OGGI, HAI PARLATO TROPPO

OGNI RIFERIMENTO A FATTI O PERSONE REALMENTE ESISTENTI
E’ PURAMENTE VOLUTO
  

                                Samantha Giribone          versione stampabile

“…Hai detto che sai molto, che impari facilmente,
hai detto che sai sempre capire tutte le persone,
mi spieghi cosa fare in ogni situazione,
sei pieno d'esperienza, sentendo ciò che fai dicendo,
hai molte soluzioni pronte da sfoderare
talvolta, se richiesto, sai anche cucinare…” 

Il male della gioventù (e forse della società in generale) è L’APATIA.  

Voglio precisare: non che i giovani che frequento siano “a-patici”, in senso stretto, né tanto meno esperti praticanti del “quadri-farmaco” epicureo (1-non avere paura della morte; 2- non avere timore degli Dèi; 3- riconosci la brevità e provvisorietà del dolore; 4- riconosci la facile raggiungibilità della felicità, rifuggendo i “falsi” piaceri).  

Semplicemente ciò che definisco col termine APATIA è un atteggiamento mentale. Uno status symbol la cui iconografia è facilmente delineabile:

“sbuffo” cronico, necessità di trovare tutto estremamente “palloso”, skazzo congenito.  

Devo ammetterlo, noi “giovani” siamo veri maestri del “vivi nascosto” (che vi devo dire, stasera mi gira su Epicuro!). 

E al Liceo, in questo modus vivendi si cade per forza di cose.  

Anche se frequenti “il” Classico, quello con la C maiuscola (anzi due!), quello dove in ogni angolo (tra vari resti “nemici”: ancore e foto di imberbi marinai) ti ricordano che lì ha studiato Sandro Pertini.

Passi che hai scelto di imbastardirtelo un po’ perché ti credevi esterofila, ma una di “quelli…del Classico” sei e rimani. Checché ne dica il sudato (????) diploma di “Liceo Linguistico”. 

Recuperando il filo: alle superiori, nel pieno dell’adolescenza, sei costretto ad “omologarti” a questo status di “sonnolenza”. E il dramma è che non tutti sono realmente così, ma tutti comunque si conformano al ribasso, in una sorta di tacito riconoscimento “di branco”. 

Se leggi un quotidiano sei “quella che se la tira”, idem se manifesti un interesse che si spinga oltre il mero “voto”. 

All’Università, ho avuto modo di constatare, le cose cambiano. A meno che, mi sorge il dubbio, “quelli che se la tirano” non convergano tutti a Filosofia, regno incontrastato della masturbazione mentale (che, proseguendo in metafora, ritengo necessaria per passare da un socratico “conosci te stesso” a un platonico “procrea nel bello”, da trasferirsi in senso etico – politico - sociale).  

Ma forse all’Università si è già, almeno mentalmente, semi-adulti. Si ultimano le prove tecniche di responsabilità. 

Forse quindi è bene concentrarsi sul periodo precedente, tornando ancora un attimo tra i banchi e nelle aule fatiscenti (ma “s-crocefissate”) del Liceo. 

Qualche riga più su ho pronunciato (scritto) la parolina magica : “voto”.  

Per cinque anni ti senti ripetere incessantemente : “Voi pensate solo al voto e non alla vostra cultura/istruzione e blablablabla”. Questa frase naturalmente scende dalle virtuose labbra di chi i voti li dà e li fa pesare come macigni con metodi, sicuramente equi, ma piuttosto ciechi, come la famigerata “media matematica” (poi c’è chi, un po’ più intelligentemente, ogni tanto oltre alla media segue la moda, chi al contrario peggiorando si esibisce in voli pindarici tra “simpatie” e “sessismi”, e chi evidentemente non sa proprio contare).  

Risultato: Stress da Decimali.  

Ora riesco lucidamente a vedere l’inutilità di molte cose che ho pensato, fatto e prodotto, ridendoci anche sopra, ma i mesi antecedenti la “Maturità” sono stati percorsi da continue crisi di panico da calcoli: aggiungi crediti, togli debiti, somma i risultati, dividi le assenze, moltiplica i pani per i pesci, quadra il cerchio, fai una riverenza, fai una penitenza, calcola il minimo per gli scritti, il massimo per l’orale, i punti della tesina, le probabilità infinitesimali che ti diano quel benedetto bonus, sottrai i punti per essere passato col rosso, aggiungi quelli che ti daranno sulla zucca a seguito dello svenimento…  

Alla fine i miei genitori, nonostante l’assenza totale in me di qualunque conoscenza matematica “a priori” o “a posteriori”, meditavano di assumermi come commercialista.    

E loro, i professori (ripeto: non tutti. Ho avuto anche ottimi insegnanti di cui vado fiera. La mia critica è al “sistema scuola”, non alle persone, spesso umanamente e professionalmente eccellenti, che mi hanno istruita.) ghignano sornioni, loro che non pensano ai “voti” ma vogliono solo donarti la loro vastissima cultura: poi non si sa bene perché in una scala da 1 a 10 si ostinino ad usare quella dal 3 all’8…oltre tutto inesistente.  

Loro che si preoccupano così tanto di darti una preparazione che ti sia utile per il futuro, ma poi lapidano le tue prestazioni con degli insensati e “a-matematici”:

6-. Meno. Meno. Meno. Menomenomenomenomeno… 

E tu lì a guardarli e a pensare con quel briciolo di autostima e dignità che ti è rimasta: “Ma dammi 5e mezzo! Mi prendi per il culo o hai semplicemente paura di provocarmi uno choc se scrivi un dannatissimo 5??”. 

(Poi vorrei tanto sapere tutti quei meno dove caspita li infilano per fare la media). 

Se la mentalità scolastica impone queste insensate “ansie da prestazione”, come pensate che gli studenti possano trovare il tempo e la voglia (ma semplicemente la forza) di interessarsi per davvero a qualcosa? 

Nella mia personale esperienza, la figura che ha incarnato al meglio le nuove istanze del “ritmo scolastico” è quella del “moderno secchione”: non più necessariamente “sfigato”, bruttino, con gli occhiali e un po’ malaticcio. Il nuovo modello di secchione (termine che andrebbe sostituito con quello più appropriato di “leccapiedi”) è un esperto dell’arte del “tirare a campare senza darlo a vedere”.  

Ben vestito, sportivo, “nozionisticamente” onnisciente, maestro dell’antico esercizio del continuo annuire (nello stile tipico del “cagnolino di plastica sul cruscotto”), il Leccapiedi è l’archetipo stesso (oserei dire l’IDEA PLATONICA) dell’ APATIA letteralmente intesa: assenza di qualunque passione. 

Già, perché il nostro soggetto non avendo alcuna affezione, è portatore di una grave infezione: l’arrivismo. 

Lui (ma vale anche per Lei naturalmente) i giornali li legge eccome, ma solo per prepararsi al meglio al “tema d’attualità”. Lui si interessa eccome agli argomenti trattati, e ha una particolare propensione a proporsi per qualunque attività o lavoro di gruppo, nella speranza che i suoi voti lievitino in maniera esponenziale.   

Tu che magari non hai proprio i suoi voti perché, quando dovresti passare pomeriggi tra equazioni e derivate, preferisci perderti in “Così Parlò Zarathustra”; che piuttosto che fare un corso di lingua extra ti spareresti, anche se sai che servirebbe tanto alla tua media; che hai dovuto usare tutto il tuo autocontrollo per riuscire a staccarti dalla tappezzeria del branco e, annunciare, arrossendo :”m’interesserebbe tanto partecipare a quel progetto, Prof”;

Tu, al suo cospetto, TI VERGOGNI. 

Tu “ti fai il mazzo” (questo anche Lui naturalmente) per rendere quel lavoro perfetto, per essere preparatissima, ma è sul movente che divergete: 

tu lo fai perché pensi che abbia un senso farlo, un’importanza “civile”;

lui lo fa perché è sicuro così di raggiungere una “certa” votazione; 

 lui lo fa e “sbuffa”;

tu lo fai e ti vergogni; ti vergogni che ti “diverta” che ti “appassioni”, che il farlo non ti costi alcuna fatica. 

Il finale della storia differisce a seconda dei casi: spesso, lui raggiunge il successo sperato, forte della sua sicurezza di sé e della sua spiccata proprietà di linguaggio. 

Raramente avviene l’happy end, ed è sempre quando di fronte ad insegnanti illuminati, il nostro soggetto rischia di cadere in uno strano equivoco: perché il tuo voto di una certa materia (facciamo di Filosofia, viste le varie citazione di questo pezzo) dipenderà da cosa mi sai dire su Kant, non da come sai magistralmente usare il pc o dall’aiuto e la partecipazione che sai mettere negli “extra”.  

Fortunatamente, il Liceo poi finisce. E certi soggetti vanno all’Università. 

Ed è qui che comincia la tragedia: perché l’aspirazione dei “nostri” è spesso il futuro in politica.  

Maghi del trasformismo quali sono (capaci, dopo aver capito che “aria tira” di dirti nella stessa sera che sono anticlericali e che voteranno UDC), non avranno certo problemi e scrupoli nel “mercanteggiare” per procacciarsi voti (di altro tipo, ma sempre voti).  

Politici che si scanneranno davanti ai nostri occhi per sembrarci impegnati, e dopo andranno tutti allegramente a “farsi una pizza” (se non addirittura una “pista!”) assieme ghignando di averci fregato. 

Politici senza Passione. Senza Fuoco. Senza Desiderio. Senza Piacere. 

“…Troppo cerebrale per capire che si può star bene
senza complicare il pane
ci si spalma sopra un bel giretto di parole

vuote ma doppiate.

Potrei ma non voglio fidarmi di te
io non ti conosco
e in fondo non c'è in quello che dici qualcosa che pensi
sei solo la copia di mille riassunti…
Leggera leggera si bagna la fiamma
rimane la cera e non ci sei più…”

SAMANTHA GIRIBONE