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Abbandonare l'ascia, spezzare i fucili, seppellire i coltelli

L’uomo è perduto se non diventa

L’ uomo senza artigli

a cura di Antonella de Paola 

Ero una scolara senza scuola; invece di andare a scuola (dove ero iscritta) consumavo le strade, panoramiche o non, e allora poco affollate, della mia città, che era una popolosa città mediterranea. C'erano allora, invece di macchine, carri e carretti, spesso stracolmi di verdure o altri carichi. Un solo cavallo reggeva tutto. Erano bestie che si trascinavano a stento, sempre a testa bassa, sfiancate e il corpo coperto di macchie rosse: le piaghe lasciate dalle incisioni della frusta. Erano tante, queste piaghe - a volte cicatrizzate, a volte no, ora ingrigite, ora ancora di fuoco - che il cavallo, ogni tanto, quasi scosso da un brivido, si voltava a cercarle. Doveva sembrargli impossibile di doverle portare sempre, sempre, senza un aiuto, il minimo sollievo. 

Uno di questi cavalli, una mattina intorno agli Anni Trenta (lo Scrittore era allora bambino), percorreva, chiuso tra due stanghe, un vicolo circondato da giardini di un'aerea bellezza. Ma non andava avanti che a stento; anzi, non andava mai avanti. Il suo carico, alto come una casa, era disumano. La testa del cavallo, abbassata, scarna e sensibile - come pensierosa - si volgeva continuamente a guardare verso i fianchi quelle orride piaghe. Gli occhi sembravano pieni di lacrime, ma forse era solo un colare di umore, perché si dice che i cavalli non piangono. Non avevo ancora visto l'Umanità seduta su un martirio. A un certo punto la vidi, sotto forma di un giovane carrettiere di cui ricordo solo il vigore, l'immobilità, la tracotanza, il berretto e il braccio (con la terribile frusta) alzato. Ne ricordo anche il sorriso, fermo su me, di traverso, in una espressione di incredulità e di beffa. «Così» sembrava  pensare «non si va avanti. Ora scendiamo, e diamo a tutti e due» (il Due ero io) «una lezione». Ed ecco cosa seguì, prima ancora che io mi fossi scostata (ma non mi scostai, o non feci in tempo). 

Il carrettiere scese con un balzo a terra, ma non usò la frusta, che aveva sotto il braccio. Prese, sollevò, avvicinò a sé, con due mani, la grande faccia gentile del cavallo, la guardò negli occhi, e in quegli occhi, alla fine, con folle violenza, sputò. 

Io ripresi il mio cammino, dopo un momento, mentre anche il carro si muoveva, col suo carico di martirio e d'ingiurie, per il vicolo infinito, e ancora quei vortici della bacchetta di fuoco. Non ricordo altro. Ma pensai a lungo (diciamo mezzo secolo e più) a quel cavallo, e, devo aggiungere, l'inferno di questo secolo non mi fu ignoto né estraneo. Vidi tutti i giornali, dagli Anni Quaranta in poi, e fui testimone di molte sofferenze e disastri. Ma non dimenticai quel cavallo. Ancora adesso, dopo forse sessant'anni, leggo molti giornali, e sono testimone, per lo meno nel pensiero, la notte, quando cantano solo i tubi dell'acqua, in cucina, e la pioggia scorre sul selciato, dei disastri e il dolore terrestre: Ma non dimentico quel cavallo. Aggiungo che un'altra volta, certo per scherzo, da ragazzetta, in quel tempo (forse perché ero sciocca e camminavo sempre), fui raggiunta anch'io da un colpetto di frusta. E dopo un momento di rabbia, me ne sorpresi positivamente e me ne rallegrai: dividevo qualcosa con quel cavallo, che sempre più, ai miei occhi, si elevava a simbolo mite del passaggio, nel mondo, del signore dei cieli. 

 ..... (quel che vorrei capire è) se, dopo mezzo secolo di orrori, e un secolo o due di abbagli culturali, se gli uomini abbiano inteso finalmente qual è il cuore del problema, il cuore del tempo, il cuore della verità (…) la liberazione degli altri popoli - i popoli muti di questa terra, i popoli detti Senza Anima - dal Dittatore fornito di anima - e per di più immortale! - che è il loro carnefice da sempre. Il suo nome (di tale carnefice) è noto, ma non sempre il labbro accetta di pronunciarlo. Come e quando inizierà questa rivoluzione? Non lo so. Ma sarà la più grande, e da essa soltanto ricomincerà qualche speranza per la orgogliosa vita umana. Prima, no. Prima della confessione del maggiore ed  eterno peccato, ch'è la sottomissione, l'uso e la degradazione di tutti i piccoli Popoli muti, da parte della superiore razza umana, per questa razza, essenzialmente distruttrice, non ci sarà speranza di sfuggire alla Nube. Perché non è lei, la Nube, che viaggia verso di noi: siamo noi, inventori dell'offesa infinita (Oltraggio, è la parola giusta) alla Natura sovrumana, siamo noi che viaggiamo, corriamo, accecati dall'ansia di superarla, verso quella Nube. E costruiamo la Fine. 

Enumerare tutti i peccati dell'Uomo contro il Cavallo, l'Aquila, il Passero, lo stesso Serpente, e tutti i figli del cielo e della terra, della notte, dell'alba e l'aurora (Essi apparvero e furono subito adoperati e uccisi, e poi ingiuriati) non si può. Non ha tanti numeri il cielo, che pure è infinita scaturigine di numeri, né tanti grani di sabbia il mare, dall'inizio di tutti i mari, da consentire un calcolo anche approssimativo, una somma anche incerta degli strazi subiti dai Popoli muti per mano dell'Uomo. No, un conto siffatto è oltre la misura di tutti i confronti pensabili; e la porta di questo inaudito Campo dei Martiri, che è il passato e il presente dei Popoli muti, giorno e notte, con le sue bifore dorate, sotto il pugno del Potere umano si attorce e arde. Per essi, questi Popoli muti, il cielo è pieno di sangue, e la terra - che a noi può essere delizia - fucina di lamenti. (…) 

L'uomo è perduto se non diventa l'uomo. Questo era il suo fine, nascendo, tanti milioni d'anni fa: diventare l'uomo senza artigli, abbandonare via via l'ascia, la fionda, spezzare i fucili, seppellire i coltelli - e nulla di questo è stato fatto! Anzi, la suprema Deflagrazione siede ormai, come un nuovo sole, sole di tramonto, all'orizzonte di ogni Paese (civile o meno, non significa: tutti, il nuovo sole, li affratella!).” 

Da “In sonno o in veglia”, di Anna Maria Ortese, Adelphi 1987

 

 Antonella de Paola, responsabile diritti animali Verdi Savona