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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

 Equorum mirabilia

Prima parte  

Non è facile inzeppare in poche pagine le notizie indispensabili intorno al cavallo, di cui Buffon giustamente scrisse che

 la plus noble conquête que l’homme ait jamais faite est celle de ce fier et fougueux animal, qui partage avec lui les fatigues de la guerre et la gloire des combats.

 Cominciamo con un po’ di terminologia. In ingl. generalmente horse, stallion è il maschio maturo, mare la femmina, stud il cavallo da monta, gelding il castrone, foal il puledro, colt se maschio e filly se femmina. In ted. das Pferd, con ogni probabilità tramite la seconda rotazione consonantica da paraveredus, il cavallo di posta latino, das Roß il “destriero” dall’aat hros, norr. hross, der Zelter, aat Zeltari, dal lat. tieldo (“Nella Penisola Iberica si trovano le nazioni dei Galleci [nella Galicia a nordovest] e degli Asturici [nelle Asturias, ad est della prec.]; costoro allevano la specie equina che noi chiamiamo dei Tieldones, ed anche quella di taglia minore detta degli Asturcones, che non procedono col passo consueto delle altre razze ma con un’ambiatura oscillante piegando alternativamente le zampe laterali, donde poi è sorta l’abitudine di far muovere al trotto, in modo però per loro non naturale, anche gli altri.: PLIN. SEN. VIII 166), forse a sua volta dal basco, è il palafreno, der Klepper o Gaul la brenna, der Wallach il castrone, die Stute la cavalla, der Hengst lo stallone, das Füllen il puledro, der Schimmel il leardo, der Rappe il morello, der Fuchs il sauro o baio. In fr. cheval, étalon da monta, jument la femmina, poulinière la fattrice, hongre il castrone, poulain il puledro e pouliche la puledra. In isp. caballo, femm. yegua, jinete militare, semental o padrillo lo stallone, encuarte il trapelo, potro il puledro, femm. potra, finalmente nel gergo rioplatense redomón è il cavallo brado.

 In it., tralasciando le voci ovvie, il bidetto è il pony, baiardo il nobile, rozza o brenna da lavoro, brocco (dal lat. brocchus, lett. “coi denti protrusi”, che è un segno di vecchiaia) o ronzino il cattivo, marrone il cavallo da traino, bilancino e trapelo quelli che si aggiungono al tiro per affrontare una ripida salita, corsiero o destriero per la battaglia, ginnetto da corsa, palafreno per i viaggi, bardotto (lat. hinnulus: PLIN. SEN. VIII 172) dall’incrocio dell’asina col cavallo. Ci sono poi le sorte secondo il colore del mantello: baio rosso-bruno, balzano con una macchia bianca sulla zampa, leardo bianco, morello nero, rabicano con peli bianchi qui e là, roano con un misto di peli neri bianchi e sauri, pezzato con macchie irregolari sul mantello, sagginato con sfumature rossicce, sauro tra giallo e lionato. Aristotele (hist. an. 576a6-12) scrive:

Il cavallo ha quaranta denti, mette i primi quattro a trenta mesi, due di sopra e due di sotto; passato un anno ne mette altri quattro nello stesso modo, due di sopra e due di sotto, e di nuovo quand’è passato un altro anno; trascorsi quattro anni e sei mesi non ne mette più nessuno.

 Tutto ciò si riflette nella nostra nomenclatura: dei quaranta denti, tre per ogni lato delle due mascelle sono molari e altrettanti premolari, due in tutto gli scaglioni (columellares in PLIN. SEN. XI 168, i kynodóntes di ARIST. hist. an. 576b17, i canini appunto -kýōn/kynós in gr. ant. vuol dire “cane”-, da cui si determina l’età) e tre per ogni lato gl’incisivi, che si dicono lattaiuoli nei puledri (pullini in PLIN. SEN. VIII 172) e cadono, rispettivamente, i picozzi fra i due e i tre anni (puledro di primo morso), i mezzani fra i tre e i quattro (di secondo morso) e i cantoni fra i quattro e i cinque (di terzo morso).

Tornando indietro nel tempo, il mic.  (iqo), lat. equus (in realtà ekws, come prova il dim. eculus), sscr. (aśva), airl. ech, ab. eoh, lit. ešva (“giumento”), tocB yakwe, Epo-redia (oppidum Eporedia Sibyllinis a populo Romano conditum iussis. eporedias Galli bonos equorum domitores vocant: PLIN. SEN. III 123; “I Romani fondarono il borgo di Ivrea per una disposizione letta sui Libri Sibillini. I Galli chiamano eporedi i bravi domatori di cavalli”) dichiarano una comune origine ie. ekwos. Del gr. híppos, var. híkkos con velarizzazione della labiovelare, non si sa dar conto dell’aspirazione, sicuramente secondaria, e del timbro della sillaba radicale, mentre esistono spiegazioni della geminata. Dal neogr. è scomparso, se non in alcune espressioni della katareusa, e si dice álogon, lett. “l’irragionevole”. In lat. esistono anche mannus: equus brevior secondo IS. or. XII 1, 55, usato dai ricchi Romani nelle passeggiate (currit agens mannos ad villam praecipitanter: LUCR. III 1063), che pare venga dall’ill., riflesso nell’alb. mes, “mandria”, e caballus, in origine nel sermo doctus la rozza o il brocco, poi in vittoriosa concorrenza col termine alto equus, scomparso dalle lingue neolatine, lo si collega all’ab. kobyla “giumenta” e al br. caval, ma non è chiaro chi abbia preso in prestito da chi. C’è comunque un’innegabile parentela con cabus, cantherius: il castrone, e col gr. kanthē’lios e kánthōn/kánthōnos: asino o tiro. Infatti da MART. I 41, 18-20:

 

Non cuicumque datum est habere nasum:

ludit qui stolida procacitate,

non est Tettius ille, sed caballus, 

e cioè: non tutti hanno naso, nel doppio senso del buon gusto e dell’esser ben dotati, chi non sa scherzare non è il celebre motteggiatore Tettio Caballo, bensí un caballus, cioè un impotente; sembra che significasse anche castrone. Già in senso moderno, il che dimostra che non si tratta di un’evoluzione semantica quanto di una variante diastratica, l’oraziano proverbiale optat ephippia bos piger, optat arare caballus (ep. I 14, 43), che corrisponde all’ingl. “the grass is greener on the other side”. In ogni modo, i paralleli confermano la matrice ie dei termini. Ignota, ma evidentemente comune, l’origine di bab. e ass. sīsū, ebr.   (talvolta fatto invece derivare da una disus. √ che significa “balzare di gioia”), eg. ssm.

 Nella sistematica del grande Aristotele il cavallo è un viviparo solidungo erbivoro del gruppo dei criniti (hist. an. passim; traduco cosí, rispettivamente, zōotókos, mōnux, poēfágos, lofoûros). Una delle classificazioni moderne è rappresentata dallo schema che segue. Sono cerchiate le familiae estinte.  

 I fossili più antichi si son trovati in campi del primo eocene, ca. cinquanta milioni d’anni fa negli Stati Uniti, e certo oggi non sarebbero riconosciuti per tali: avevano le dimensioni d’una volpe, coi denti aguzzi, il dorso arcuato, gli arti posteriori più lunghi degli anteriori e cinque dita, di cui una atrofizzata. Scomparvero dal Nuovo Mondo nella valle del Mississippi per motivi ignoti, dopo aver dato origine ad un phylum eurasiatico, uno dei cui possibili sviluppi è illustrato qui oltre.

 

 

 

Così il grande paleontologo americano Othniel Charles Marsh, cui soprattutto si deve la codificazione della storia evolutiva del cavallo, scriveva in Fossil horses in America (nel 1874):

 

The most marked changes undergone by the successive equine genera are as follows: 1st, increase in size; 2d, increase in speed, through  concentration of limb bones; 3d, elongation of head and neck, and modifications of skull. The increase in size is remarkable. The Eocene Orohippus was about the size of a fox. Miohippus and Anchitherium, from the Miocene were about as large as a sheep. Hipparion and Pliohippus, of the Pliocene, equalled the ass in height; while the size of the Quaternary Equus was fully up to that of the modern horse [...] The ancient Orohippus had all four digits of the fore feet well developed. In Miohippus [...] the fifth toe had disappeared, or is only represented by a rudiment, and the limb is supported by the second, third, and fourth, the middle one being the largest. Hipparion [...] still has three digits, but the third is much stouter, and the outer ones have ceased to be of use, as they do not touch the ground. In Equus, the last of the series, the lateral hoofs are gone, and the digits themselves are represented only by the rudimentary splint bones. The middle, or third, digit supports the limb, and its size has increased accordingly.

 

Va precisato però che la fiducia positivistica di Marsh che fosse possibile una ricostruzione completa e lineare è oggi messa in dubbio: “The horse family [...], because of the abundance and diversity of fossil remains, must be regarded more as a bush than as a ladder” (DEB BENNETT, The Elsevier Encyclopedia of Animal Science, vol. C 7, Horse Breeding and Management, 1992). Questo è il quadro ricostruttivo offerto dalla signora Bennet:

 

Shortly after the beginning of the Neogene, with the advent of widespread grasslands, and in response to the evolution of taller, swifter, and more intelligent carnivores, one horse lineage developed the bodily structures necessary for it to masticate and digest grass and to run away from predators swiftly in a straight line. Some branches of this lineage remained small and light, resembling deer or small antelopes in form, some becoming dwarfs smaller than their first grazing ancestor. Other branches tended toward the stockiness characteristic of the living Equus. Most forms were tridactyl, but monodactyly developed more than once. During the Miocene and Pliocene, many different grazing genera coexisted on the open savannas of North America, while browsing forms with the chalicomorph body design continued to exist in the remaining patches of forest. Interhemispheric migration of equid species was periodically possible throughout the Tertiary, depending upon plate tectonic conditions. During the early Eocene, Hyracotherium migrated from North America to Europe via a Greenland bridge. In Europe, it gave rise to several ‘native’ European species of the genus, as well as to the first of the chalicothere-like equid genera, Paleotherium. The various descendants of Hyracotherium had died out in the Old World by the middle Oligocene and, rather surprisingly since an intercontinental connection between Alaska and Asia was in existence at that time, no horse remains have been found in later Oligocene rocks there. In the middle Oligocene, all interhemispheric connections were severed, but by late Oligocene time the Beringian land route was again open and the North American chalicomorph browser Anchitherium used it to travel westward. In Eurasia its descendants diversified into several different genera represented by many species. They may also have been the first equids to inhabit Africa. In North America, Kalobatippus continued the chalicomorph line. The genus Hipparion was the next, in the early Miocene, to migrate from North America to Eurasia via Beringia. Remains of many species of Hipparion are found in great abundance all over Eurasia, from China to Spain. The genus persisted longest in Africa, finally dying out there in the early Pleistocene, the last three-toed horses in the world. By that time, the last interhemispheric migrant of the equid family had also reached Africa: the heavy-bodied, monodactyl genus Equus.

 

Quanto alle forme moderne, alcuni propendono per la teoria monofiletica: l’unico antenato sarebbe l’Equus caballus Przewalski, sorto nelle steppe dell’Asia Centrale e diffusosi ad est in Cina e in Mongolia, e ad ovest in Europa, ove diede origine al Tarpan, poi a sudovest verso l’Asia Minore, e di qui in Egitto e nel Mediterraneo. Altri preferiscono l’ipotesi polifiletica, duogenica: un tipo occidentale (il Tarpan) ed uno orientale, o tetragenica (oggi più in favore anche grazie alle analisi cromosomiche):

1.     nell’Europa nordoccidentale il tipo del pony di Exmoor;

2.     nell’Eurasia del nord il tipo di Przevalski;

3.     nell’Asia Centrale e nell’Europa meridionale il tipo della valle di Douro (in Portogallo);

4.     nell’Asia occidentale il tipo del pony del Caspio.

 

Come mostrano le pitture dell’arte rupestre magdaleniana, il cavallo fu cacciato dagli uomini preistorici quale fonte di cibo anche dopo l’era glaciale, ma poi venne la domesticazione, in epoca ignota ma certo molto più tardi del cane e delle bestie da macello, con ogni probabilità per merito di una tribù ie stanziata nelle steppe fra il Mar Nero ed il Mar Caspio, e dalle popolazioni ie l’uso passò in Babilonia attorno all’inizio del secondo millennio e in Egitto ad opera degli Hyksos all’inizio del XVI sec. a. C. D’altr’onde l’abilità degl’Indiani nell’uso del carro da guerra è indirettamente testimoniata già attraverso il cd Codice ippico, scritto da un certo Kikkuli del paese di Mitanni per il sovrano ittita Suppiluliumas intorno al 1350 a. C. e ricuperato dagli scavi di Boghazköy nella forma di quattro tavolette sull’addestramento e l’acclimatazione dei cavalli; ora, alcuni termini tecnici usati da Kikkuli, a cominciare da quello che descrive il suo mestiere: assussanni, ossia , il “maestro d’equitazione”, provengono da una lingua indoaria affine al sanscrito. L’impiego originario dovette essere il tiro, se è vero che ancora l’eroe omerico non cavalca ma raggiunge sul cocchio (dífrōn, lett. “il portatore di due”), guidato dall’auriga, il campo di battaglia e scende a combattere a singolar tenzone (posto che abbia senso dedurre consuetudini storiche reali dall’Iliade).

I modelli attuali sono tre:

1.     i pony di taglia ridotta, sotto i 147 cm al garrese, con parecchie “razze” o breeds, ad es. il Cavallo di Przewalski, il Connemara, il Dale, il Dartmoor, l’Exmoor, il Falabella, il Kagoshima, l’Hokkaido, il New Forest, il pony australiano, boero, cinese, giavanese, indiano, islandese, mongolo, norvegese, lo Shetland, il Tarpan, il Tibetano, ecc.;

2.     il cavallo da lavoro o heavy breeds a “sangue freddo”, pare dalle razze della Tundra e della Steppa, oggi ovviamente non più in uso, sino a due metri al garrese ed a quindici quintali di peso: l’Ardennese, il Belga da Tiro o Bramantino, il Clydesdale, il Norico, il Percheron, il Pinzgauer, il Vladimir, ecc.;

3.     il cavallo da corsa, a “sangue caldo” o a “sangue ardente”, saddle o riding horses, light breeds, forse dal purosangue arabo e dal cavallo della steppa, con decine di razze: Andaluso, Anglo-arabo, Berbero, Frisone, dell’Hannover, dello Holstein, Lipizzano (sono i celebri destrieri della Cavallerizza Spagnola di Vienna, cosí detti da un allevamento fondato in Trieste nel 1580), Lusitano, Palomino, Trakehner, Throughbreds, ecc. ecc.

MISERRIMUS