LE STORIE DEL SIGNOR KEUNER MARGHERITA PIRA
|
Alla Corte di Genova, domenica scorsa, c’erano un pubblico e uno spettacolo che ricordavano un’atmosfera che io credevo totalmente scomparsa. E invece no. Eccoli lì come ai tempi ruggenti delle contestazioni per un ideale e delle barricate.
Bisogna precisare una cosa: il pubblico della domenica pomeriggio a teatro non è quello delle serate.
E’ un pubblico prevalentemente femminile di signore anziane che vengono da fuori Genova e che, per l’età, non usano più la macchina, ma preferiscono il più tranquillo ( anche se non puntuale ) treno.
Questo pubblico normalmente sceglie gli spettacoli soprattutto se conosce l’attore principale.
Moni Ovadia è un nome. E’ bastato questo.
In realtà Brecht per un certo pubblico è dato per scontato e forse può sembrare anche vecchiotto. Ma Brecht è ormai un classico e accettato come tale, non però dalle signore dello spettacolo pomeridiano.
Ovadia negli ultimi tempi non piaceva più molto. Ogni sua recita mi sembrava al livello del già visto Avevo scelto lo spettacolo semplicemente perché non conoscevo quel dramma di Brecht e desideravo saperne qualcosa di più.
Il palcoscenico era come al solito senza sipario con finti manichini e un gran caos di oggetti, i più disparati e i più imprevedibili. Normale..
Gli attori iniziano in ritardo e questo crea un po’ di tensione perché si teme di perdere il primo treno del ritorno.
Si spengono le luci, i manichini prendono vita e appare lui che canta qualcosa, forse in tedesco. Non nuovo.
Su una rotaia a mezz’aria arriva un carrello con una sedia. C’è seduta una bionda esplosiva con tuba in testa, sigaretta in mano e gambe accavallate stile soubrette da cabaret anni trenta.
E’ bella. Scopriremo poi che è un uomo. Tutti i ruoli erano ricoperti da uomini, ma per gli altri, le soubrette di fila, era più facile da capire perché la paradossale truccatura di scena cadeva, come ovvio, nel grottesco.
Una scena in continua mutazione. Mobili che apparivano e sparivano con una paradossale velocità rivelando chiaramente le strutture che li muovevano.
L’attenzione dello spettatore era continuamente spostata nei più impensabili angoli del palcoscenico perché da una parte si illuminava una scritta, dall’altra usciva una didascalia mentre un vecchio, quasi senza capelli e una lunga barba incolta, si ostinava a spiegare il valore didattico della piece.
Keuner è l’alter ego del drammaturgo. In realtà tutto lo spettacolo è la biografia dello scrittore nei suoi episodi più importanti ( come il processo per l’accusa di comunismo ), ma soprattutto nella fede nei suoi ideali.
Mentre gli attori recitano, scorrono sullo sfondo immagini di carri armati che non sono proprio quelli della seconda guerra mondiale, ma sembrano molto più recenti.
In alto, su un mini schermo, compaiono figure di personaggi assai recenti che parlano, discorrono, declamano o cantano.
Ricordo un Cacciari impegnato a filosofeggiare e una Milva che, ovviamente, canta Brecht.
Il nome Keuner è la deformazione sarcastica di keiner che in tedesco significa nessuno.
La signora seduta accanto a me è evidentemente a disagio. Non si aspettava questo.
La cosa peggiore per lei, poverina, è stata questa: è apparso su uno schermo Andreotti, durante il processo, e mentre Ovadia declamava qualcosa, il senatore continuava a dire “Non ricordo”
Qualcuno ha timidamente applaudita e io mi sono unita. La signora, a questo punto, ha trovato il suo bersaglio. Si è voltata verso di me e ha sibilato forte il segno di tacere.
Con finta umiltà le ho chiesto se il mio applauso l’aveva infastidita. “Parecchio” è stata la risposta. L’ho cortesemente invitata a postarsi in un sedile vicino e lei mi ha dimostrato tutto il suo odio dandomi con ostentazione la schiena.
E’ stata veramente una cosa splendida! Non mi accadeva più dal tempo dei miei vent’anni .
Tra palcoscenico e platea intanto succedeva di tutto. Accattoni, soubrette, barboni, mendicanti offrivano mercanzie o donavano rose.
Alla fine Keuner, che ormai non teme più la morte, muore ed è proprio una gran bella festa.
Da tanto tempo non ero più così felice e, sinceramente, non pensavo che lo sarei stata ancora a questo modo.
I miti, quando sono autentici, restano.
Evidentemente Brecht non è un falso mito.
Margherita Pira