Se si uccide il reo (e “reo” in latino è l’accusato, non necessariamente il colpevole) si fa vendetta, non giustizia!
NESSUNO TOCCHI CAINO
                                                 di
Sergio Giuliani      versione stampabile

 Perché la società degli uomini può e deve soltanto comminare pene che redimano. La pena è legittimata da tre fattori di cui parla anche Dante nel “Purgatorio”, simboleggiandoli in tre gradini che l’aspirante alla cancellazione della pena deve salire: il pentimento del male fatto, il suo riconoscimento pubblico, a parole chiare e, infine, il risarcimento del danno col proprio impegno, anche di lavoro. Se si uccide il reo (e “reo” in latino è l’accusato, non necessariamente il colpevole) si fa vendetta, non giustizia!

Nessuno ha certo l’intenzione di tessere un panegirico di un tirannello come Saddam Hussein, ma di qui al cappio ce ne corre. E con le irrisioni di qualche piccolo boia, che fanno tanto ricordare i calci dell’asino al leone morente, che risponde (e cito Fedro!) di aver tollerato le vendette dei grandi animali da lui offesi, ma di sentirsi davvero morire due volte per i calci di un mediocre!

C’è stato anche Ponzio Pilato, il potere Usa che ha consegnato Saddam agli iracheni diventati “democratici” a suon di bombe (e si vede quanto…) un quarto d’ora prima dell’esecuzione, per non compromettersi in un lavoro “sporco”.

Abbiamo ricordato Eichmann, giudicato tanti anni dopo da un tribunale di “vincitori”, abbiamo rivisto le bucce a Norimberga, dimenticando che quei giudici alleati ebbero il grande merito di fondare la figura giuridica del “genocidio” che ben poco ha a che fare (anzi!) con l’onore militare. Tant’è vero che a Norimberga chi era stato soltanto soldato di Hitler non fu condannato all’impiccagione.

Abbiamo dimenticato alla svelta (eppure era, anche allora, di Natale o quasi..) la ribellione del popolo rumeno e la giusta punizione dei due Ceausesco, fucilati senza processo come nemici ancora potenzialmente pericolosi.

Ed arriviamo all’accusa irridente degli sciiti contro il “pacifismo” degli Italiani: “E Mussolini?….”

Proviamo a rispondere, anche se parecchia documentazione storica è ancora riservata: ma da tanti e seri studi storici si può precisare, con buona approssimazione, una “verità”.

Mentre la guerra stava per finire, si aprirono trattative di ogni genere tra prossimi vincitori e prossimi vinti. Il nazismo residuo pensava di poter cavalcare gli attriti fra Stalin (le cui armate avanzavano a quasi cento chilometri al giorno verso Berlino) e gli angloamericani che avevano compiuto la grandissima impresa del D Day e che avanzavano con difficoltà sul fronte dal Reno all’Elba. Vincitori tanto eterogenei avrebbero certo avuto molti motivi di contrasto nella spartizione del bottino e le armate germaniche residuali potevano essere impiegate con profitto, in un repentino capovolgimento di fronte, con gli alleati per stoppare la corsa di Stalin.

Persino in Italia il plenipotenziario tedesco Rahn cercò la strada, segretissima, dell’intesa con gli americani all’insaputa degli inglesi: tutto documentato, questo tentativo peraltro abortito sul nascere.

E veniamo a Mussolini. A leggere i suoi articoli e i suoi discorsi, appare chiaro che, fin dai primi del ’43 sentiva nettamente la sconfitta; anzi la terribilità di avere due “forni” soltanto aperti davanti a sé: la resa agli alleati o la sottomissione, da collega debole ed insignificante, ad Hitler.

Di sicuro, avrebbe potuto non farsi trovare a Milano nell’aprile: non credo pensasse seriamente alla difesa nella “ridotta” valtellinese con le pochissime forze che aveva attorno; non credo si aspettasse sostegno da Hitler che gli aveva negato divisioni già prima del 25 luglio, condannandolo all’impotenza davanti al Gran Consiglio e che stava barricandosi nel covo del nibelungo, ovvero nel bunker berlinese. Perché insistette tanto, Mussolini, nel gioco pericolosissimo per lui dei contatti, tramite il cardinale Schuster, con i partigiani, gioco davvero del cerino perché, nella lotta intestina, ormai i tempi erano scaduti. Di sicuro sapeva che lo volevano insistentemente vivo gli alleati e la storia dirà se per giudicarlo alla Norimberga o se per sottrarlo allo scacchiere politico italiano, cruento e convulso com’era. Perché allora l’ultimo camuffamento sotto mantello tedesco? Forse perché, a quel punto, le trattative non avevano portato a nulla e c’era soltanto da tentare di salvar la pelle.

L’arresto da parte dei partigiani fu un’opera di giustizia: la nascente democrazia sarebbe stata inquinata da una fuga comunque protetta del responsabile di tutti gli eventi bellici che avevano ridotto come ben sappiamo l’Italia a macerie e cimiteri.

Fu un’azione di guerra, perché i vincitori avevano pattuito coi tedeschi l’uscita, disarmati, dai confini d’Italia, ma senza un ospite tanto straordinario e mascherato.

Mussolini era un pericolo perché i suoi appelli non si erano mai discostati dalla cocciuta filosofia di Hitler che mandava ragazzini, anziani a farsi massacrare con l’illusione delle nuove armi micidiali e risolutrici.

Bisognava farla smettere, quella maledetta guerra che continuava a far morti se pur ormai chiaramente conclusa; bisognava riconoscere ai partigiani il diritto bellico e civile di punire perché non nuocesse ancora il responsabile di una guerra orrenda, che, ripeto, non era certo finita. Nessun paragone è possibile con la situazione irakena attuale, dove l’occupante americano da tempo ha proclamato vittoria ed il paese, per le intestine contraddizioni, continua ad andare a fuoco più di prima.

D’accordo, certo, sull’orrore per le scene di Piazzale Loreto! Ma si ricordi che in quel piazzale, nel freddissimo inverno ’44-’45, erano stati giustiziati dai nazifascisti operai partigiani ed i loro corpi erano stati lasciati al gelo per giorni e giorni, negati alle affettuose cure dei loro cari che venivano tenuti a distanza da sentinelle a dir poco criminali. Chi di crimine ferisce…

                                                                                            Sergio Giuliani