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STAGIONE DI CACCIA 

Un racconto di Massimo Bianco 

Un piccolo spazio aperto (lo chiamiamo radura? Radura)… da varcare… ecco… fino al limite opposto. Odore intenso, diffuso, dai tronchi delle possenti colonne svettanti (le chiamiamo alberi? Alberi)… e odore altrettanto intenso … nell’ombra… proviene… da quelle piccole piantine… (muschio? Muschio) che crescono al riparo dalla luce abbagliante lassù (il sole). Umidità elevata. Tutto è tranquillo. La moltitudine degli alberi (bosco, foresta)… accogliente, piena di nascondigli, ombrosa… costeggiarla… poi entrarci e salire.

Libertà… e… sazietà…  nessun affanno o preoccupazione… dopo un pasto ricco. Pace e… una sensazione inebriante… felicità. La foresta è piena di rumori… innocui… è… protettiva. Ffrrr… ffrrr. Il vento invisibile stormisce tra le fronde degli alberi agitandole e piega, nella vicina radura, i piccoli esseri che danno nutrimento (erba). …Un verso…cinguettio… frullare di ali… l’animaletto (uccello) multicolore si alza in volo e in pochi istanti… sparisce. …Procedere in avanti… macchioline giallo vivo (fiori)… emanano un acuto profumo e un affarino volante (insetto)… marrone chiaro uniforme… un poco più scuro sul fondo, le alucce trasparenti bbzzz… bbzzz… che non si fermano mai… vi affonda … una proboscide, sottile e lunga quanto il corpo. Poi la bestiola svolazza di fiore in fiore… ma è già dietro le spalle. Avanti … tutto si oscura… avanti … di nuovo luce più forte, raggi di sole giocano con le ombre. … Bzz… fastidio… solletico sulla schiena… uno scotimento e… un’altro insetto, ma più piccolo e nero, svolazza via…bzz … eccolo… poco più in là, adesso. … Piccole impronte leggere di quadrupede… vecchie un terzo d’arco di sole (quasi quattro ore)… innocuo. Nient’altro… sì, tutto è tranquillo… Nessun pericolo… ancora avanti.

…Poi un suono nuovo, lievissimo, sshrrll… il liquido trasparente, l’acqua, scorre lontano… si ode appena… molto debolmente… verso… là (est). Un ricordo improvviso unito a… un desiderio… una sensazione di… di… cos’è? Un disturbo. Ma cosa lo avrà risvegliato? …Lo scrosciare dell’acqua, sì. Sete. Incamminarsi in quella direzione… accontentare il desiderio, calmare la sensazione… eliminare il disturbo… sete, abbeverarsi… è il momento. …Movimento! Ah, una foglia svolazza intorno e cade a terra. Chiaro scuri. …Avvicinamento… lento, prudente… e annusare, tutto intorno… un escremento massiccio poco oltre … recente… animale di grossa taglia… impronte convergono, pesanti e leggere … quadrupedi con zoccoli… un adulto e i cuccioli… Passarci vicino… laggiù… un nugolo di insetti neri che svolazzano intorno. Avanti… il suono dell’acqua corrente si avvicina… felicità. …Impronte… convergono… odore noto, compagni… diretti verso l’acqua. Quando? A udito… nulla. A vista… impronte… fresche… non freschissime… lontani ormai. Nessun altra novità. …Più vicino… sì, l’acqua è vicina ormai… la sete più intensa… la soddisfazione più prossima…

Crack. Un suono! Un rametto spezzato.

Testa drizzata, orecchie tese, voltate in tutte le direzioni, narici frementi… All’erta. Il suono arriva da dietro ma… nessun odore… controvento?! In identificabile. Quanto distante? … Silenzio, solo suoni irrilevanti… Immobile… all’erta, conta solo l’attenzione. Tutto scordato a parte… la paura! …Silenzio… silenzio… altro suono, più flebile… di foglie secche… calpestate… zampa grossa… lunga e piatta… appartenente a? Poche alternative, forse il peggior nemico e… non lontano, no. Non abbastanza lontano. Nemico pericoloso tu tum, tu tum, tu tum, il cuore accelera i battiti, all’impazzata, paura, paura, energia (adrenalina in circolo), via, in movimento, rapido, via, fuggire.

Giunti al termine di un sentiero tra i boschi due cacciatori sbucano sulla strada principale e attraversano meditabondi il nastro asfaltato. Sono prossimi alla sessantina ma ancora vigorosi, benché l’uno sia così magro e asciutto da sembrare rinsecchito e l’altro, il barbuto capofila, sia in soprappeso. Non hanno cani con sé, perché così trovano l’attività venatoria più impegnativa ed emozionante. Per il cielo corre qualche nuvola ma nel complesso la giornata è tiepida e soleggiata, il clima ideale per stare all’aria aperta. Con un po’ di buona sorte i due regaleranno cacciagione a tutti gli amici e magari ne venderanno anche a una trattoria.

Grazie anche alla scarsità di predatori la selvaggina abbonda. Loro si sentono pienamente giustificati a svolgere l’attività venatoria. Poche centinaia tra lupi, orsi e linci in tutto il territorio nazionale non bastano certo a tenere sotto controllo gli erbivori, che si stanno moltiplicando a dismisura causando danni spropositati. I due, che sono stati autorizzati dall’amministrazione locale a partecipare alla selezione, vanno a caccia per puro piacere, si dilettano però a presentarsi come benefattori. La sovrappopolazione degli artiodattili danneggia sia l’uomo sia gli animali stessi, no? Se, infatti, nessuno circoscrivesse il numero di esemplari presenti sul territorio, gli erbivori divorerebbero tutto ciò che incontrano fino a quando non resterebbe più nulla da mangiare e morirebbero di fame tutti, uomini e animali. Ai cacciatori dunque il compito di integrare i lupi. Tutto vero, peccato però che nessuno abbia mai seriamente tentato di limitare l’esplosione demografica di caprioli & company in maniera non violenta.

I bipedi predatori poco più avanti raggiungono un bivio. Mentre la strada principale continua a costeggiare il fiume una stretta laterale se ne diparte. Quest’ultima, tramutatasi brevemente in ponte, scavalca il corso d’acqua e raggiunge due case isolate, su una delle quali campeggia l’insegna di un bar, la cui presenza in un luogo così appartato sorprende un poco. Appena oltre gli edifici la via si suddivide una seconda volta. Da una parte prosegue perpendicolare, diritta e in salita temporaneamente pigra e dall’altra volta a gomito dietro alle due costruzioni per farsi subito ripida e a tornanti. I cacciatori si fermano per decidere la direzione verso cui procedere e mentre confabulano un’auto verde con tre uomini a bordo li accosta. Il tizio seduto a fianco del guidatore tira giù il finestrino e chiede indicazioni. Cerca un ristorante non lontano. Il magro indica la via con scarni mugolii semi dialettali e l’auto riparte.

I due lasciano la via asfaltata e ben presto le rare automobili domenicali non si odono nemmeno più. Procedono silenziosi e attenti nel fitto del bosco fino a quando, circa tre quarti di chilometro più avanti, questo non si apre in una radura. L’attraversano fino a giungere dinanzi a un massa silvestre ancora più compatta di quella superata in precedenza. Il terreno si eleva a formare l’ennesima impervia collina boscosa, apparentemente impenetrabile. I due non si fanno impressionare e s’incamminano in mezzo agli alberi, un misto di latifoglie, per lo più castagni con qualche faggio, alternate a più rare conifere, facendosi largo tra i rovi del sottobosco e le ragnatele. Corbezzoli ancora acerbi e gialli fiorellini di trifoglio fanno capolino qua e là. Durante la salita le conifere aumentano poco alla volta di frequenza sostituendo le latifoglie. Dopo un primo tratto assai intricato gli alberi si fanno meno fitti rendendo il percorso più praticabile.

Il massiccio capofila si ferma un momento, in osservazione. Quattro metri alla sua sinistra avverte un volare di mosche su escrementi, con tutta probabilità di cinghiale. L’uomo però, gli occhi puntati a terra dinanzi a sé, non vi presta attenzione, perché sta studiando qualcos’altro. Un vago sorriso imbronciato gli increspa le labbra. Con un gesto indica al compagno la direzione da tenere e si rimette in movimento, senza profferire parola. La foresta è immersa in un assoluto silenzio. Il sentiero appena accennato, creato dai continui passaggi animali, punta proprio nel più folto. L’uomo grosso conosce bene la zona e sa che da quella parte dovrebbero incontrare un torrentello, a circa un chilometro di distanza, forse anche meno. Probabilmente, pensa, il capriolo appena passato di qua e le cui tracce ora stanno seguendo si sta recando all’abbeverata o vi si è appena recato.

Alcuni minuti più tardi si ferma, irritato per avere prodotto un rumore calpestando un rametto troppo secco, poi fa spallucce e riprende la marcia. La preda non sarà ancora troppo vicina, non può aver sentito e comunque d’ora in poi raddoppierà le attenzioni. Il grosso avanza senza curarsi di essere seguito dal compagno, non ne ha bisogno, sa di averlo alle spalle. Non ha perso le tracce del capriolo ed è certo di non aver più fatto rumori di sorta, con un po’ di fortuna potrebbero beccarlo proprio mentre sarà intento a dissetarsi, con la guardia abbassata.

Poco dopo un movimento improvviso dinanzi a lui lo sorprende, più vicino di quanto si aspettasse. Una confusa macchia marrone schizza via, velocissima, verso sinistra. Lui resta colpevolmente immobile ma il magro, più pronto di riflessi, da dietro le sue spalle imbraccia fulmineo il fucile e fa partire un colpo, kboum, poi un altro.

Un tuono, tremendo ma secco, nel pieno della corsa… copre il respiro e… il rimbombare degli zoccoli sul terreno e del cuore nel petto. Paura. Adrenalina. Correre, correre. Seguire il corso d’acqua in cieca fuga precipitosa… dove? Non importa dove, lontano, lontano, correre…

Kboum, un secondo rumore di tuono e un dolore terribile e improvviso, senza senso, mai provato… e un contraccolpo. Caduta. Rialzarsi, bisogna rimettersi sulle zampe. Sì, si può, però…fastidio, tra le costole, sofferenza… a ogni respiro, adesso… non tale da arrestare la fuga ma… rallentarla, sì, rallentarla… ma avanti, avanti. Alla cieca, tra gli alberi, le piante, rocce, spiazzi, altri alberi… poi un ostacolo davanti, dovunque, già noto… legno ma non d’albero… quella strana pianta senza foglie. Seguirlo fino a vedere dove termina? Ma è esteso e nell’impeto… no, tardi per pensare a qualunque altra cosa, uno scarto, poi un balzo e giù, dall’altra parte, poi di nuovo in corsa… ma… adesso, stanchezza… mai provata prima… mai… perché? Perché tanta stanchezza? Tuttavia il dolore si attenua, il respiro migliora… ancora fastidio, però… avanti, senza pensare.

I cacciatori corrono entusiasti dietro alla preda. Il bersaglio è un solitario maschio maturo che sfoggia ancora l’impalcatura estiva delle corna, una delle più spettacolari da loro mai vista in questa specie. Farà un figurone come trofeo.

“Ehi, guarda.” Esclama dopo un tratto il grosso, fermandosi.

“Altro sangue.” Risponde il magro.

“Ne sta perdendo sempre di più, la ferita si aggrava, complimenti Paolo, lo hai centrato bene.”

“Ha cambiato direzione, non punta più verso il ritano. Su, muoviamoci, ci facciamo una trista se ce lo facciamo sfuggire.”

I due si rimettono in movimento, al culmine dell’eccitazione. Si stanno divertendo un mondo.

Durante le prime fasi il grosso conduce l’inseguimento ma ben presto Paolo, più agile e rapido, si spazientisce e lo sorpassa. L’altro sbuffa. La sua forma lascia a desiderare e le battute stanno diventando una faticaccia. Pensa che prima o poi dovrà decidersi a perdere peso, perché all’attività venatoria non vuole rinunciare. Appena può respira a pieni polmoni. Aah, sembra quasi un sospiro, ma è di piacere. Si sente bene, rilassato, lo stress lo abbandona completamente in questi momenti. Il suo amico non ha mai capito quanto per lui sia importante. Le domeniche trascorse a caccia sono gli unici momenti di svago di una vita infernale, il lavoro povero di soddisfazioni, una moglie con cui non c’è più né dialogo né amore da anni, due figli che gli procurano unicamente delusioni.

Per il magro Paolo la questione è diversa. Per lui si tratta di una sfida con se stesso, una prova di forza e abilità. La rinuncia ai cani è una sua precisa scelta, a suo parere la loro presenza renderebbe impari lo scontro.

Ma qualunque siano i motivi che li spingono a trascorre le domeniche autunnali con le armi in spalla il risultato è il medesimo: un godimento estremo e un’immensa eccitazione uniti al piacere di trascorre qualche ora all’aria aperta, perché loro amano la natura, sì.

Intanto nella sua fuga disperata il piccolo cervide si è allontanato dal torrentello e si è inoltrato nel folto, rendendo più difficile il cammino agli inseguitori, che tuttavia non demordono. Con il trascorrere dei minuti aumenta l’affanno e la fatica e i due devono rallentare il ritmo. Non sono più giovani, dopotutto, benché si sentano ancora pieni di energie. Tuttavia, trascinati dalla convinzione di essere prossimi al successo, procedono con decisione, senza più bisogno di evitare i rumori. Continuano a incontrare macchie di sangue lungo il percorso a indicargli la via da seguire e a tenere desta la speranza, ma ancora non giungono in vista dell’ungulato. Infine arrivano dinanzi a una staccionata e si fermano.

“Maledizione.” Esclama il magro, Paolo, irato.

“Speravo di intercettarlo prima, ma pazienza.” Commenta il grosso, serafico.

Paolo comincia a gesticolare nervosamente, facendo qualche passo avanti e indietro.

“Ora ricordo dove siamo. L’anno scorso questo contadino ci ha fatto un sacco di storie.” Dice.

“E che importa? La legge ci autorizza a penetrare nella proprietà privata, per motivi di caccia. Strepiti pure quanto vuole, non me ne importa, al capriolo io non ci rinuncio. Se ha scavalcato lui, scavalco anch’io.” Risponde il grosso, senza compiere un gesto ma respirando a pieni polmoni.

“D’accordo Lamberto, come vuoi.”

Percorrono nelle due direzioni un tratto di staccionata, infine si ritrovano al punto di partenza.

“Non c’è dubbio, è passato dall’altra parte.”

“Ha ancora un sacco di energie per il sangue che ha perso. Questi animali selvatici sono resistenti.”

“O forse è una ferita meno grave di quanto credevamo. Che facciamo? Andiamo, allora?”

“Ma certo, ne abbiamo diritto, no?”

Il grosso Lamberto si avvicina con decisione alla staccionata e la scavalca con qualche difficoltà. Il più agile Paolo invece, nonostante inizi l’operazione dopo, precede il compare superando l’ostacolo con un unico gesto fluido, per poi voltarsi paziente ad attenderlo. Infine i due ripartono.

“Spero che quella stupida bestia non si avvicini alla casa. Non vorrei litigare un’altra volta.” Brontola Paolo.

Lamberto si limita a fare spallucce mentre si riporta in testa. Qualche istante dopo individua nuovamente le tracce. È convinto di prendere l’animale presto è già pregusta il momento.

 

L’agricoltore di cui i due stavano parlando fino a poco prima sonnecchiava sul portico di casa.

Sua moglie è andata in camera a dormire, il ragazzo è sceso in paese. Non sta un momento fermo, quello, si scoccia il padre. Del resto anche lui era irrequieto alla sua età. Si assomigliano molto, padre e figlio, sia per carattere sia per aspetto fisico. Degli entusiasmi giovanili però, così come accade per i capelli, il padre ha quasi più solo il ricordo.

Non saprebbe dire da quanto tempo era immobile quando un’eco lontana e attutita lo ha disturbato, ridestandolo dalle sue meditazioni. Due spari lontani. I soliti dannati cacciatori.

Resta in ascolto ma nei minuti successivi non sente null’altro, finché all’improvviso percepisce un qualcosa. Non lo sente propriamente con i sensi, è più una sensazione. Qualcuno è penetrato nei suoi terreni, ne è convinto.

Maledice tra sé i cacciatori. Glielo ha spiegato già mille volte quanto sono sgraditi, eppure ritornano sempre, e a frotte, pronti a calpestare tutto e incuranti di causare più danni alle sue colture loro degli animali inseguiti. Come li odia. Quei maledetti egoisti pensano di poter fare tutto quello che vogliono, perché la loro lobby è potente, perché il parlamento stila le leggi a loro vantaggio anche se rispetto agli ecologisti sono ormai minoranza, ma stavolta, stavolta...

Ha accarezzato l’idea per tanto tempo, fino a trasformarla in un opprimente bisogno. Perché non oggi dunque? Perché no? È l’occasione buona. Rientra nell’abitazione silenziosa per riuscirne pochi minuti dopo, debitamente attrezzato.

 

Stanno riducendo le distanze sempre di più, ormai gli è chiaro. Sono all’ultima resistenza del capriolo. Superano un paio di terrazzamenti e poi raggiungono e attraversano un vasto campo quasi pianeggiante, coltivato a cavolfiori. Calpestano senza farsi scrupoli le piante ormai prossime alla raccolta. Non hanno tempo per fare attenzione a dove mettono i piedi e comunque non pensano di causare danni ingenti. Si trovano allo scoperto nel bel mezzo dell’orto, a diverse centinaia di metri dalla macchia più vicina, quando…

Kboum.

“Aah… dioo, dioo.”

Lamberto, in preda a un terribile dolore, intenso quanto improvviso, si sente mancare e casca pesantemente sul terreno, con un tonfo.

“Che succede, Lamberto.”

“La gamba. Mi hanno sparato alla gamba.”

Paolo si guarda intorno rabbioso e scorge il tiratore. Si sta avvicinando da ponente ma è controluce e non riesce a distinguerlo bene.

Kboum.

Un altro sparo. Zzvvuin. Passato a un pelo. Deve essere quel fottuto bastardo di contadino. Gli sta sparando addosso. Eh no, non si farà intimidire! Paolo imbraccia a piè fermo il fucile, socchiude gli occhi e prende la mira ma il bersaglio è quasi invisibile.

Intanto Lamberto si è messo a sedere, imprecando e bestemmiando a tutto andare.

Paolo fa scattare il grilletto e un attimo dopo…

Kbokboum.

I due spari risuonano quasi nello stesso istante. Paolo crolla a terra, sulla schiena, esamine, centrato in pieno petto, schiacciando sotto il suo peso alcuni cavolfiori. La figura in controluce invece resta diritta, indenne.

Lamberto si rimette in piedi di scatto e in preda al panico schizza via, senza quasi più sentire la ferita alla gamba e dimenticandosi a terra il fucile, agendo sulla base di un atavico istinto di conservazione. Nemico pericoloso. Tu tum, tu tum, tu tum, il cuore accelera i battiti, all’impazzata, paura, paura, adrenalina in circolo, via, in movimento, rapido, via, fuggire.

L’agricoltore si lancia all’inseguimento, senza fretta, godendosi un mondo il divertimento. Si sente finalmente bene, rilassato, privo di stress. Non è soddisfatto della sua dura vita. Quante volte gli è venuta voglia di mollare baracca e burattini e trasferirsi in città. Invece in questo momento è contento e sta perfino tornando ad amare la natura, sì.

Osserva la preda caracollare poco più avanti. Inutile abbatterla subito, tanto è in bella vista, ferita e disarmata, tanto vale lasciarla cuocere per un po’ nel suo brodo di fifa. Tanto non andrà lontano. Non ritiene di correre seri rischi. Nei paraggi non ci deve essere anima viva ma se anche qualcuno udisse degli spari li attribuirebbe a qualche cacciatore. Ed è così in fondo, no? Ironizza tra sé il proprietario del terreno. Si tratta proprio di un cacciatore: un cacciatore d’uomini.

Lamberto corre, affannato e in maniera sgraziata, un po’ per l’obesità, un po’ a causa della ferita alla gamba, sempre più dolorosa, che lo fa zoppicare. Quel pazzo maledetto, ma cosa gli ha preso? Hanno violato la proprietà privata, e va bene, ma che sarà mai? Ha ucciso Paolo, così, a sangue freddo, come se nulla fosse, come se si trattasse soltanto di uno stupido capriolo. Non può essere solo per l’arrabbiatura di vederseli piombare nel suo terreno, si rende conto all’improvviso, no davvero. Sono precipitati tra le fauci di un maniaco. Un dannato maniaco assassino che si diverte a dargli la caccia. Si volta un momento e lo scorge alle sue spalle. Si è fatto più vicino. Nuovamente in preda al puro terrore il dolore gli si attenua, il respiro migliora… ancora fastidio, però… avanti, senza pensare più a nulla finché, ormai in fuga disperata, non vede la foresta approssimarsi. Sarà a non più di cento metri, ragiona. Se riesco a penetrarvi forse la scampo. Ha già coperto metà del percorso quando all’improvviso gli appare un ostacolo: la staccionata che delimita il podere da lui invaso. Si guarda vanamente intorno alla ricerca di un'altra via di fuga e comprende di dover scavalcare. Lo psicopatico si sta avvicinando e deve andare al di là, per dirigersi dritto dritto nel cuore del bosco.

Si sta goffamente arrabattando nel tentativo di scavalcare quando un tuono e una fitta alla gamba sana si sovrappongono. Perde l’equilibrio, casca giù, ancora dal lato interno e lo coglie un nuovo lancinante dolore. Per completare l’opera cadendo si deve essere fratturato una spalla. Comprende di essere fregato, da lì non si muove più. A meno che qualcuno non arrivi a salvarlo…

L’agricoltore giunge con calma a non più di cinque metri di distanza e si sofferma a guardarlo.

“Non ti piace interpretare la parte della preda, eh? Che sensazioni provi, adesso?”

Osserva gli occhi della matura vittima strabuzzarsi di terrore e la bocca spalancarsi senza che da essa fuoriesca suono diverso da un inarticolato mugolio. Parlargli è tempo perso, intuisce  il fattore, questo stupido cinghialone non capisce nemmeno più quanto dico.

Lamberto, sopraffatto dalla sofferenza e dalla paura e incapace di reagire, sta fissando l’uomo alto, immobile dinanzi a lui, senza vederlo per davvero, mentre la sua mente, ottenebrata dall’orrore da cui è stata investita e sovrastata, ripete come un silenzioso mantra: non voglio morire, non voglio morire, non voglio…

L’agricoltore è ancora intento a godersi lo spettacolo offertogli dall’uomo in suo potere quando una nuova percezione gli invade le narici. Dopo un momento di perplessità comprende che il cacciatore si è urinato addosso per la paura. Il momento più bello e appagante.

Inutile perdere altro tempo. Solleva il fucile, lo punta e spara il colpo di grazia. Quindi afferra il cadavere e lo trascina in un punto maggiormente riparato. Prima gli preleva lo scalpo, è ancora folto e pensa che farà un figurone come trofeo. Estrae quindi l’accetta e si mette di buona lena a tagliare il corpo a pezzi.

“Bistecche di selvaggina per tutti questo mese!” Grida di ottimo umore il folle agricoltore.

 

Il capriolo intanto si immerge nell’ombra. Il suo sesto senso gli dice di non essere più inseguito. Per sicurezza prosegue però a prestare la massima attenzione alle sue spalle, tutti i sensi bene all’erta. Continua a udire quei terribili tuoni che lo spaventano e lo distraggono. È il nemico bipede a produrli, eppure non ne percepisce più la presenza. Forse quei due feroci predatori hanno trovato una nuova vittima con cui prendersela, forse per stavolta lui l’ha scampata. Il fianco gli fa male ma l’istinto animale lo rassicura. Non si tratta di una ferita troppo grave. Si rimetterà. Occorrerà un po’ di tempo ma alla fine questa disavventura diventerà un lontano ricordo.

I chilometri si accumulano, le energie calano sempre più e il fianco duole ancora, ma non se ne preoccupa. Avrà presto modo di riposare. Non sta più nella pelle dalla gioia eppure continua a guardarsi prudentemente dietro le spalle, ancora un po’ spaventato. Le orecchie non smettono di agitarsi, le narici di fremere. L’intera sua capacità di attenzione è proiettata all’indietro, da dove proviene la minaccia. Sì, non lo inseguono, alle sue spalle non c’è più nessuno. Bene, bene, bene. …Poi però… drizza la testa, sentendo… qualcosa… d’imprevisto. Si ferma di botto ma… troppo tardi. Distratto dagli inseguitori e dalla stanchezza, non si è accorto dell’insidia davanti a lui e ci è andato di filato incontro. Sono sei ostili quadrupedi, possenti, famelici e ormai vicinissimi. Lo stanno circondando con una manovra a tenaglia. Troppo tardi, troppo tardi per fuggire: è in trappola. La bestiola urina, sconvolta, terrorizzata, reazione istintiva quanto inefficace. 

Il branco di lupi si appressa. I carnivori sono quasi increduli del colpo di fortuna. Da troppi giorni digiunavano ed erano indeboliti, ma la preda gli è praticamente precipitata tra le fauci senza che loro dovessero far nulla e non ha più scampo. Il capo branco ulula, felice. Oggi si mangia!

Massimo Bianco, 23/11/06 fine.