redo che il caso ACTS/Del Bene, in realtà, sia
molto più significativo del semplice merito che rappresenta.
Credo che in questa storia, come in altre che non sono balzate all'onore
delle cronache, ma che hanno contrassegnato la vita politica savonese di questi
anni, non ci sia altro che l'epilogo in chiave politica e sociale di una vicenda
che affonda le sue radici molti anni fa, all'inizio degli anni 80, quando a
Savona è entrato definitivamente in crisi un modello di vita sociale ed
economico che aveva incarnato la città dalla rivoluzione industriale in poi.
Da
quegli anni, che iniziarono con l'ultima ipotesi di sviluppo economico avanzata
per Savona, imperniato su una prospettiva industriale/portuale/energetica per il
comprensorio e la Valle Bormida, turistica per il ponente, presentata dal partito
di GOVERNO storico della città, il PCI, più nulla. Se non l'affacciarsi e lo
spegnersi di progetti, idee, qualche rara volta iniziative, che non hanno però
mai potuto invertire la tendenza ad AMMINISTRARE, ma non a GOVERNARE, che la
classe dirigente della città ha espresso.
Sino a quando, come la fisica ci
insegna, il vuoto è stato riempito; da quel momento a guidare e concretizzare
una ipotesi di sviluppo non è stata la funzione unificante della Politica e del
Governo, che per loro natura in un contesto civile e democratico dovrebbero
essere sintesi della società che rappresentano, ma l'insopprimibile forza di
interessi economici che, volendo per fortuna restare radicati alla città e al
suo territorio, hanno cercato di indirizzare le scelte e lo sviluppo verso i
propri interessi che, casualmente, in alcuni casi sono coincisi con gli
interessi di una comunità che, ormai, stava sempre più piegandosi su se stessa (
quante volte abbiamo ragionato sull'invecchiamento della popolazione, sulla
tendenza al risparmio contrastante quella all'investimento...).
Questa è stata
la "primavera savonese". Una stagione che ha segnato la fine della politica e
del governo, intese come traduzione pratica di visioni strategiche di sviluppo
della comunità, per lasciare spazio alla amministrazione, intesa come
composizione e coordinamento di interessi terzi. Lo stesso dibattito che sta
attraversando la città in questa fase non riesce ad uscire sino ad ora da questo
schema.
Tutto è ridotto ad una contrapposizione non reale e fuorviante tra
"società civile" e "affari", come se i secondi non fossero parte integrante
della prima.
Questa è la temperie nella quale è germogliata la situazione che oggi si
rappresenta in ACTS, ma potrebbe riguardare altri enti, elettivi, di secondo
grado. Nel ribaltamento dei fattori che si è prodotto tra "governo" e
"interessi" si è "formata" una classe dirigente, spesso totalmente digiuna di
esperienza di lavoro reale, che ha interpretato la propria funzione strategica
tutto nella chiave di mediazione prima descritta.
Chi non è totalmente
all'interno del sistema autoreferenziale che si è prodotto, non ha alcuno spazio
di agibilità per fare politica, in una situazione che, giocoforza, non può che
essere totalizzante ed escludere chiunque non si dedichi integralmente ad essa.
Questa situazione fa si che si perdano possibilità di confronto con che agisce
nel mondo del lavoro, delle professioni, rifugiandosi sempre più in una visione
della società tutta distorta dalle lenti deformanti indossate. Rompere questo
guscio è la scommessa che la politica oggi può giocare, per garantirsi di
tornare a non essere "affare separato".
Ho sempre disprezzato chi si definiva
"apolitico", categoria che non ritenevo esistente. Oggi quasi sono tentato di
iscrivermi alla categoria.
Luca Becce