Qualche motivo per guardare con spirito critico alle orgogliose opere di tanti ottimi ingegneri, magari tecnicamente perfette, ma socialmente ed ecologicamente disastrose
PROFESSIONISTI, CHE TREMORE

Marco G. Pellifroni

I professionisti hanno la capacità di mettermi, chi più chi meno, in stato di allarme.

Ci sono innanzitutto i medici, che, volente o nolente, invadono fisicamente la mia sfera corporale e quindi hanno il diritto-dovere di mettermi le mani addosso, nude o strumentate, con intenti spesso tutt’altro che tranquillizzanti. In quei momenti, la mente divaga verso articoli di stampa che riportano plateali errori di diagnosi e/o terapie, ipersomministrazioni di farmaci, spesso controproducenti, e il cuore accelera i suoi battiti come quello di un coniglio in gabbia. La chiamano malasanità; e certo i casi saranno statisticamente pochi, ma le statistiche, si sa, sono cieche e potrei essere io il prossimo numero.

Un’altra categoria di professionisti che mi turba a livello personale sono gli avvocati, perché nelle loro mani non so mai se sto marciando verso quella che ritengo una giusta vittoria o precipitando invece verso una cocente sconfitta. “Dipende dai giudici”, usano dire, elencando una serie impressionante di sentenze “anomale”, penso per mettere le mani avanti; per cui non mi resta che incrociare le dita e sperare nella buona disposizione di chi mi dovrà giudicare; dopodichè sarò a tutti gli effetti reo o innocente. Più cresce il numero delle leggi e più ci si affida alla discrezionalità di chi, alla fine di un tortuoso iter, variabile da un minimo di 3 anni a un massimo ancora non identificato (continuano a emergere dal cilindro forense processi in corso con record di durate), sentenzierà se avevo ragione o torto. E anche gli avvocati, miei angeli custodi, sembrano pedine ossequiose nelle mani dell’onnipotente casta giudiziaria. Ad essi mi devo rivolgere, ad essi mi devo affidare, ma mi paiono sempre più fragili nelle aule dell’attuale giustizia (ammesso che il termine continui a mantenere in pieno il significato originario). Perciò provo tremore non tanto verso di loro, quanto per la aleatorietà degli eventi che pur dovrebbero scongiurare.

E che dire dei commercialisti? Chi svolge un’attività in proprio conosce bene lo stato d’animo che si impossessa di noi quando una telefonata ci avvisa delle imminenti scadenze di versamenti dovuti ora a questo ora a quell’ente pubblico: tasse, imposte, contributi, sempre in crescita a fronte di ritorni e servizi in ragione inversamente proporzionale. Scadenze da rispettare puntualmente, pena l’applicazione di sanzioni che hanno tutto il sapore dell’usura legale: che cos’è, infatti, un 3,75% di penale per un ritardo fino a 1 mese se non un interesse tondo del 45% all’anno (più, naturalmente, l’interesse “legale”, quasi a sottolineare che l’altro non lo è)? E con l’Irap basta un solo giorno di ritardo per avere una sanzione del 30%: non calcolo l’interesse annuo, perché rabbrividisco al solo pensiero del risultato!

Sin qui ho elencato professionisti che si inseriscono nella mia sfera privata: la mia salute, la mia libertà, il mio portafogli. Tutti patemi che colpiscono me personalmente. 

Ma, causa il mio cuore “verde”, i professionisti che più mi turbano a livello collettivo, ossia in quanto parte della comunità vivente, sono gli ingegneri e i geometri. A loro dedico pertanto più spazio, perché le loro azioni invadono non solo la mia esistenza, ma anche quella dei miei figli e delle generazioni a venire: le loro sono gesta irreversibili.

Così, quando vedo qualcuno per strada o sulle “fasce” che traguarda da un teodolite mi si rizzano i capelli in testa: quale altro stravolgimento staranno macchinando? Quale ente pubblico o società immobiliare si celerà dietro questi assaggi preliminari? Quando arriveranno ruspe e percussori a farla finita con l’amenità di un bosco o il regime naturale di un fiume? Quando demoliranno il paziente, faticoso lavoro di terrazzamenti dei nostri progenitori per insediarvi condomini, fabbriche, opere pubbliche?

Qui a Finalpia, ex tranquilla frazione di Finale Ligure, da oltre 1 anno il fiume Sciusa è tormentato, vessato, stuprato da ogni sorta di macchinari, che trivellano, demoliscono, ribaltano il letto, tagliano querce secolari (le ultime 6 immolate la settimana scorsa), spostano massi, vomitano tonnellate di cemento lungo gli argini. E tutto questo nonostante l’iniziale, tenace opposizione locale, così “ottusa” da non comprendere i motivi di tanto scempio. Alle proteste di popolo, si sono addotte giustificazioni a dir poco risibili: si “mette in sicurezza” lo Sciusa in virtù del fatto che è assodato che si ha un’alluvione ogni 200 anni. Ma da quando in qua la politica va più in là dei 5 anni di governo? E ora dovremmo prestar fede a preoccupazioni lunghe 2 secoli, quando proprio la somma delle azioni ingegneristiche a livello planetario portano a furiose reazioni della natura ben più rapide di questo lasso di tempo? E le alluvioni stesse, per quanta parte non sono responsabilità di cementificazioni, disboscamenti e, quasi non bastasse, incendi dolosi?

E già, ma bisogna metter nel computo i fondi europei finalizzati a quest’opera; se non diamo inizio ai lavori, perdiamo i finanziamenti e quindi la possibilità di “dare lavoro”, di far girare soldi in un’economia altrimenti solo turistica. Solita giustificazione di opere di dubbia utilità, quando non dannosità sociale, in nome del FARE, ossia dell’imperativo categorico della nostra breve (sia nel passato che in prospettiva) epoca: a fronte di risorse finite si agisce come fossero senza fine.

Un’epoca lineare, la nostra, dopo millenni di circolarità delle attività dell’uomo, ritmate come le stagioni, le fasi lunari, la rotazione terrestre. Oggi siamo talmente bravi che, pur non essendo ancora riusciti a modificare i cicli planetari e lunari, ci siamo dati un gran daffare per produrne gli effetti, alzando le temperature del pianeta e riducendo le differenze tra diverse latitudini, con effetti devastanti, a cominciare dalle zone polari. Ormai a sostenere il contrario è solo un’esigua minoranza di scienziati, quando anche il più sprovveduto dei cittadini si avvede in prima persona, senza intermediari “scientifici”, che è in atto da almeno 30 anni uno stravolgimento delle stagioni e delle temperature medie, estive ed invernali; e le stagioni “eccezionali”, come il corrente autunno, sono ormai la norma.

Ciononostante, gli unici che sembrano non accorgersi di quello che tutti vedono sono proprio coloro che hanno responsabilità di governo, a livello sia locale che nazionale e globale: siamo guidati da leaders indifferenti alla direzione verso cui sta marciando il mondo a velocità accelerata, e che quindi continuano ad affidarsi a squadre di ingegneri per costruire opere sempre più gigantesche, per piegare la natura ai loro voleri, per rimediare alle pecche di opere precedenti. E siccome l’energia a disposizione non basta (né basterà mai) per attuare questi interventi, si sente riecheggiare la necessità di una svolta nucleare: che sia Italia, Iran o Corea del Nord, fa poca differenza. L’emulazione delle scelte sbagliate è una tentazione cui l’uomo sembra non saper resistere. Né valgono i fallimenti conseguenti a quelle scelte sbagliate per far cambiare idea. Sempre più energia, sempre più materie prime, a prescindere dall’uso che se fa, a prescindere dai costi ambientali e sociali.

Ma, a proposito, qual’è la prima materia prima? L’ACQUA, base non solo della vita ma anche della stessa produzione di energia, sia idro che termoelettrica (come pure di qualsiasi altra attività produttiva, agricola o industriale).

Non intendo qui dilungarmi troppo (lo farò semmai in un prossimo numero) sulle tragiche scelte fatte nei 40 anni passati a proposito di governance dell’acqua a livello planetario. Le faraoniche opere idrauliche realizzate per “regimentare” il percorso di fiumi da cui dipende la sussistenza di intere popolazioni hanno tutte ottenuto l’effetto contrario: e questo vale sia per il regime ex sovietico che per i potenti Stati Uniti, sia nell’Africa del Sahel che nell’Africa nilotica islamica, sia nel Sud Est asiatico che nella frenetica Cina. Ovunque l’acqua è diventata l’ORO BLU, più indispensabile dello stesso ORO NERO; e la sua crescente scarsità innescherà, anzi ha già innescato, guerre tra poveri come tra ricchi per il suo accaparramento.

Forse non tutti sanno che alla base dei conflitti tra israeliani e palestinesi (nonché Siria e Giordania) sta l’approvvigionamento idrico, con Israele a far la parte del leone. Forse non tutti sanno che gli ingegneri israeliani hanno deviato il corso del Giodano in un gigantesco canale per servire le proprie città costiere, riducendo questo fiume biblico (dove Giovanni battezzò Gesù), in un rigagnolo maleodorante, che immette quel poco che cola in un Mare sempre più Morto, questo sì lasciato “equamente” a disposizione anche della Giordania (che pure si chiama così in virtù dell’ex fiume omonimo).

Consiglio chi volesse saperne di più di leggersi “Un pianeta senz’acqua”, di Fred Pearce, appena edito da Il Saggiatore. Ma si legga anche, in senso contrario, “Le bugie degli ambientalisti”, seconda puntata di due scrittori di area vaticana, i quali, pur di giustificare la libera crescita del genere umano, nonostante gli evidenti guasti di una sovrappopolazione (ma guai a usare questo termine per il genere prediletto da Dio!) sempre più tecnologizzata, negano che l’effetto serra interessi l’intero pianeta, negano che la moltiplicazione della fauna umana conduca ad una crisi alimentare, negano i danni conseguenti all’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi (compreso il famigerato DDT, di cui auspicano il ritorno), affidandosi, per ridurre la fame nel mondo, proprio alle principali cause della declinazione della resa dei terreni, in fase di desertificazione in quelle parti del mondo (ossia quasi tutte) in cui si è praticata l’agricoltura intensiva e l’insensato consumo di acque di fiumi e di falde. Qualche esempio? In casa nostra: le ultime magre estive del Po, o i ghiacciai alpini in rapido ritiro, che di quelle magre sono una concausa. Fuori casa: il lago Ciad, in Africa occidentale e il lago d’Aral in Asia Centrale. Sono lo spettro di ciò che erano anche soltanto 40 anni fa, e spargono sabbia e sale (e veleni) tutt’intorno alle ex coste, ammalorando quanti hanno la disgrazia di viverci, tra i più poveri e con le più drastiche riduzioni dell’aspettativa di vita del pianeta, con altissimi tassi di anemia e tubercolosi: in sostanza, proprio coloro che le grandiose opere ingegneristiche dovevano redimere da una vita modesta ma dignitosa ad una di stampo “occidentale”. E come chicca finale voglio aggiungere la laguna di Venezia: alterata dall’ingegneria umana, ora si vorrebbe salvarla con altre megalitiche opere di ingegneria (MOSE), anziché tentare di ripristinare la sua naturale funzione di scolmatore delle acque di piena: funzione fondamentale di tutte le zone umide, come paludi, delta, lagune. Nell’attesa, l’acqua alta sta moltiplicando le sue visite in città.

Ecco qualche motivo per guardare con spirito critico alle orgogliose opere di tanti ottimi ingegneri, magari tecnicamente perfette, ma socialmente ed ecologicamente disastrose. Magari fatte in buona fede, un tempo, ma sempre più in mala fede (specie dai politici), oggi, al crescere dei loro esiti contrari agli intenti originari.

E visto che lo slogan ecologista più azzeccato è, a mio avviso, quello di Lega Ambiente, che invita a pensare globalmente e agire localmente, torno al mio campicello, da cui sono partito. Penso infatti che, fatte le debite proporzioni, anche le opere calate sul nostro Sciusa siano soldi sprecati: non foss’altro perché, se il livello dei mari è destinato a crescere con l’aumento delle temperature locali, nei prossimi fatidici 200 anni dovremo proteggerci più dalle mareggiate del Mediterraneo che dalle piene del modesto Sciusa. Mi chiedo infine come mai, considerato il numero ingente di torrenti che si gettano in mare lungo le migliaia di km di coste italiane, questo trattamento “privilegiato” sembri esser stato riservato solo allo Sciusa. E’ forse il più pericoloso? O si pensa di replicare in centinaia di altri torrenti?  

A cominciare magari da Pora e Aquila, che nel 1900 esondarono in Finalborgo ben più dell’ultimo straripamento dello Sciusa, come attestato da lapidi che ne ricordano il livello a imperitura memoria. 

Marco G. Pellifroni                                          1° dicembre 2006