Il sesso è una cosa normale. Non un tabù, non una perversione, non un peccato. È naturale, come bere, come mangiare, come sognare. 
PARLANDO DI SESSO

                      Samantha Giribone     versione stampabile

 “…scorrono gli anni nascosti dal fatto che

 c’è sempre molto da fare,

e il tempo presente si lascia fuggire con scuse condizionali

…ribussa ai miei pensieri un desiderio di ieri…

ed è l’eterna lotta tra sesso e castità…” 

Sesso. Sempre sesso. Ovunque sesso. 

Sesso visto, sesso parlato, sesso ascoltato, sesso pubblicizzato, sesso cantato, sesso scritto, sesso letto, sesso stigmatizzato, sesso nascosto. 

Sesso ucciso. Sesso svuotato. Sesso annullato. Sesso stuprato. 

(Pos)Sesso. 

Cos’è il sesso nel Duemila? 

Un contenitore di potere. Un modo per esercitare potere. Per manifestare superiorità. Dominio.

 Il sesso nel Duemila è il “male universale” additato dalla religione;

è il libro di Melissa P.; è la maccheronica sessualità che fluttua nell’etere; è Internet; è la pruriginosità del gossip; è la stagionale “mattanza femminile”, come l’ha ben definita Gloria, nella sua rubrica, qualche tempo fa. 

Forse era così anche Duemila anni fa. Questo non lo so. Forse lo posso immaginare. 

La riduzione del sesso a strumento di sopraffazione è uno degli stupri più brutali che la mente umana, la superstizione umana, abbia saputo elaborare. 

La verità è che il sesso fa paura. Ha sempre fatto paura.  

Al buio, “dove forze oscure da sempre si scatenano”, si realizza uno dei momenti in cui l’uomo riesce manifestamente a liberarsi da ogni vincolo terreno.  

A liberarsi da tutto.

 Controllare l’atto sessuale è uno dei massimi sistemi di potere. 

Le Chiese hanno battuto su questo punto, costruendo lo “spauracchio” del peccato affiancato al mito della “castità”, della “verginità”.   

Più femminile che maschile.

Eva, la mela, il serpente. Il giorno in cui nacque il peccato.

O  (preferisco) in cui nacque la disubbidienza, come scriveva la Signora Oriana Fallaci. 

 La società borghese, inserendosi su questa scia, lo ha relegato tra i “privati vizi”, ben celato dallo specchio per allodole delle “pubbliche virtù”. 

Il Capitalismo, invece, ha scelto la strada che più gli è consona: la fagocitazione. Lo ha fatto proprio, lo ha mercificato, reso manifesto, palese, ostentato, pacchiano. Annullandolo, come ogni altra idea o ideologia. 

L’idea che oggi noi abbiamo del sesso è un miscuglio sconnesso di tutte queste “tradizioni”, solo apparentemente contraddittorie. 

Il sesso è qualcosa che nasconde un lato oscuro, perverso, un qualcosa di sporco (peccaminoso, appunto), ma è anche un “bene”, un “lusso”, uno strumento di potere. Come la Ferrari. 

La “tentazione”, l’irresistibile interesse, ciò che tutti devono fare, pensare e volere. Ciò che tutti devono fare allo stesso modo.  

Il senso di colpa successivo, la necessità di celare, di nascondere, di lavar via. Ripulirsi l’anima. Affidarsi a surrogati, a placebo. Auto-negarsi il piacere autentico, la soddisfazione.

 Questo comportamento è sicuramente malsano, addirittura schizofrenico.  

Insensato. Contraddittorio. Frustrante. 

Non è mia intenzione fare la moralista bacchettona. Non mi è consono.

Non sono qui per tirar fuori il solito discorso di “tette-culi-addominali-bicipiti” in TV. 

Non avrebbe senso. Io certi allarmismi non li condivido, e spesso stento a comprenderli: io ho sempre guardato molta TV, e credo di essere cresciuta piuttosto bene. 

Esiste il telecomando. Il “razzismo” del telecomando, l’unico di cui andar fieri: cancellare arbitrariamente ciò che non si ritiene degno di essere visto. La censura non mi piace. A volte è controproducente.  

Il problema sta alla base. E rimane sempre un problema di cultura e di comunicazione. 

Perché è così scomodo parlare di sesso? 

Tra amici se ne parla sempre. Alla fine molti discorsi gravitano su quello.  

Da questo punto di vista, con determinati interlocutori mi rendo conto di questa mala-cultura, di questo “spauracchio” persistente. Con altri sono felice di parlarne, perché una sottile ironia può abbattere molte più barriere di mille trattati. 

Con i genitori sembra un tabù solo pronunciarne il nome. Questo non lo capirò mai. Come se noi fossimo stati veramente trovati sotto il celeberrimo cavolo o trasportati in volo dalla ormai gobba e distrutta cicogna. 

Io ne ho sempre parlato in casa, in assoluta libertà. Anche da questa prospettiva, a volte mi sento abbastanza “aliena” agli altri. È una cosa triste. 

Conosco persone la cui unica preoccupazione, l’unica ossessione, l’unica cosa che non potrebbero mai accettare, è quella che i loro (le loro) figli(e) possano fare sesso: sono le storie che di solito vanno a finire nei peggiori problemi. 

Sesso, prevenzione, cura di sé e dell’altro: dovrebbero essere temi assolutamente quotidiani. 

Anche a scuola. (Ovviamente oggetto di dialettica alunno-insegnante, non di pratica). 

Invece, avviene l’opposto: se due ragazzi si baciano sul portone vengono sospesi. 

L’espressione dell’amore più classica, più bella, quella che ognuno di voi ricorda senza dubbio con estrema tenerezza, viene mozzata, messa all’indice.  

Si accendono nuovi roghi. 

Il fulcro del problema è il piacere. 

Se non fosse questione di “piacere”, perché si dovrebbe condannare il sesso omosessuale?  

La società omofoba nasce da un ripudio del puro piacere, del puro affetto, svincolato da prospettive “biologiche”. 

L’adozione per gli omosessuali non sarebbe un reale problema se la società non avesse gravi pregiudizi sul sesso: un bambino crescerebbe benissimo con due genitori che si amano, se non esistessero possibili emarginazioni scaturite dal “con chi va a letto tuo papà / tua mamma”. 

Nella nostra società del benessere, dell’edonismo, della fretta, del “perbenismo”, il piacere reale non trova spazio. Viene sommerso, massacrato, svuotato di ogni significato. 

Il piacere femminile rimane ancora un tabù. 

Il sesso esercitato dalla donna è da sempre visto, o come qualcosa di estremamente perverso, sporco (ovviamente noi siamo sempre puttane), o come qualcosa a cui è necessario mutilare la piacevolezza, qualcosa che lei deve subire sempre e comunque.  

Qualcosa che lei deve volere, sempre e comunque.

Una punizione. Inevitabile e necessariamente accolta. 

Non esiste nulla di più crudele. Di più innaturale.  

Ma, al contrario, cosa c’è di più bello del provare piacere da una cosa che alla fine è una piccola cosa, una piccola cosa quotidiana che può spesso regalare quell’assoluto che molti cercano in vano in sette, settine, settucole, sacrificando gran parte della loro vita in inutili rinunce? 

Il rimpianto credo sia inevitabile alla fine. Non ha senso mutilarsi l’esistenza. Mutilarne uno dei lati più belli. 

Forse, se si è vissuto a fondo, si può anche accettare la morte come parte della vita (come dici sempre Tu, anche se io mi ostino a credere che non potrò mai accettare l’annullamento del mio pensiero, ma di questo parlerò un’altra volta). 

Il sesso è una cosa normale. Non un tabù, non una perversione, non un peccato. È naturale, come bere, come mangiare, come sognare. 

È relazione, è passione, è complicità, è divertimento.  

È erotismo, gioco, amore, affetto, coinvolgimento, voglia, desiderio, calore, seduzione, armonia, compiacimento. 

Può essere tutto.  

Non può essere sopraffazione dell’uno sull’altro, sennò diventa abuso, diventa violenza. Perde l’elemento fondamentale della sensualità. 

Purtroppo in una società che mira al disorientamento dei sensi, è troppo facile incorrere nell’errore di trasformare tutto in “oggetto”. Anche la relazionalità.  

Anche un legame che non può essere preteso e strappato. 

“…la tua voce come il coro delle sirene di Ulisse m’incatena,

ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo…” 

P.S. :     

Battiato. Sempre Battiato.

Forse sto diventando ripetitiva.

Forse sarà che ascolto sempre Battiato quando preparo il pezzo per Trucioli. Forse sarà che alcune frasi di Battiato mi sembrano racchiudere un messaggio, uno spunto di riflessione per tutti voi, ed in primis per me.

Un momento di pausa dal nulla globale.  

Continuerò, mi spiace per voi, a propinarvelo. 

SAMANTHA GIRIBONE