FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi  

Le molotov scomparse
e il problema comune della Diaz

Proprio in questo periodo sto occupandomi di una ricostruzione storico-narrativa del G8 di Genova.

Ma non dell’intero evento, solo dei fatti accaduti alla Diaz e del conseguente procedimento nei confronti dei poliziotti.

Quello che mi ripropongo è un racconto  documentato che renda evidenti le responsabilità, in modo da poter raggiungere anche chi sulla cosa tarda a farsi un’opinione e forse ha deciso di non farsela affatto o chi, per inclinazione conservatrice, tende a simpatizzare con le forze dell’ “ordine”.  

In realtà costui o costei dovrebbero essere i primi a insorgere nel momento in cui l’“ordine”, di per sé compreso in qualsiasi patto sociale ma in funzione e non a dispetto della giustizia , si trasforma  nel suo esatto contrario: arbitrio, prepotenza, assenza di garanzia per la società e le persone. 

La cartina al tornasole del lavoro me la fornisce passo passo un amico, persona intelligente e di grande cultura , compresa una eccezionale perizia informatica, ma che di certo non ha inserito nell’arredo di casa sua il poster del subcomandante Marcos e forse non ha mai ascoltato i cd di Manu Chao: proprio lui mi ha detto, letteralmente:

“Cazzo, ma quante botte che gli hanno dato a Covell!”.

“Cazzo, ma questi qui [leggi: poliziotti] sono impazziti!”. 

Questo appunto mi ripropongo: che anche coloro che non vedono nella polizia come tale un nemico, si rendano conto di cosa effettivamente è accaduto. E questo per un fatto semplicissimo, che rende assolutamente necessario ritornare a quei giorni, nella fattispecie a quella notte del 21 luglio 2001 e a quanto ne è seguito, non solo perché essa costituisce una  ferita aperta per uno stato di diritto, ma perché i poliziotti in questione sono stati in gran parte promossi, mentre il processo è ancora in corso, ai vertici dei servizi segreti o delle forze del cosiddetto “ordine”, reso in tal modo ingarantibile. 

 Ma  la polizia e la politica  paiono non aver riportato dalla vicenda nemmeno un  fremito morale. 

Poliziotti che hanno fornito testimonianze smentite negli interrogatori successivi, perché i filmati ripresi a loro insaputa dall’alto e poi diffusi da Indymedia, hanno documentato lo svolgimento dei fatti costringendoli ad abbandonare la loro prima versione.  

Funzionari di vertice che dicono di aver steso relazioni su fatti non direttamente visti ma appresi de relatu e che alla domanda “Da chi?” rispondono: “Non so, non ricordo”

E sulla base del sentito dire arrestano novantatre persone e ne mandano in ospedale sessantadue, con ventotto ricoveri di cui tre in prognosi riservata.

Picchiano a sangue, rompono tre costole e mandano in fin di vita un giornalista inglese colpevole di niente. DI NIENTE. Per non parlare degli altri… 

Finiscono, e fanno finire anche noi, nel libro nero della giustizia internazionale e di Amnesty International. 

Se ci rassegniamo e tolleriamo che questo accada, qualcuno mi sa dire che cosa la celebriamo a fare la Giornata della Memoria? Con quale costruttività presente o futura, al di là di uno sguardo rivolto indietro? 

E i lettori si saranno accorti che qui non parlo ancora delle “prove” che si sono poi rivelate false: accoltellamento e molotov (oggi scomparse), perché devo ancora affrontare quei  passaggi e per ora potrei dire solo quello che tutti quanti ne sappiamo. Che è già abbastanza. 

Quanto avvenuto a Bolzaneto esula poi dallo specifico della mia ricerca ma non dalla mia memoria e così spero da quella di molti altri.  

Insomma, con questo mi preme concludere:  

gli avvenimenti della Diaz e la loro poco tranquillizzante evoluzione  rappresentano un problema  comune e non solo dei no-global o di quelli che sulla parete ci appendono ancora il “Che” o di quelli anche solo genericamente di sinistra ma anche di chi ritiene primarie cose come la sicurezza, la libertà individuale, l’equilibrio, lo stato di diritto e che alla parete appenderebbe non solo Cesare Beccaria, ma perfino  Cavour, Giolitti, De Gasperi o addirittura quel gran rivoluzionario di Prodi.

Gloria Bardi

   www.gloriabardi.blogspot.com

 

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