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OMAGGIO A SCERBANENCO

 A “Scerbanenco, che sapeva ricostruire con poche, luminose, pennellate gli animi torbidi”.

Spero abbiate gradito il mio raccontino della scorsa settimana intitolato “Stagione di caccia”, nato allo scopo di esprimere un punto di vista dell’autore sulla cosiddetta, ahinoi “arte” venatoria, e cioè che, al di là della sua odierna necessità o meno e al di là del fatto che l’uomo è anche carnivoro e dunque predatore, uomini e animali potrebbero sentire e soffrire in maniera simile. I cacciatori farebbero bene a pensarci, prima di sparare a caprioli, storni o altre bestie indifese per puro divertimento. In fondo se qualche scriteriato intendesse trasformare un cacciatore in preda, potrebbe trovare mille giustificazioni altrettanto falsamente valide delle loro per farlo.

Per spiegare tutto ciò mi sono valso di un genere letterario a me congeniale e cioè il cosiddetto noir.

Il maestro italiano riconosciuto del noir è stato Giorgio Scerbanenco. Un grande scrittore oggi rivalutato ma che in vita pagò le prevenzioni allora prevalenti verso le opere appunto di genere, che spesso venivano considerate letteratura di serie B. I critici letterari, spesso persone, almeno ai suoi tempi, con la puzza sotto il naso, per riconoscere qualità letterarie a un poliziesco pretendevano che esso trascendesse dal genere per puntare con tecnica letteraria superiore a un ritratto della società contemporanea dell’autore. Un buon esempio è rappresentato da “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda. L’opera si presenta esteriormente come un giallo, ma devia continuamente fornendo particolari che probabilmente non sono utili alla scoperta della verità. La trama poliziesca non giunge a una conclusione perché unico scopo dell’opera è offrire un ritratto di quella società miope, meschina e piena di pregiudizi. Gadda è ormai considerato d’ufficio un genio della letteratura italiana e come tutti i numi tutelari è diventato intoccabile, ma letto oggi il “Pasticciaccio” appare davvero tale: trama farraginosa e di difficile comprensione, ricercatezza tecnica eccessiva fino alla maniacalità, descrizioni noiose e contorte, nelle quali sovente una situazione viene esplicata in trenta parole quando dodici sarebbero più che sufficienti. Esattamente il contrario di quanto accade nelle opere di Scerbanenco, scrittore in grado di andare oltre il genere pur senza allontanarsene e autore di trame semplici, incalzanti e con il raro dono della concisione. Egli è assolutamente straordinario nell’illuminare personaggi o ambienti con poche frasi, come se si trattasse di brevi raffigurazioni impressionistiche. Un esempio perfetto lo si può trovare in quello che è in assoluto uno dei suoi romanzi più belli, “La sabbia non ricorda”, dove con tocchi rapidi ed efficaci, tratteggiati nell’arco di poche pagine, riesce a offrire un ritratto a tutto tondo di un personaggio, la sorella della vittima, una bella  ragazza siciliana giunta per la prima volta nella sua vita al nord, e della società che la circonda, rendendo entrambi vivi, autentici e indimenticabili. Ecco a titolo dimostrativo alcuni inevitabilmente troppo brevi passaggi del capitolo in cui ella fa la sua prima apparizione:

<<…”Lignano, Lignano”, gridò la ragazza. Aveva sentito l’ammirazione istintiva dell’uomo e istintivamente la sfruttava, sorrise, con la bocca senza rossetto, e i denti di un bianco accecante. (…) “A Lignano va?” Disse la ragazza indicando il pullman. Le bastò il cenno d’assenso del capostazione per raggiungere il pullman e salirvi, senza guardare più quell’uomo. Aveva risalito la penisola rivolgendosi soltanto agli uomini, e valendosi di quella specie di femminilità che la vestiva tutta. (…) e più il treno s’inoltrava in continente, e saliva al nord, più il suo potere sugli uomini sembrava aumentare, e più essi divenivano servizievoli e meno pericolosi. (…) Aveva preso il biglietto, ma capiva che adesso doveva lavorare meno di occhi, intuiva che anche al nord non dovevano essere di legno. (…). Lei pensò che era un bel ragazzo pulito e gentile (…) “Sa” – disse ancora lui – “se va da sola perde una mezz’ora a trovare quel posto, se invece mi aspetta, io torno subito e lo troviamo in un momento”. Senza pensare che per lui sarebbe stato un pasticcio farsi sostituire, voleva accompagnare quella ragazza e starle vicino quando avrebbe saputo che suo fratello era stato ucciso…>>

Di fatto un perfetto quanto eterno quadretto della società italiana rurale degli anni ’60 in cui ben risalta la psiche dei caratteristi, come si può meglio comprendere leggendo il testo per intero. Come scrisse Pier Vittorio Tondelli: “Il talento descrittivo di Scerbanenco è la sua qualità maggiore.” E in effetti la sua capacità di rendere tangibili in pochi, semplici tratti una personalità o un ambientazione è paragonabile soltanto a quella di George Simenon, il mitico creatore del Commissario Maigret.

Simenon e Scerbanenco dimostrano come un vero artista possa offrire un valido ritratto della società anche attraverso un opera di genere e senza nemmeno sfuggire a certi canoni tradizionali. Entrambi scrivevano opere efficaci, concise e di facile lettura pur mantenendo un alto valore letterario e sono ancor oggi amati da innumerevoli appassionati. Tutto il contrario di quanto avviene con Gadda, oggi letto soltanto sulla base degli incensamenti presenti sui manuali di letteratura classici ma meritatamente lasciato a metà dalla quasi totalità dei lettori. L’arte deve essere fruibile e un artista è tale se sa raggiungere il grande pubblico pur mantenendo una propria coerenza, senza scadere nella mera commercialità e nel puro entertainment. Simenon e Scerbanenco ci sono riusciti.

Scerbanenco, nato a Kiev in Ucraina nel 1911 da padre ucraino e madre italiana, il suo nome originariamente era, infatti, Vladimir Giorgio Scerbanenko, con la k, si trasferì a Milano all’età di sedici anni, città dove è ambientata la maggior parte della sua opera letteraria e dove morì nel 1969.

Gli anni ’40, ’50 e primi ’60 italiani erano poco ricettivi verso il romanzo di azione poliziesca. C’erano, è vero, i Gialli Mondadori, che in effetti pubblicarono sei suoi polizieschi ambientati a Boston, ma all’epoca erano intesi più come risoluzione ingegnosa di puzzle delittuosi nel mondo della media e alta borghesia, il medesimo a cui si rivolgevano, che come allegorie sociali. Così il buon Giorgio, che per campare era costretto a scrivere su riviste femminili, iniziò a pubblicare su collane rosa, mascherando spesso la sua vena con un superficiale romanticismo. Con il passare del tempo il rosa delle sue opere si anneriva sempre più ma alcuni dei più riusciti polizieschi conservavano titoli romantici che poco avevano a che fare con quanto veniva raccontato, giusto quel tanto, perché i sentimenti sono pur sempre parte integrante delle nostre vite. Udendo, ad esempio, un titolo come “Al mare con la ragazza” – romanzo peraltro splendido – mai si penserebbe che la ragazza in questione sia in realtà il cadavere di una giovane donna, rimasta uccisa fin dalle prime pagine, che lo sfortunato protagonista della storia si ritrova a bordo della propria auto senza più sapere che farne. Egualmente sarebbe arduo subodorare in “Europa molto amore” l’avvincente plot di due giovani coinvolte loro malgrado in criminosi avvenimenti e costrette a una fuga disperata per l’Europa.

Come spesso purtroppo accade, l’autore raggiunse appieno fama e successo tardi, appena tre anni prima di morire, con il sopravvalutato “Venere privata”, il primo romanzo dell’ottima quadrilogia dedicata a Duca Lamberti, medico radiato dall’albo per aver praticato l’eutanasia e investigatore invero assai sui generis, come d’altronde la stessa questura milanese nel cui ambito si muove. Notare, tra parentesi, come uno di questi quattro libri, l’emozionante “I ragazzi del massacro”, tratti della morte di un’insegnante in seguito a una violenza di gruppo operata da una classe di giovani sbandati. Argomento, come potete constatare, di stretta attualità benché risalente a ben quaranta anni fa, e dunque atto a dimostrare come il mondo in fondo non sia cambiato e gli attacchi alla gioventù odierna, più sana di quanto vogliano farci credere, siano pretestuosi.

Il meglio di sé Scerbanenco, autore straordinariamente prolifico, con centinaia se non migliaia di racconti e romanzi a suo nome o sotto pseudonimo, spazianti addirittura dallo spionistico fino alla fantascienza, lo offre forse sulla lunga distanza, ma anche i racconti sono a loro modo interessanti, tragici nei loro duetti di amore e morte oppure crudi e glaciali nel presentare al lettore il mondo della criminalità e della perdizione in tutta la sua brutalità e soprattutto ottusità, perché alla fine in Scerbanenco il crimine non paga, mai.

In conclusione faccio presente che la frase riportata tra virgolette in testa all’articolo è di Piero Colaprico, l’autentico erede dell’Ucraino, il quale, nell’introduzione di Al mare con la ragazza, aggiungeva anche che “lo Scerbanenco migliore non è oleografico, è quello disperato, umiliato, bidonato dalla vita.”

 L’opera di Scerbanenco, se qualcuno si sentisse invogliato da questo scritto a leggerla, è reperibile in prevalenza presso l’editore Garzanti.

Massimo Bianco