Se fosse un film americano di Natale, si saprebbe già come andrebbe a finire...Ma è realtà, è Savona, e più che bianco e nero è grigio, grigio cemento senza molte speranze. Perciò il lieto fine è tutt’altro che assicurato

Favoletta di Natale

                                    di Nonna Abelarda          versione stampabile

 Oggi voglio raccontarvi una piccola favola, ma favola non è, in realtà, anche se ha molte caratteristiche del racconto natalizio. Mi dilungo un po’, ma intanto ci sono due settimane per leggere, prima che esca il nuovo Trucioli.

Se fosse un film americano di Natale, si saprebbe già come andrebbe a finire. Bene, ovviamente, in modo da scaldarci i cuori e illuderci per un attimo di essere tutti più felici e più buoni e tutti d’accordo.

Uno di quei film zuccherosi che ora vanno su tutte le reti, con tanti babbi natale improvvisati e omini di neve e padri morti o divorziati e bimbi melensi, o cattivi speculatori che naturalmente verranno puniti dai cittadini indignati…

Oppure, uno di quei bei vecchi film alla Frank Capra, col faccione volonteroso di James Stewart nelle ombre della neve e del bianco e nero…

Ma è realtà, è Savona, e più che bianco e nero è grigio, grigio cemento senza molte speranze. Perciò il lieto fine è tutt’altro che assicurato.

Però immaginatevela lo stesso come una favola, così, tanto per provare a sognare. In fondo, ancora finita non è, e chi ci vieta di darci da fare perché ci sia, un lieto fine?

Allora, abbiamo la città, Savona, e la conoscete. Abbiamo i giovani, gruppetti omologati e tutti uguali che vedete sostare nelle piazze o al porto, gruppi che sono o forse si vogliono senza troppe illusioni, senza troppa cultura e, possibilmente, senza troppe iniziative, perché tendenzialmente tutto quello che fanno dà fastidio ai bravi anziani cittadini che hanno diritto alla loro quiete, in attesa di quella eterna. Li si vuole solerti consumisti, disposti sempre a spendere. E’ consentito loro comprare vestiti di marca, magari taroccati se proprio non hanno il contante, rifugiarsi nei costosissimi locali del porto o nella discoteca del momento in riviera, saccheggiando i portafogli già asfittici dei genitori, andare a vedersi film stupidi nelle multisale, gironzolare in motorino, per alcuni, ahimè, procurarsi spinelli o peggio, e poco altro: ma niente che faccia rumore. Per loro non ci sono iniziative dedicate, concerti, mostre su cinema, fumetti o letteratura di genere. Soprattutto, mancano spazi.

Spazi dove incontrarsi senza battere i denti d’inverno o arrostire d’estate, sentire o fare musica, chiacchierare, scherzare, stare in gruppo, insomma. Magari inventarsi anche qualche iniziativa, perché no. Il tutto senza esborsi forzosi.

Di recente alcuni di loro hanno fondato un piccolo gruppetto che si riunisce in un locale alle Fornaci. Il pretesto aggregativo è la tifoseria per alcune squadre savonesi, da quella calcistica a quella gloriosa di pallanuoto (che, lo ricordiamo, è senza piscina. Transeat.)

Va be’, da qualcosa bisogna pur cominciare. Meglio il tifo sportivo che per Dolce  Gabbana o Calvin Klein.

Abbiamo ora, anzi, diciamo, c’era una volta Villapiana. Case grigie e anonime, tutte uguali, abitate da operai, brava gente, lavoratori, persone umane, semplici e dignitose.  C’era un mercato coperto, cuore del quartiere, dove le persone si incontravano, chiacchieravano facendo la spesa. Ma i tempi cambiano, cambia la gente e le situazioni, e l’anima di quel quartiere è come volata via, spazzata dai cambiamenti. Un ponte, un grigio ponticello che porta al paese dei balocchi, l’ipercoop, e il mercatino non c’è più. Terreno comunale: volevano costruirci, al solito, i box interrati, l’ennesima speculazione. Ma il quartiere operaio ha detto no, rinserrando le fila, e i box finora non si sono fatti. Cosa che mi auguro accada anche nel quartiere-bene della Villetta, riguardo ai box del parco del seminario. Giusto per dimostrare che non è questione di ideologia e di classi, ma di buon senso  e di diritti.

Ora, un gruppo di giovani vuole riunirsi, ma non hanno, come i loro colleghi delle Fornaci, i locali adatti, o forse, vogliono proprio fare un gesto altamente simbolico: occupano quel mercato coperto abbandonato da tempo.

Il tutto avviene pacificamente, disciplinatamente, sotto gli occhi delle forze dell’ordine e di qualche esponente politico che magari ricorda ancora i bei tempi delle occupazioni a scuola.

Fanno musica, e il parroco gli dà persino la corrente per lo stereo,  cercano di non disturbare, la circoscrizione sembra d’accordo, gli abitanti del quartiere non si lamentano. E poi, rivendicano: vogliono spazi per i giovani e non solo, vogliono creare aggregazione, fare iniziative culturali, mostre, concerti. Fanno subito una mostra sulle bombe savonesi degli anni ’70, tanto per cominciare.

Miracolo: la cronaca locale si interessa alla cosa. Un assessore, Costantino, promette persino di portare le loro rivendicazioni in Giunta e perorare la loro causa…

Tutto bene, dunque? Macché. Benché molta parte della cittadinanza guardi con simpatia all’iniziativa, se non altro un tentativo di vivacizzare la città, e non ci siano vere e proprie lamentele, e persino chi di solito, solo sentendo la parola “centri sociali”, mette mano alla pistola a prescindere, questa volta se ne stia buono, la giunta ingessata, anzi, incementata si irrigidisce sul concetto di “illegalità”; Tuvé e Caviglia in particolare sottolineano: i ragazzi devono sgomberare.

Soluzioni? Altri locali? Forse, chissà, a posteriori… e si sa già come finiscono queste cose. Perché tanta durezza e sollecitudine? Perché è facile essere duri con chi non ha potere? Perché in giunta sono più conservatori dei conservatori? Perché temono soprattutto di screditarsi agli occhi di elettori danarosi e benpensanti? Perché non vogliono grane se per caso accadesse qualche infortunio nell’edificio, di proprietà comunale,  o la struttura non reggesse?

O forse, insinuo, avrà dato loro fastidio il fatto che una delle prime iniziative strombazzate da questi insolitamente saggi ragazzi sia stata la lotta al cemento che incombe su Savona, Margonara in primis?

Chissà. Di certo, più che la figura di Babbo Natale, ci fanno quella di Uncle Scrooges. Dei burocratici impettiti e insensibili, attentissimi  alle esigenze di chi “c’ha le palanche” e conta molto nel tessuto sociale della città, e un po’ meno a quelle di chi non ha potere contrattuale né voce in capitolo. Anche se della città, teoricamente parlando, dovrebbe essere la speranza e il futuro.

Allora, io dico, se fosse una favola cosa succederebbe adesso? Che la gente scenderebbe in piazza, organizzerebbe piccole, innocue e civili, simpatiche manifestazioni pro-centro del quartiere,  farebbe sentire appoggio e solidarietà. Che alla fine anche questi politici “duri di cuore”, di fronte a tanta mobilitazione e al rischio di impopolarità, sarebbero costretti a mettersi una mano sulla coscienza e trovare una soluzione utile, un posto per i giovani e non solo, e lasciarli liberi di organizzare le loro manifestazioni, che chissà, dal niente potrebbero persino un giorno diventare importanti, occasione addirittura di richiamo turistico o fucina per nuovi talenti. Quando si parte con gioventù, entusiasmo, e, azzardiamo, qualche ideale, doti che a Savona latitano da tempo, non si sa mai dove si può arrivare. E gli esempi concreti e positivi sono contagiosi.

Ma non siamo in una favola, e tutto questo difficilmente accadrà. Stiamo a vedere, e non disperiamo, soprattutto, facciamo sì che di questa cosa, di questa isoletta colorata nel grigio di Savona, si continui a parlare, in modo che non si faccia tutto con discrezione e in silenzio, dietro alle spalle dei cittadini come al solito. In modo che almeno chi decide debba farlo apertamente, mettendoci la faccia in prima persona. Possibilmente, senza incidenti o strumentalizzazioni politiche troppo eclatanti che forniscano comodi alibi ai contrari.

Con un po’ di tristezza, ricordo che persino le piccole manifestazioni prenatalizie di una decina di anni fa, le festicciole di strada o di quartiere con birra e vin brulé, i banchetti con i lavori all’uncinetto offerti per trovare fondi per le scuole, i canti natalizi sulla spiaggia intorno al fuoco, che univano le diverse età, scuola, società di mutuo soccorso, parrocchia…Tutte queste piccole cose che scaldavano il cuore sono più che altro un ricordo. Chi ci ha ridotto così, in dieci anni? Un responsabile preciso l’ho in mente, uno che è sceso in campo a fare danni, ma sarebbe ingeneroso fargli fare da alibi e parafulmine totale. La colpa non è solo sua: ha seguito un andazzo e ha solo contribuito ad accelerarlo e accentuarlo a suo vantaggio.

Ora, il Natale è sempre più consumistico, e persino il buon vecchio presepe dà fastidio.

Allora, continuiamo pure a riempirci il carrello all’iper di gingilli fabbricati da schiavi cinesi, e dimentichiamoci di tutto, anche del sociale, della vecchia solidarietà, anche del futuro.  

Buone Feste, anzi, Buon cemento a tutti J 

Nonna Abelarda