Il silenzio è indubbiamente l’alleato migliore di chi ha pessime intenzioni. La parola, la chiarezza, la diffusione dell’informazione, il confronto, aiutano al contrario il bene pubblico, portano luce dove si vorrebbe buio

Il punto di svolta

                                    di Nonna Abelarda          versione stampabile

 Stavolta mi lancio un po’, come dire, alla scoperta dell’acqua calda. (Sperando che non sia aria fritta).

Intendo cioè dire cose che forse appaiono banali, o che abbiamo davanti tutti i giorni, ma di cui forse non ci rendiamo ancora abbastanza conto.

Io penso che per Savona sia iniziato un periodo abbastanza cruciale, nella sua storia e nel suo sviluppo. Un momento in cui le decisioni in fieri, e purtroppo anche alcune già prese, sono importanti, decisive  e irreversibili nella direzione che si vuol dare agli assetti futuri della città. Perciò, non ci saremo mai chiariti abbastanza le idee. Perciò, non mi stancherò mai di ripetere che bisogna intervenire, informarsi, discutere, chiedere ad alta voce di dare corpo a un dibattito decisionale più ampio e coinvolgente che esca dalle solite oscure sedi, e non dare mai niente per scontato.

Qui, come anche su scala nazionale, mi pare che ormai la divisione vera non sia fra destra e sinistra, progressisti e conservatori, aggettivi e sigle e ideologie ormai svuotate di buona parte dei significati concreti, ma fra politica e cittadini. O almeno, fra una parte consistente di politici, in entrambi gli schieramenti formali, che sembra andare diritta per la sua strada perseguendo interessi suoi,  e i loro elettori, ormai completamente ignorati nelle loro idee, dubbi e aspirazioni.

Purtroppo molti di questi elettori ancora non si rendono conto, ancorati pigramente a vecchi concetti e vecchi schemi. Alcuni, indifferenti a ciò che accade oppure scettici e disillusi,  una volta messa quella benedetta crocetta; altri viceversa propensi a rilasciare deleghe in bianco, convinti che gli eletti, essendo “i nostri”, faranno senz’altro i loro interessi o almeno la penseranno nello stesso modo.

Su tutto, aleggia compiaciuto lo spirito della disinformazione, del silenzio o dello stravolgimento delle cose, per incantare l’opinione pubblica. Ma ciò che più sconcerta, non è tanto questo, in fondo prevedibile, quanto il fatto che, anche quando i politici, messi un po’ più alle strette, gettano la maschera formale e assumono apertamente atteggiamenti rigidi, scostanti, paternalistici o di chiusura, rifiutando anche solo di spiegare le decisioni prese o  in corso, questo non smuove di una virgola le persone, non risveglia le coscienze e non suscita alcunché.

Non dovrei dirlo qui, certo, in Internet, dove si aggirano i più consapevoli, e proprio su un sito come questo: dovrei dirlo ad alta voce per strada o nei bar. Scusatemi, ma non ho il fisico: grido qui, e magari da qualche parte l’eco arriva, chissà.

Dovremmo riappropriarci del concetto stesso di democrazia e farli un po’ scendere dal loro assurdo piedistallo. Certo, la base di partenza, il savonese medio di cui avevo parlato nel mio primo intervento, è quello che è, siamo quello che siamo: generalizzando,  un po’ scorbutici  e brontoloni e chiusi, i vecchi; modaioli e qualunquisti e indifferenti i giovani.

Poi, di recente si è fatta strada una nuova specie, il disfattista DOC: questi è colui che ama affermare “intanto fanno quello che vogliono”, “non ci sentono neanche”, “non possiamo farci niente”, o in alternativa: “non vi va mai bene niente, e allora a forza di brontolare lasciamo tutto come sta” ,  fino ad arrivare, dulcis in fundo, all’agghiacciante concetto “tanto vale accettare il male minore”.

A questo punto tanto vale darsi direttamente la zappa sui piedi, o martellarsi altrove, stile Tafazzi.

Io invece dico che, senza alimentare ingiustificate illusioni, ma senza neanche cedere al pessimismo assoluto, poche piccole e civili cose vadano sempre fatte, quando ci sono di mezzo scelte così stravolgenti.

Vedete un po’ voi, un piccolo parziale elenco, da Vado ad Albisola, per tacer dell’entroterra:  nuova piattaforma container, ampliamento della centrale a carbone,  nuovi palazzi sul fronte mare e nella ex zona Mottura e Fontana (qui si parla di venti piani), box e palazzi della Villetta, Crescent, porticciolo Margonara con torre annessa.

Nessuno può dire che queste cose non lo riguardino direttamente, o che non ci sia niente da fare. (Salvo poi brontolare dopo, altro nostro sport preferito. ) Nessuno può pensare che un palazzo in più sia solo un palazzo in più. Che una ciminiera in più non degradi una situazione già pesantemente compromessa dall’inquinamento. (Altro che  colpa del traffico sul lungomare…) Che le opere a mare non cambino gli equilibri delle correnti, anche sulle zone balneabili. Nessuno può chiamarsi fuori dagli effetti, anche indiretti e impensabili, di ogni cambiamento. Occorre chiedere, informarsi, discutere, fare comitati, appoggiarsi a quei politici che sembrino un po’ più ricettivi (ma attenzione alle strumentalizzazioni!), essere coinvolti nel processo decisionale.

E’ nostro sacrosanto diritto, ma anche nostro dovere, per noi e per le generazioni future, fare tutto il possibile perché le scelte non siano miopi e legate a isolati lucrosi profitti, ma un po’ più lungimiranti.

Magari si sente dire che certe cose, come puntare sulla tecnologia, sull’istruzione, sulle energie alternative, richiedono tempi troppo lunghi prima di essere remunerative, e non ce le possiamo permettere.

Perché, porticcioli e piattaforme si costruiscono in un giorno? E quanto sono i posti di lavoro, veri, duraturi, non cifre sparate in aria a casaccio, che possono fornire, sulla distanza? E quali sono le basi logistiche che richiedono, tipo strade e trasporti, tanto per dirne una? Senza coraggio non si va da nessuna parte, o meglio, si finisce per scegliere le strade apparentemente più comode e diritte, in realtà disastrose.

Mi chiedo quanti si soffermino a porsi certe domande, al di là della superficie dei fatti. Mi chiedo quanti comincerebbero a cambiare idea o a ragionare diversamente, se certe questioni se le ponessero e si dessero le ovvie risposte. Direi tanti, a giudicare dalle facce sbigottite che vedo a volte contemplare i disastri già compiuti. Questa può essere l’unica speranza: continuare a parlare, civilmente. Non smettere mai di parlare.

Perché il silenzio è indubbiamente l’alleato migliore di chi ha pessime intenzioni. La parola, la chiarezza, la diffusione dell’informazione, il confronto, aiutano al contrario il bene pubblico, portano luce dove si vorrebbe buio.

Da dietro le spalle, diceva mia nonna in dialetto, non mi sono mai vista fare del bene.

Nonna Abelarda