con un argomento neutro, ad esempio chiedendole chi corre nella prossima gara, e fai immancabilmente il tifo per quelli per cui tifa lei. Durante il corteo, quando ti passa davanti la statua di Venere spellati le mani ad applaudire. Ogni pretesto è buono e le piccole attenzioni conquistano la loro vanità: se ha un granello di polvere in grembo, toglilo con premura, e toglilo lo stesso anche se non ce l’ha; se la veste le striscia per terra, sollevala e spolverala e intanto approfittane per dare un’occhiata alle gambe; sta’ attento che qualche zotico della fila di sopra non le pianti le ginocchia nella schiena, mettile un cuscino sul sedile, falle vento, mettile uno sgabello sotto i piedi.

 

Consoli e magistrati stavano forse nell’oppidum o forse sul podium.

A volte nel Circo si poteva assistere a spettacoli particolari, ad esempio combattimenti di squadroni di cavalleria, venationes ossia orride lotte fra gladiatori e belve o fra belve di specie diverse, tornei di atletica, forse naumachĭae (battaglie navali) per le quali veniva inondata l’arena, ma le gare par excellence erano quelle ippiche. Oggi noi, a parte altre specializzazioni quali il salto ad ostacoli, il dressage e l’alta scuola spagnola, pratichiamo il galoppo col fantino montato ed il trotto col guidatore sul sulky. I Romani avevano abitudini diverse: a quanto sembra, il galoppo non esisteva se non nella forma, assai strana dal nostro punto di vista, dello iubilator, un jockey su corsiero detto grecamente kélēs, ed in latino equus desultorius, che precedeva la quadriga cui era associato coll’incarico di sgombrarle la via o di affiancarla per incalzare gli animali quando l’auriga era impegnato a governare le redini. Le competizioni vere e proprie erano solo di bighe, ossia tiri a due, e quadrighe, ossia tiri a quattro, che indubbiamente costituivano per la loro spettacolarità il clou dell’esibizione e per gli agitatores (i conduttori) la vittoria piú ambíta. I cavalli delle bighe erano ovviamente aggiogati, di quelli delle quadrighe invece solo i due interni, detti per l’appunto iugales, mentre i due esterni, detti funales, erano attaccati tramite cavi.

Si cominciava colla pompa circensis, una sontuosa processione in cui si trasportavano a spalla su barelle e su carri trainati da buoi le statue degli dei, accompagnate dalla parata dei partecipanti e dalla banda, sin dentro il Circo attraverso la porta pompae.

 

 

 

Ciò accadeva durante il principato di Augusto in ventisette ricorrenze annue, cresciute a sessantasei nel IV sec. d. C. Sempre sotto Augusto ogni giorno della festa si correvano dieci o dodici gare (missi, l’ultima detta missus aerarius), da Caligola aumentate a venti e da Nerone a ventiquattro, che divenne il numero canonico, anche se taluni imperatori per ingraziarsi il popolaccio a volte lo moltiplicarono riducendo la singola durata. Si percorrevano sette spatia a partire dall’alba meta della corsia sudoccidentale in senso antiorario sino al traguardo nella corsia opposta alla medesima altezza, compiendo in tal modo tredici semistadi; ora, se si postula una lunghezza media della spina di circa trecentoquarantacinque metri, ne risulta un percorso totale minimo di circa quattro chilometri e mezzo, molto piú di quanto oggi non si faccia: ad es. nel Regolamento corse al trotto disposto dall’ENCAT, attualmente in vigore in Italia, si parla di gare su una distanza di milleseicento o duemilaquaranta metri.

La ricostruzione della partenza è assai problematica; quanto segue è solo un’ipotesi che a me pare la meno improbabile. Quando i concorrenti, da quattro a dodici ossia da uno a tre per ognuna delle quattro factiones, di cui dirò dopo, avevano raggiunto ciascuno la sua carcer, che gli era stata assegnata per sorteggio, l’imperatore, o il magistrato che finanziava i giochi se l’imperatore non era presente o glielo concedeva, dava il via alla gara lasciando cadere a terra un fazzoletto bianco (mappa).

 

 

 

A questo punto particolari inservienti, forse gli armentarii, rimovevano una fune detta con termine greco hýsplē(n)x e aprivano contemporaneamente tutti i cancelli degli stalli impegnati (immagini pertinenti nella scheda della settimana prec.): i contendenti uscivano e, tenendosi obbligatoriamente nella loro corsia, raggiungevano l’alba linea.

Di qui in poi s’entrava nella lizza vera e propria, dove non valeva piú alcuna regola a parte quella del dover vincere, se è vero che Pelagonio, l’autore dell’Ars veterinaria cit. nella scheda del 21 dicembre, enumera fra i danni dei corsieri le ferite agli occhi inferte dallo scudiscio di un rivale. In ogni modo norme tanto primitive causavano di sicuro un gran numero di disgrazie (naufragia), assai pericolose per di piú perché l’agitator si legava intorno al corpo le lunghissime briglie al fine di poter fare maggior forza col tronco nella guida e quindi in caso d’incidente rimaneva imprigionato in esse né poteva saltar giú dal carro.

 

 

Vengono a mente le norme, anch’esse assai primitive, che sino a qualche decennio fa regolavano le corse automobilistiche, ove non a caso il numero di morti era impressionante, e i palii “storici”, in cui sopravvive in parte l’antica inciviltà, infatti vi càpitano incidenti molto piú spesso che nelle gare ippiche moderne: al Palio di Siena

 

dal 1970 ad oggi sono morti [...] ben 47 cavalli, spesso feriti durante la gara e abbattuti successivamente lontano dalle telecamere, quest’anno [2003] l’infortunio è toccato a due cavalli Alghero, abbattuto poche ore dopo la corsa, e Big Big, rimasto ferito, deceduto dopo un’operazione (LAV, Palii e feste con animali, www.infolav.org).

 

Il vincitore saliva alla spina dove riceveva dall’editor spectaculorum la palma e il laurus della vittoria e la ricompensa (brabeîon, bravium).

 

 

I purosangue berberi ed ispanici, trasportati in Italia su apposite passacavalli dette hippagines o hippagogoe (hai hippagōgoí), venivano tenuti negli stazzi del Campo Marzio e portati al Circo, che distava circa due chilometri, il giorno delle gare; sembra pure che stabula factionum esistessero nella Regio nona sotto il Campidoglio, dov’è oggi Palazzo Farnese. Quanto ai fantini e agli aurighi, erano d’umili origini, schiavi o piú raramente liberti, destinati molto spesso ad una morte precoce (in CIL VI 10078 si legge addirittura l’epitaffio di un bigarius infans), ma i “campioni” raggiungevano fama e ricchezze favolose: chi superava le mille vittorie otteneva il titolo di miliarius e l’iscrizione del nome negli Acta diurna ed alcuni nei bassi tempi divennero, grazie alla loro ascendenza sul volgo, pericolosi capipopolo, come mostra un editto dell’imperatore Maggioriano (r. 457-461), di cui resta solo il titolo significativo: de aurigis et seditiosis (Leg. Nou. Maior.); del resto la rivolta della Nica, che rischiò di travolgere Giustiniano nel 532, sorse dalle gradinate dell’ippodromo di Costantinopoli (PROC. bell. Goth. I 24).

Luigi Grifi (Sopra la iscrizione antica dell’auriga Scirto, in “Accademia archeologica” 1854, V 18) descrive la scoperta ottocentesca, nel colombario della Via Latina, del titolo sepolcrale di Scirto, il quale cominciò la carriera il 13p fra i “Bianchi”, vinse in tredici anni sette volte, trentanove fu secondo, quaranta terzo, ecc. ecc. Marziale ricorda Scorpo, clamosi gloria Circi, morto giovane nell’arena (X 53), che una volta con un impegno sportivo di un’ora riuscí a intascare quindici sporte d’oro (X 74). Diocle di Lusitania, vissuto sotto Adriano e Antonino Pio, quando lasciò le gare all’età di quarantadue anni aveva guadagnato oltre trentacinque milioni di sesterzi, a quel che dice il suo orgoglioso epitaffio (HUMPHREY, op. cit.). Ma come sempre, dove denaro e fama sorpassano la misura, là alligna anche il malaffare: scommettitori, “tifosi” senza cervello e avversari di un’altra factio potevano ricorrere, per danneggiare i rivali, all’illusione della stregoneria oppure alla pratica ben piú efficace dell’avvelenamento. Anche oggi le corse ippiche coltivano un ampio sottobosco furfantesco collegato alle scommesse, lecite o clandestine, ma di solito, quando si vuol truccare un risultato si fa uso della corruzione o si danneggiano i cavalli, non gli esseri umani (C. TROIANO, Rapporto zoomafia 2003. Animali & business: analisi di un fenomeno criminale, Osservatorio Nazionale Zoomafia-LAV).

Ci son giunte soprattutto dall’Africa molte lamelle di piombo (nelle corrispondenze alchemiche Saturno, il dio che avvelena il cuore degli uomini, come sanno tutti gli ammiratori di Duerer e i lettori di Panofsky, molto adatto quindi ad ospitare un maleficio) dette modernamente tabulae o tabellae defixionum, incise con una fattura contro questo o quello, spesso arrotolate e fatte scivolare nella tomba di un morto, che doveva fungere da intermediario verso gli dei inferi cui si demandava il tristo còmpito.

 

 

Ammiano Marcellino (XXVIII 1, 27) ricorda poi un processo eccellente svoltosi nel 368 in cui alcuni membri dell’alta società furono accusati d’esser discepoli e complici dei venefíci perpetrati da un auriga. Dai sortilegi, e dai rischi di un mestiere tanto pericoloso, gli aurighi si proteggevano con amuleti, tra cui forse quei particolari medaglioni bronzei con un solco circolare inciso al tornio e immagini circensi su una faccia, che noi chiamiamo contorniati (secondo altri, distribuiti invece al popolo dai potenti a fini propagandistici durante i giochi).

 

 

I Christiani, almeno quelli al vertice della gerarchia, di necessità piú intransigenti, non amarono gli eroi del Circo, come i teatranti e tutti coloro che in genere calcavano una scena pubblica: se credenti, finché facevano i guitti o i conduttori di cavalli dovevano esser tenuti lontani dalla santa comunione, sancí la seconda sinodo di Arles intorno al 450:

 

De agitatoribus siue theatricis qui fideles sunt, placuit eos, quamdiu agunt, a communione separari (Conc. Arel. sec.).

 

La gestione delle corse pare che in origine fosse affidata a società private, le quali garantivano corsieri, personale ed equipaggiamento. Col tempo alcune d’esse si specializzarono e s’ingrandirono, trasformandosi in vere e proprie squadre coi loro presidenti-proprietari come nel mondo attuale del calcio (factiones e domini factionum), e quattro di esse, distinte dal colore predominante dei finimenti e delle divise, finirono coll’avere il primato:

 

1.     factio prasina, i “Verdi”, secondo la convincente interpretazione tertullianea (spect. 9) collegati ai rituali di culto della primavera e sacri alla Terra;

2.     russata, i “Rossi”, l’estate, Marte;

3.     veneta, gli “Azzurri”, l’autunno, il Mare;

4.     alba o albata, i “Bianchi”, l’inverno, Zefiro.

 

Tale simbologia astrale è ulteriormente sviluppata nella lettera 51 del III l. delle Variarum, scritta da Cassiodoro a nome del re Teodorico all’auriga Tomaso: i quattro colori richiamano le quattro stagioni, le dodici carceres i segni zodiacali, le ventiquattro missae le ore del giorno, le bighe la Luna e le quadrighe il Sole, gli iubilatores figurano la Stella del mattino, i sette spatia i giorni della settimana, i tre coni delle metae i tre decani che sovrintendono ognuno ad una decade del mese...

 

 

In origine, comunque già durante la repubblica come mostra PLIN. VII 186, esistevano forse solo i Bianchi e i Rossi poi, sempre prima dell’era volgare, si aggiunsero gli altri due e da allora il loro numero rimase stabile, nonostante il tentativo fallito di Domiziano di portarlo a sei introducendo l’aurata e la purpurea (SUET. Dom. 7). Verso la fine del III sec. pare che Verdi e Azzurri divenissero dominanti e in un certo senso gli altri due si accodassero, rispettivamente i Rossi ai primi e i Bianchi ai secondi, se cosí va interpretato il fatto che nei documenti conservati spesso siano citati a due a due (ma a volte, ad esempio nella tabella di Hadrumentum riprodotta sopra, gli accoppiamenti risultano diversi). Nel IV sec. infine, anche per motivi di sicurezza visto l’enorme potere d’orientamento ideologico che scaturiva dai giochi, le factiones furono “nazionalizzate”, la loro direzione affidata agli aurighi anziani ed i cavalli forniti dalle scuderie imperiali. Per avere un’idea della complessità dell’apparato di una factio, in cui ogni in cui ogni funzione è indicata con un termine tecnico come nei piú seguíti sport odierni, riproduco la nota epigrafe della familia di Tito Ateio Capitone (CIL VI 10046 = ILS 5313):

 

Familiae quadrigariae T(iti) At(ei) Capitonis
Panni Chelidoni, Chresto quaestore,
ollae diuisae decurionibus heis q
(ui) i(n)=
(fra) s(cripti) s(unt):
M(arco)
Vipsanio Migioni,
Docimo uilico,
Chresto conditori,
Epaphrae sellario,
Menandro agitatori,
Apollonio agitatori,

Cerdoni agitatori,
Liccaeo agitatori,
Helleti succonditori,
P
(ublio) Quinctio Primo,
Hyllo medico,
Anteroti tentori,
Antiocho sutori,
Parnaci tentori,
M
(arco) Vipsanio Calamo,
M
(arco) Vipsanio Dareo, //
Eroti tentori,
M
(arco) Vipsanio Fausto,
Hilario aurig
(atori),
Nicandro aurig
(atori),
Epigono aurig
(atori),
Alexandro aurig
(atori),
Nicephoro spartor
[i],
Alexioni moratori,
[...]
uiatori

 

Sotto la supervisione del tesoriere Cresto ad ognuno dei seguenti membri della troupe di gara sulle quadrighe iscritta nella Squadra Rossa ed appartenente a Tito Ateio Capitone è stata distribuita un’ampolla d’olio: Marco Vipsanio Migione, Dòcimo sovrintendente, Cresto amministratore, Epàfra carradore, Menandro auriga, Apollonio auriga, Cerdone auriga, Licceo auriga, Ellète amministratore in seconda, Publio Quinzio Primo, Illo medico, Anteròte cuoiaio, Antíoco sellaio, Pàrnace cuoiaio, Marco Vipsanio Càlamo, Marco Vipsanio Darèo, Eròte cuoiaio, Marco Vipsanio Fausto, Ilario cocchiere, Nicandro cocchiere, Epígono cocchiere, Alessandro cocchiere, Nicèforo acquaiolo, Alessione trattenitore [si v. la didascalia della fig. di naufragium qui sopra], ? cursore.

 MISERRIMUS