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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

I Grifoni

Seconda parte 

Si diceva la volta scorsa che le testimonianze letterarie elleniche intorno al mito dei grifoni suggeriscono due tradizioni, una nordica ed una orientale. Della prima abbiamo già parlato. La seconda risale ad Eschilo che, in Prom. 786 sqq., li mette al servizio di Zeus presso gli Arimaspi e i popoli “che presso le fonti abitano del sole”, dunque in Oriente, forse perché le testimonianze artistiche indicavano che dal nord non potevano in alcun modo giungere.

 Ascolta ora un’altra ingrata vista:

dai cani di Zeus senza latrato [akrageîs], in viso adunchi,

dai grifoni guàrdati, e dall’oste monocola

degli Arimaspi cavallerizzi, che intorno alle scaturigini

abitano del corso del Plutone che trasporta l’oro:

a codesti non t’accostare. 

Nel brano, Prometeo rivela ad Io le peregrinazioni che l’aspettano. Gli Scholia in Prometheum vinctum ad l. registrano molte antiche stranezze: sch. 801a (801-806) interpreta akrageîs “crocidanti”, evidentemente con alfa epitatikón (e non privativo come nella mia trad.), per primo ne favoleggiò Esiodo, gli Arimaspi “cavallerizzi” ossia ostili, il Plutone è un fiume dell’Etiopia, cosí chiamato perché ricco (da ploûtos); sch. 804a Cgl: gli Arimaspi sono Sciti; sch. 804b N: sono monocoli perché chiudono un occhio per mirare coll’arco, oppure perché in lingua scita arí vuol dire “uno” e maspón “occhio”; sch. 805d Q et gll. in PPd: Arimaspós significa “monocolo” in Egiziano; sch. 806a Dgl: il Plutone è il Nilo; sch. 806c Cgl: il Plutone è il Pattòlo (oggi Gediz Nehri in Lidia, le cui acque effettivamente trasportavano elettro), ma ha ragione Wilamowitz che nelle sue Aischylos Interpretationen del 1914 pensa trattarsi di un’invenzione fantastica del Poeta.

 Piú tardi Ctesia (ap. AEL. nat. an. IV 27) spostò la loro sede definitivamente in India.

 Mi è stato riferito che il grifone indiano è un animale quadrupede pari ad un leone ed ha artigli poderosi quant’altri mai, simili anch’essi a quelli del leone. Si dice di solito che sia alato e le penne siano sopra di colore nero e sotto rosse, mentre in realtà non sono così ma bianche. Ctesia [fr. 688F45 FGrH JACOBY] riporta che ha il collo picchiettato di penne azzurro scure, becco d’aquila e la testa quale la disegnano e la scolpiscono gli artisti, inoltre che gli occhi sono rossi come il fuoco. Nidifica sulle montagne e, non essendo possibile catturarlo da adulto, lo si prende quand’è implume. Secondo i Battri [abitavano grosso modo l’Afganistan attuale], confinanti degl’Indiani, i grifoni impediscono l’accesso alle vene d’oro del paese perché lo estraggono loro stessi per farsene il nido, poi gl’Indiani raccolgono i frammenti di minerale che cadono dai nidi. Gl’Indiani però negano che i grifoni sorveglino l’oro, perché non ne hanno alcun bisogno (e se veramente dicono così, questa mi pare un’affermazione ragionevole): sono essi stessi piuttosto che giungono a raccoglierlo e le bestie, preoccupate per i piccoli, li attaccano quando entrano nel loro territorio. Combattono anche contro le altre fiere e ne hanno facilmente ragione (non affrontano però né il leone né l’elefante), onde i locali, temendone la forza, non vanno in cerca dell’oro di giorno ma aspettano la notte, perché evidentemente coll’aiuto d’essa sfuggono di più all’osservazione. La regione in cui vivono i grifoni e si trova l’oro è un deserto selvaggio; i cercatori vi giungono armati in gruppi di mille o duemila recando sacchi, e cominciano a scavare quando c’è luna nuova. Se riescono ad evitare i grifoni, fanno un doppio guadagno: restano in vita e portano a casa il bottino, che poi affidano per la raffinazione ad orafi esperti in una loro particolare tecnica, ricavando in tal modo un’immensa ricchezza in premio dei pericoli corsi; ma se si fanno sorprendere, non hanno scampo. Tornano a casa, a quanto ho saputo, dopo esser stati via tre o quattr’anni.

 Oscuro resta il rapporto colla favola, anch’essa erodotea (III 102 sqq.), ripresa da Megastene (ap. STRAB. XIV 1, 44, 706), delle formiche giganti minatrici cui gli Indiani rubano l’oro. Ecco la testimonianza di Plinio

 L’India, che non presenta soltanto il fianco orientale sull’Oceano Pacifico ma s’affaccia anche a meridione sull’Oceano detto appunto Indiano, delimitata a sud dalla catena del Tauro e ad ovest dall’Indo, occupa un’estensione costiera pari a sessanta giorni e sessanta notti di navigazione, onde si trova ad una grande distanza dal nostro mondo, tanto che in alcune zone d’essa le due Orse non sono visibili e diversamente dalle altre regioni le cose gettano ombra verso sud. Comunque è una terra ferace, in cui abbondano molte stirpi d’uomini e una gran quantità di specie animali. In particolare dà ricetto a formiche grandi come i nostri cani più imponenti, le quali a quanto si dice estraggono e sorvegliano l’oro come i grifoni, costituendo per chi tenta d’impadronirsene un mortale pericolo, inoltre a serpenti smisurati, capaci di sopraffare un elefante col morso e la stretta delle spire. Il suolo in certe parti è tanto ricco e fecondo che il miele gronda dai rami degli alberi, le foreste producono bambagia e gli internodi delle canne palustri, aperti in lungo e usati a mo’ d’imbarcazione, possono portare di solito due e in alcuni casi tre persone.

 Non stupiscano queste chimere geografiche. La conoscenza antica dell’Estremo Oriente era assai vaga e le lacune completate di necessità secondo un metodo d’astrazione analogica che spesso favorì la nascita di credenze geografiche assurde, destinate a persistere sino all’epoca moderna. Qui, ad es., l’India è estesa sino alla costa pacifica e delimitata a meridione dal Tauro (Toros Dağlari), che in realtà corre parallelo al Mediterraneo nella Turchia meridionale dal lago di Egridir sino all’Eufrate, ma s’immagina prolungato in longitudine sino a comprendere l’Hindu Kush (Paropamisus), l’Himalaya (Imaus) e gl’inesistenti montes Emodi; lungo questa smisurata catena montuosa Dicearco traccerà il parallelo che separa le regioni calde dalle fredde: “Dicearco traccia i confini continentali non servendosi dei corsi d’acqua, bensí di un parallelo che corre in linea retta senza deviazioni dalle Colonne d’Ercole, attraverso la Sardegna, la Sicilia, il Peloponneso, la Caria, la Licia, la Panfilia, la Cilicia e il Tauro, sino all’Himalaya, e chiama boreali la regioni a nord di esso, australi quelle a sud” (fr. 110 SA 12 WEHRLI, da AGATHEM. proem. 5).

E comunque sia nell’Antichità c’era pure qualcuno che ragionava (pochi come oggi: non saranno più le formiche minatrici bensì gli extraterrestri e i fantasmi, ma la credulità è la medesima).

 Alessandro varcò il fiume Indo all’alba insieme coll’esercito, penetrando così nel territorio degl’Indiani, a proposito dei quali non ho ritenuto di registrare in questa mia opera storica quali siano i loro costumi, né se la loro terra dia vita ad animali straordinari, né le dimensioni e l’aspetto dei pesci o dei mostri acquatici che vivono nell’Indo o nell’Idaspe o nel Gange o negli altri fiumi del paese, e neppure le formiche che estraggono l’oro per gli Indiani, né i grifoni che lo custodiscono, né quant’altro fu riferito per divertire piuttosto che per dar conto dei fatti, perché penso che tutte le sciocchezze  che s’inventano sull’India siano accolte senza che alcuno le controlli. In realtà poi Alessandro ed i suoi durante la spedizione verificarono ch’erano quasi tutte false, a parte quelle poche che s’inventarono loro stessi (ARR. exp. Al. V 4)

 Durante il Medioevo furono spesso confusi colle sfingi e gli ippalettrioni (PHOT. lex. s. v. hippalektruōn).

 I Grifoni sono in primo luogo un emblema solare. PHILOSTR. vit. Ap. III 48:

 Quanto all’oro che scavano i grifoni, si tratta di ciò: esistono rocce costellate di stille d’oro sfavillante, che quest’uccello scheggia via colla forza del rostro. Apollonio dice infatti che in India si trovano veramente codesti animali, ritenuti sacri al Sole, e che quando gli artisti di quel paese scolpiscono il Sole lo rappresentano su una quadriga cui ne sono aggiogati quattro; hanno dimensioni e forza pari a quella dei leoni ma profittano della superiorità d’esser alati per aggredirli, e sopraffanno pure gli elefanti e i draghi. Non sono però capaci di volare per ampio spazio, non piú degli uccelli di corta volata, perché non hanno penne come questi, bensí una membrana di colore rosso raccolta fra le dita dei piedi, che permette loro di levarsi e combattere dall’alto quando la aprono in cerchio. Solo la tigre sfugge alla loro cattura, perché la sua velocità la rende quasi figlia del vento.

 Ripreso in PHOT. bibl. 241.327a. Non è chiaro a che si riferisca Apollonio: potrebbe trattarsi dello Hamsa (lat. anser), un uccello fantastico capace di separare il latte dall’acqua, “simbolo del sole, dell’eternità e dell’anima migratrice fra i mondi, abitante mitologico del sacro lago Mānasa” (FILIPPANI-RONCONI, Magia, religione e miti dell’India, 1981, p. 177); in tal caso il Sole sarebbe il Surya del Mārkandeya-purāna, figurato a volte sul carro ad una sola ruota tratto da quattro o da sette destrieri oppure a cavallo di uno hamsa, come si vede nella figura qui sotto, però la corrispondenza è tutt’altro che perfetta.

 Dalla natura solare dei grifoni vieni la loro associazione ad Apollo, di cui, secondo una tarda simbologia sincretica, rappresentano l’epifania terrena (quella celeste essendo la lira e quella ctonia le frecce: SERV. in VERG. buc. V 66). Altrimenti sono la montura di Dioniso, Artemide e Nemesi. Nell’arte greca compaiono continuamente, con funzioni apotropaiche o decorative, in forma di maniglie o di piedi d’oggetti d’ogni genere (vasi, tripodi, tavoli, letti, sgabelli, lampade...), incisi su armi e battuti su monete (soprattutto a Teo e ad Abdera), ricamati o inseriti nelle vesti, dipinti sulle ceramiche (soprattutto rodie e corinzie) o sulle pareti dei templi (a Delo, a Priene, nel tempio di Antonino e Faustina a Roma) e delle case (a Pompei), in forma di protomi di cistae o arcae metalliche arcaiche, come amuleti; da soli o in congiunzione cogli dei che ho già detto, oppure in lotta cogli Arimaspi, le Amazzoni, i cavalli, che sono i loro nemici d’elezione (si cfr. il virgiliano iungentur iam grypes equis, buc. VIII 27, divenuto proverbiale), o altri animali. Di solito hanno testa d’aquila cornuta e corpo di leone, oppure testa di leone alato con zampe anteriori di leone, posteriori d’aquila e coda d’aquila. Se ne vedano alcune immagini al termine della scheda. 

Ecco una testimonianza della millenaria persistenza di questi miti zoologici:

 Dicommi certi mercatanti, che vi [a Madeghascar] sono iti, che v’ha uccelli grifoni, e questi uccelli apariscono certa parte dell’anno, ma non son cosí fatti, com’e’ si dice di qua, cioè, mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com’io vi dirò. E’ pigliano lo leonfante, e portanlo suso nell’àiere, e poscia li lasciano cadere, e quegli si disfà tutto, e poscia si pasce sopra a lui. Ancora dicono coloro, che gli hanno veduti, che l’alie loro sono sí grande che cuoprono venti passi [quasi sette metri], e le penne sono lunghe dodici passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza” (Il Milione III 19). 

Potrebbe essere il Vorompatra (Aepyornis maximus), uno struzioniforme estinto il 1649, alto tre metri e pesante mezza tonnellata, che serví forse di modello all’immensa aquila Roc dei Viaggi di Sinbad, la quale per l’appunto cacciava gli elefanti nel modo descritto da Marco Polo. Herbert George Wells ne parlò in uno suo racconto di fantascienza, pubblicato il 1894, dal titolo Aepyornis Island (O. LANGRAND, A Guide to the Birds of Madagascar).

Anche i Medievali erano comunque convinti che i grifoni esistessero:

 Spiritualis ergo visio est [...] cum eorum corporum, quae non novimus, sed esse non dubitamus, similitudines, non ita ut sunt, Spiritu intuemur, ut unicornium vel griphium [... oppure] cum ea, quae non sunt, vel esse nesciuntur, pro arbitrio imaginamur ut chimeram bestiam (HONORIUS AUGUSTODUNENSIS, Scala coeli major, MPL CLXXII 1232).

 Ossia, si ha una visione spirituale quando noi ci immaginiamo i corpi ignoti degli esseri ultraterreni che non conosciamo ma della cui esistenza non dubitiamo, proprio come quando ci figuriamo i grifoni o gli unicorni, che esistono anche se non li vediamo, a differenza dell’immagine arbitraria di altre creature, come la Chimera, che non esistono o non si sa se esistano.

  Grifone, kylix attica a FR attribuita al Pittore di Evergide, ca. 515-500a, decorazione sotto le due maniglie, Monaco di Baviera, Antikensammlungen

 

 I Grifoni in lotta cogli Arimaspi, ca. 400-300a, vaso attico a FR, Parigi, Museo del Louvre

 

MISERRIMUS