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  Se il popolo americano permetterà mai alle banche di controllare l’emissione della propria moneta (…) le banche, e le società di capitali che cresceranno intorno ad esse, spoglieranno il popolo di tutta la sua proprietà, finché i suoi figli si sveglieranno senza più casa sul continente che i loro padri hanno conquistato (Thomas Jefferson, 3° Presidente degli Stati Uniti, 1801-09, tra i Padri Fondatori). 

  Lo Stato dovrebbe creare e far circolare tutta la valuta della nazione. La creazione e la circolazione dei soldi è prerogativa suprema dello Stato (…) L’adottare questo principio risparmierà ai cittadini immense somme di interessi, e il denaro cesserà di essere il padrone e diverrà il servo dell’umanità.  (Abraham Lincoln, 16° Presidente degli Stati Uniti, 1861-65)

  Lincoln non si limitò a enunciare un principio astratto e stampò, nel 1865, le banconote “green-banks” pubbliche. Fu ucciso poco dopo e le green-backs sparirono con lui.

  J,F,Kennedy ripetè il tentativo, facendo emettere direttamente dal Governo, anziché dalla Federal Reserve (banca centrale privata,costituita nel 1913 proprio per emettere moneta) oltre 4 miliardi di dollari, nel giugno 1963. Cinque mesi dopo venne ucciso a Dallas, e il vice-Presidente L.   Johnson, che gli successe, si affrettò a toglierli dalla circolazione, ripristinando i dollari della Federal Reserve.

  E' un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perchè se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina.
(Henry Ford, da: http://en.wikiquote.org/wiki/Henry_Ford).

  Assurdo dire che il nostro paese può emettere $30,000,000 in titoli ma non $30,000,000 in moneta. Entrambe sono promesse di pagamento; ma una promessa ingrassa l'usuraio, l'altra invece aiuta la collettività.
(Thomas Edison, 1921, da: http://www.prosperityuk.com/prosperity/articles/edison.html).

  Lenin aveva ragione: non c’è modo più sottile né più sicuro per rovesciare la base esistente di una società che corrompere la sua valuta. (J.M. Keynes, “Le conseguenze economiche della pace”).

  In pochi comprendono il sistema bancario, e quei pochi saranno talmente interessati ai suoi profitti o dipendenti dai suoi favori che non vi sarà opposizione alcuna da parte loro. (N. Rotschild).  

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Non so se sia una favola stile Fedro od Esopo, ma ha una sua brava morale. Si racconta, dunque, che un tizio avesse convertito tutta la ricchezza accumulata da suo padre in una delle uniche due banconote da 1 milione di sterline stampate dalla Banca d’Inghilterra (fondata nel 1694 e modello di tutte le susseguenti banche). Il tizio aveva fatto circolare la notizia in tutto il regno e da quel momento aveva smesso di pagare in sterline i suoi acquisti, limitandosi a consegnare ai fornitori di merci e servizi dei semplici biglietti, con tanto di stemma dorato, nei quali si impegnava a pagare quanto acquistato. I fornitori, sapendo che il tizio disponeva della famosa banconota, non si azzardavano a chiedere la conversione dei suoi biglietti in sterline, ma, se avevano bisogno di fare a loro volta acquisti, li pagavano cedendo semplicemente i biglietti dorati, che così cominciarono a circolare come denaro contante(1). Quando il tizio giunse alla fine dei suoi giorni aveva ancora in cassaforte la sua maxi-banconota intatta, avendo sino allora vissuto a spese dei suoi concittadini.

La favola aveva insegnato qualcosa, sia alla Banca d’Inghilterra che a tutte quelle che sorsero sul suo esempio nei secoli successivi: bastava diffondere l’idea di possedere un cospicuo patrimonio e il gioco era fatto. Ma prima ancora delle banche, la lezione, in realtà, favole a parte, l’avevano imparata gli orafi. Costoro si resero conto che, dei preziosi che i clienti depositavano in custodia presso di loro, soltanto una esigua frazione, circa il 10%, veniva poi effettivamente prelevata. Ciò permetteva loro di effettuare prestiti garantiti da loro pegni scritti, per l’ammontare corrispondente al 90% in costante giacenza, utilizzabile in caso di richieste straordinarie di rimborso.

Ma l’avidità umana non ha limiti, e i banchieri superarono I maestri, ricorrendo allo stesso espediente senza neppure avere in giacenza quel 90%, sia pur di proprietà altrui. Essi infatti amplificarono il bluff  limitando la giacenza, ossia la disponiblità effettiva di denaro, al 2% (sì, avete letto bene: duepercento!) o anche meno in caso di depositi vincolati per almeno 2 anni. Questo deposito “a garanzia” si chiama riserva frazionaria ed è alla base del più colossale raggiro del quale noi tutti, “cittadini comuni”, siamo rimasti vittime. Infatti, quando la banca ci concede un prestito, ci concede qualcosa che in effetti non è di sua proprietà: è solo carta, peggio dei biglietti dorati dell’esempio in apertura, perché almeno il tizio il milione di sterline garantito dalla Banca d’Inghilterra l’aveva davvero. Le banche invece non solo non ci prestano i propri soldi, ma neppure quelli di qualcun altro, in quanto ci prestano dei numeri su un computer. Insomma, a differenza del tizio che aveva nel forziere 1 milione di sterline a garanzia dei suoi acquisti, le banche possiedono al massimo il 2% di quanto ci prestano, mentre noi crediamo che siano proprietarie dell’intera somma prestata. Per questo “prestito” di aria fritta ci chiedono anche l’interesse e, quasi non bastasse, vogliono una garanzia da parte nostra; questa sì, solida e tangibile: perlopiù la nostra casa! Come scambio equo e solidale non c’è davvero male. E questo spiega come le banche chiudano sempre largamente in attivo ogni bilancio (2), sulla pelle dei poveri clienti che, a fronte di pezzi di carta (e oggi nemmeno quelli, con l’avvento della moneta elettronica), danno in garanzia, e sempre più spesso perdono, il frutto materiale del loro lavoro: dipendente o autonomo, si accorgono, troppo tardi, di aver lavorato anni, spesso una vita intera, per arricchire qualcuno che non ha dato loro niente e si è preso tutto.

Forse rende maggiormente l’idea considerare che se un tizio ottiene dalla banca A un prestito di € 1000, questo è stato concesso a fronte di una riserva bancaria di soli € 20. Se il tizio poi deposita i € 1000 nella banca B, questa è autorizzata a prestare, a fronte di questo versamento, € 980 ad un altro cliente, il quale a sua volta, etc. Si è così verificato il miracolo della moderna moltiplicazione dei pani e dei pesci. In realtà, si è moltiplicato a dismisura il potere di credito, a scapito del potere d’acquisto: si è cioè dato il via al fenomeno dell’inflazione.  

Questa situazione sta emergendo in tutta la sua dolente gravità e il continuo aumento degli interessi sui mutui è una delle tante nefaste conseguenze. Negli ultimi anni siamo stati martellati da incessanti pubblicità da parte degli istituti di “credito” circa l’irripetibile opportunità, da prendere al volo, di acquistare finalmente la casa in cui viviamo grazie a prestiti bancari a tassi prossimi a zero. (Un po’ come quando ci indussero a installare il metano, “che ti dà una mano”, salvo poi subire una raffica di aumenti, che  vanificarono rapidamente tutti i vantaggi rispetto ad altri combustibili, all’epoca più cari). E ti facevano sentire uno stupido se non approfittavi della pacchia e sceglievi il tasso fisso. Risultato: i tassi variabili si sono rivelati un cappio, che si stringe ogni mese di più intorno al nostro collo.

Ma le banche, non sono loro le cattivone, perbacco; cosa volete, “devono” (!?) adeguarsi ai tassi della BCE: è lei, anzi è lui, Trichet, che in 18 mesi ha rialzato i tassi ben 5 volte, passando dal 2% al 3,5%. Beh, cosa volete che sia, dopotutto è solo l’1,5%. Poca roba. E invece no; quando si parla di mutui casa, questi sono spalmati su un periodo di almeno 20 anni; per cui, dovendosi le banche tutelare per un periodo così lungo, soprattutto dal “pericolo” di un riscatto anticipato (una volta acchiappato il pollo, cercano di non mollarlo più, se non dopo averlo dissanguato), ammassano il grosso degli interessi nei primi anni. Si verifica così un effetto moltiplicatore, che fa lievitare la quota interessi mensile, ad es. dopo soli 18 mesi, di almeno il 35%, mentre fa contemporaneamente diminuire di almeno il 15% la quota capitale rimborsata (incredibile? posso documentare dati alla mano), col risultato di rate sempre crescenti e con una resa capitale decrescente; il che determinerà quote complessive sempre in salita, visto che i tempi di estinzione rimangono fissi. Questo meccanismo perverso porterà alla rovina economica milioni di famiglie italiane, ad esclusivo beneficio dei banchieri, che, a fronte di numeri contabili elettronici che ci hanno generosamente prestati, ci pignoreranno l’alloggio in cui viviamo. Del resto, che ci possiamo fare? I nostri politici dibattono un sacco di questioni, alcune interessanti, altre assai meno(soprattutto come alzare le sanzioni, ossia tasse sotto mentito nome, per ogni minima infrazione e far cassa: sono già in vigore, oltrechè in cantiere ennesimi aumenti delle multe stradali, fatti per la nostra sicurezza, s’intende), mentre su temi come questi, che toccano il nervo vitale del sistema bancario, nessuno osa aprir bocca. Provate a profferire la parola signoraggio e riceverete un eloquente silenzio.

Un tizio ha osato citare in tribunale Bankitalia SpA per avere un risarcimento dal danno arrecato dal signoraggio ai cittadini italiani; e dividendo il debito pubblico (v. oltre) per il numero di cittadini, ne è risultata la bella sommetta di € 25.800 a testa, neonati inclusi. Il Giudice (di Pace) finì col riconoscergli € 87! Ma Bankitalia SpA (vai sul sito www.bancaditalia.it), insoddisfatta del verdetto, che, se generalizzato, le sarebbe costato € 5 miliardi, ricorse in Cassazione, vincendo naturalmente la causa, “stante il difetto assoluto di giurisdizione e (…) il carattere affatto metagiuridico della pretesa azionata”: si noti il linguaggio da “addetti ai lavori” e il termine metagiuridico, che altro non significa che temi di questa natura sono al di sopra delle leggi. In buona sostanza, Bankitalia SpA non è entrata nel merito della richiesta, giustificando in base a cosa le è dovuto il signoraggio, considerato che è un ente privato (una SpA!) e non statale, ma ha dribblato il problema, dichiarandolo al di fuori, o meglio al di sopra della competenza della magistratura, che, con la sentenza della Cassazione, lo ha confermato, condannando anche il tizio alle spese di causa.

Eppure, signoraggio è la parola chiave, ossia è la chiave per entrare nei forzieri delle banche, in primis quello della BCE. Il che spiega tutta questa reticenza: la BCE incarna la resa totale dell’autonomia delle 26 nazioni che hanno fatto o faranno letteralmente carte false per entrare nell’euro. Non dico, come certe fazioni mosse da ben altri intenti, che l’euro non vada bene; dico che non va bene che si sia delegata ad emetterlo un’istituzione privata, senza possibilità alcuna di interferire nelle sue scelte monetarie, e quindi economiche, dandole letteralmente carta bianca.

Lo sapevate che le banche centrali, tutte le banche centrali, almeno quelle occidentali, sono private? Lo sapevate che lo è, dal 1863, la Banca d’Italia, come lo è la BCE? Lo sapevate che proprietarie di entrambe sono le banche commerciali (la cui lista è stata tenuta segreta sino al 2004, e in chiusura capirete perché), ossia quelle stesse che Bankitalia SpA e BCE sono preposte a vigilare, facendo quindi coincidere vigilanti e vigilati? Vi sembra normale che i nostri soldi, tranne gli “spiccioli”, ossia le monete metalliche, tuttora coniate dalla zecca statale, anziché essere prodotti dallo Stato, o perlomeno da un Consorzio di Stati, siano stampati su carta, ossia su un materiale di infimo valore intrinseco, da un gruppo di banche private che si auto-controllano?

Eppure, è proprio così. E alla BCE, istituzione auto-referenziale, insindacabile,  è delegata la stampa della nostra moneta ad libitum; e altrettanto ad libitum essa stabilisce i tassi di sconto. Ma cos’è il tasso di sconto? Forse quello praticato alle banche, come si sente ripetere? Nossignore, è il tasso applicato allo Stato italiano! Ma come, non è lo Stato il proprietario della moneta corrente, quella che noi fiduciosamente usiamo ogni giorno per ogni nostra necessità? NO.

Lo Stato è debitore di tutta la moneta che vediamo in circolazione, e soprattutto di quella che non vediamo, in quanto elettronica (carte di credito, bancomat, scritture contabili bancarie, postali, ecc.) e ormai prevalente. Debitore verso chi? Verso la BCE. Insomma, la Banca d’Italia SpA stipula un prestito con la BCE ed emette, per ripagarsi, titoli di Stato (BOT, CCT, ecc.) gravati dell’interesse che deve corrispondere alla BCE stessa. Interessi che quindi paghiamo con le tasse noi cittadini per la corresponsione di banconote cartacee, stampate non già da una tipografia di Stato (la zecca, che invece si limita a coniare monete metalliche), ma da una tipografia europea privata (quando non addirittura asiatica, in ossequio alle pratiche globalizzanti) che ce le vende non già al prezzo di carta + inchiostro, bensì al valore di facciata + gli interessi (tasso di sconto).

Sarebbe come se una tipografia che stampa I biglietti per un concerto chiedesse all’organizzatore non già il costo di produzione più il suo giusto guadagno, bensì il valore impresso sul biglietto che gli spettatori pagheranno per assistere al concerto, più un bonus. Davvero una bella truffa, di cui siamo tutti vittime, nel silenzio generale, da parte di tutta la classe che ci governa, a cominciare dal Presidente della Repubblica, con particolare enfasi su quello precedente che, prima Governatore di Bankitalia SpA, poi super-ministro dell’Economia, queste cose le conosceva bene.

Eppure, tutti a elogiare il “nonno nazionale” per l’abilità con cui ci ha fatto entrare nell’euro, cioè in quell’accrocchio, in quella matassa senza bandolo che è la BCE, senza prima chiarirne la proprietà. Fregati e contenti.

Mal comune mezzo gaudio, dice l’adagio. Il mezzo gaudio lo lascio, tutto intero, alla classe politica (la cui stragrande maggioranza, tuttavia, va forse perdonata, perché probabilmente neppure sa in quale imbroglio siamo invischiati e continua a credere all’ineluttabilità di un debito pubblico che raggiunge ogni anno cifre da record), mentre confermo che il male è comune.

Basta attraversare l’oceano e sbarcare negli USA: sì, quelli immortalati nel nostro DNA da Alberto Sordi e Carosone (“Tu vuo’ffà l’ammericano”). Anche loro, gli ammerikani, vivono in un paradiso di carta stampata: i dollari. E stanno, in realtà, molto peggio di noi; virtualmente, s’intende. La loro banca centrale, la Federal Reserve (Fed), marcatamente sotto il regno di Bush jr., s’è data alla pazza gioia, accorgendosi che poteva inondare il mondo di banconore verdi ricevendone in cambio merci e servizi. Per giunta, i Paesi fornitori, come “Cindia”, Giappone, Sud Corea, OPEC, ecc., fanno rifluire negli  USA i dollari avuti in pagamento. Questo in quanto i dollari, al pari delle altre valute, non sono più convertibili in oro dal 1971,(3) e quindi non resta che re-investirli nel loro Paese d’origine, comprando bonds o società americane, ovvero ancora farne il cosiddetto washing, stampando cioé una corrispondente montagna di valuta propria, “garantita” da quei dollari, e usarla sul mercato interno, accendendo nuovo credito e innescando così anche a casa propria spirali inflazionistiche. Quindi, in ultima analisi, creditore rimane la Fed e debitore risulta lo Stato americano, verso la Fed e verso I Paesi fornitori. Poiché, tuttavia, questo debito non è, né mai sarà, redimibile, la realtà è che gli USA hanno vissuto per decenni sul lavoro e sulle materie prime del resto del mondo, che ha continuato a sostenerne il benessere, apparentemente felice di farlo. Ovvio che la situazione non può perdurare, e già da qualche tempo l’insofferenza generale verso questo stato di cose è sempre più marcata; l’unico motivo per non interromperlo di colpo è che il crack in cui preciterebbero gli USA nel caso venisse loro imposto di onorare a breve il loro debito estero coinvolgerebbe le stesse nazioni creditrici. Questo è il guaio che capita a chi impegna o dà beni reali a fronte di biglietti stampati, come quegli Italiani di cui sopra, che hanno ipotecato la propria casa per poterla acquistare: le banche si prendono il solido, a fronte di una liquidità che nemmeno tale era, grazie alla riserva frazionaria che aveva loro consentito di prestare aria. L’unica differenza è che I Paesi fornitori suaccennati hanno dato I loro beni in anticipo, noi mutuatari I beni li cediamo posticipatamente; ma il risultato è identico: siamo stati tutti derubati.

Di fronte ad una situazione di queste dimensioni e gravità, di cui nessun politico osa parlare, e men che meno le banche e i loro media, quale via d’uscita è possibile?

Innanzitutto, cominciando dal basso, evitiamo il più possibile di emettere e ricevere assegni, nonché di usare carte di credito e bancomat, che è aria fritta delle banche. So bene che l’ultima finanziaria, guarda caso, con la scusa di combattere l’evasione (c’è sempre qualche “nobile” motivo per far passare norme sospette, vedi Bush e le leggi liberticide col pretesto dello antiterrorismo) ne propugna un sempre maggior uso, così da rendere la circolazione di moneta virtuale la più vasta possibile, finendo col render virtuale persino la modestissima riserva frazionaria (come peraltro previsto dalle prossime Basilea II e III). Ma una direttiva simile, che ficca sempre più il naso del Grande Fratello nelle nostre tasche e nella nostra privacy, cerchiamo di eluderla: facciamo disobbedienza civile. Possiamo farla anche minimizzando i nostri depositi bancari, chiedendone la conversione in contanti e lasciandovi il minimo indispensabile; e magari tenendo di riserva un gruzzoletto in oro e argento. Si noti che, ad es., il dollaro ha perso il 95% del suo potere d’acquisto da quando è stata fondata la Fed nel 1913 (e immagino che stessa sorte, se non peggiore, sia toccata alla lira), mentre oro e argento sono passati indenni attraverso tutte le traversie del XX secolo. Paura dei furti? Delle banche utilizzate piuttosto le cassette di sicurezza: i vostri liquidi saranno più al sicuro che su un conto corrente o in altre forme di “investimento”.

Si tratta. ovviamente, di misure provocatorie di scarsa efficacia in mancanza di una consapevolezza generale che solo i mass media potrebbero ingenerare; ma quale di questi non è soggetto, in un modo o nell’altro, ai poteri finanziari? Eppure, una prima pietra dobbiamo pur scagliarla in uno stagno così tranquillo e redditizio per ogni forma di usura.

L’obiettivo, non dico finale, ma comunque di portata significativa, rimane comunque quello di arrivare alla stampa da parte dello Stato non solo delle monete, ma anche delle banconote, abolendo quel meccanismo perverso per cui i soldi che circolano in Italia siano di proprietà di un pool di banche private, soggette al controllo da parte di una Bankitalia SpA posseduta dalle stesse banche private che dovrebbe controllare. In tal modo non dovremmo più pagare interessi alla BCE, ossia ad una società estranea, per la stampa tipografica di soldi nostri. Un esempio forte da parte italiana potrebbe trovare seguaci in altre nazioni, che si risveglierebbero dal lungo letargo in cui anch’esse sono state tenute. Se il tentativo riuscisse, anche la BCE diverrebbe, alla fine, una banca pubblica, di proprietà di tutti gli Stati aderenti, con funzioni di coordinamento delle politiche monetarie di questi ultimi. E a quel punto, perderebbe importanza chi fisicamente stamperebbe le banconote, se le varie banche centrali nazionali, su disposizioni di allocazione concordate in sede europea, oppure la BCE stessa, alla quale sarebbe dovuto il mero costo industriale di fabbricazione. Già ora, del resto, ogni banconota ha un codice corrispondente al paese al quale viene ceduta (S per l’Italia, Y per Grecia, X Germania, U Francia ecc.). In questo modo il cosiddetto “debito pubblico” non sarebbe più tale, in quanto la valuta circolante, liquida o virtuale indifferentemente, rifletterebbe la ricchezza delle varie nazioni dell’euro-zona, ossia sarebbe realmente proprietà dei loro cittadini, e non ceduta in prestito, con tassi decisi a discrezione del prestatore (la BCE), come ora avviene.

Attenzione, però: nel nuovo Statuto di Bankitalia SpA è prevista la nazionalizzazione della stessa entro il 2008, con la benedizione dei banchieri. Ma allora, mi chiederete, non sono per caso un portatore, sia pur inconsapevole, di acqua al loro mulino? E come mai tanta magnanimità da parte di gente abituata solo a prendere e mai a dare?

Il trucco sta nel valore da dare a Bankitalia SpA. Visto che è attualmente proprietà dei banchieri, più alto sarà il prezzo e più grasso sarà il loro introito: potrebbe essere il business del secolo! La regola è sempre stata una: vendere beni pubblici a prezzi stracciati e acquistare beni privati a prezzi gonfiati. Il passato è ricco di esempi, in ambedue i sensi. E di qui al 2008 vedremo il valore di Bankitalia, divenuta quasi superflua, lievitare a dismisura; tanto, a definirne il prezzo finale sarà lo Stato, in particolare uomini le cui carriere hanno zigzagato tra pubblico e banche private, come gli attuali Prodi e Draghi: resistere alle dorate lusinghe non gli sarà tanto facile. E’ auspicabile che il prezzo, visto che non esiste una base d’asta, essendo unico il compratore (lo Stato), venga fatto stabilire a varie società di auditing, con un premio a quella che avrà indicato il valore più basso. Non si fa così anche nelle gare pubbliche al ribasso? Da notare che in passato l’ex-ministro Giulio Tremonti quotò la Banca d’Italia, in base ai dividendi, € 800 milioni; mentre l’ABI (associazione bancaria italiana) la valuta sui € 20 miliardi, in base al suo patrimonio netto. Una bella differenza! Ora però capiamo anche perché si sia deciso di rivelare i soci di Bankitalia SpA, dopo 1 secolo e mezzo di “omissis”: perché si è deciso di cederla allo Stato, “arrendendosi” alle reiterate richieste in tal senso da parte di tanti critici. Rivelando così chi sono gli attori di una tale buona azione, che finalmente si son decisi a compiere e a cui va tutta la nostra gratitudine!

Ma la cosa più importante di tutte, dopo un’equa nazionalizzazione di Bankitalia, non più SpA, è la sua riappropriazione del diritto esclusivo di stampare la nostra moneta; e poco importa che si chiami euro, purchè la si stampi sulla base delle nostre reali necessità, pur concordate con un organo di coordinamento tra i vari paesi dell’euro-zona, quale resterebbe comunque la BCE, pubblica anch’essa, riducendone però gli attuali poteri sovranazionali e insindacabili, e soprattutto la mania globalizzante di livellare ogni diversità. Ad esempio, perché tutti questi recenti rialzi dei tassi? Forse perché l’economia in alcuni Paesi, come la Germania, tira? Ma perché allora soffocare la timida ripresina che ci dicono essere in corso in Italia, col rischio di stroncarla sul nascere? L’Europa unita solo monetariamente, così com’è oggi impostata, nell’intento di uniformare un intero continente, crea squilibri analoghi a quelli perennemente esistenti in Italia tra Nord e Meridione. E non credo che l’aspirazione degli Italiani sia quella di diventare l’area povera dell’Europa, con tutti i problemi che alla povertà conseguono: minore istruzione, disoccupazione, criminalità organizzata, crescenti disparità di redditi, problemi sociali ed ambientali sempre più pervasivi. La Francia, molto penalizzata dall’euro, sembra la più prossima ad un affrancamento dallo strapotere della BCE, del resto consentito dalla clausola 111-4 del Trattato di Maastricht.

Resterebbe ancora moltissimo da dire(4), ma non posso abusare dello spazio concessomi e dell’attenzione di chi mi legge; chiudo pertanto rilevando che Bankitalia ieri, e BCE oggi, non registrano come attivo gli introiti della vendita (perché tale è, anche se la si definisce prestito) delle banconote allo Stato italiano, bensì come passivo: questo per non doverci pagare le tasse. Se non è falso in bilancio questo, se non è evasione fiscale questa! E di quale ammontare: praticamente del valore dell’intero asserito debito pubblico. E poi si va a caccia di evasori tra i piccoli commercianti, controllando gli scontrini… 

Marco G. Pellifroni 

Finale Ligure, 4 gennaio 2007

 

 

Note

 (1) Successe qualcosa di analogo quando negli anni ’60 scarseggiarono le 100 lire in lega, in quanto, valendo il metallo più del loro valore nominale, qualcuno cominciò a rastrellarle e fonderle. Intervennero così le banche, che si misero ad emettere “assegnini” da 100 lire al portatore, che circolarono fino a consunzione o prescrizione. Anche le 500 lire in argento scarseggiarono per analogo motivo, e le banche tentarono di ripetere l’operazione di “salvataggio” finché non intervenne la Zecca di Stato, che eccezionalmente stampò, in loro sostituzione, banconote di carta: furono quelle le uniche banconote in carta emesse dallo Stato, anzichè dalla privata Banca d’Italia, in quanto vicariavano le monete metalliche, le sole “permesse” da Bankitalia allo Stato sovrano!  Torna su.

 

(2) Ad es. la neonata Intesa-Sanpaolo SpA prevede un utile nel 2007 di € 7 miliardi, con depositi per circa € 329 miliardi. Circa la concretezza dei depositi bancari, v. oltre.  Torna su.

 

 (3) V. mio articolo su Trucioli Savonesi n° 90 del 23/12/2006: “Da un mondo America-dipendente ad un’America mondo-dipendente” (Ristampa di conferenza tenuta il 6 luglio 2003).  Torna su.

 

 (4) Invito chi volesse saperne di più a visitare il sito www.signoraggio.com (webmaster Sandro Pascucci) contenente numerosi articoli sul tema e utili links verso altri siti similari.  Torna su.