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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Il “corvo della notte” 

In gr. nyktikórax, ossia appunto il “corvo della notte”, secondo Aristotele (hist. an. 597b21-25): 

L’allocco [ōtos] è simile alla civetta ed ha ciuffi di piume intorno alle orecchie; alcuni lo chiamano gufo cornuto. È portato alla buffoneria e all’imitazione e servono due cacciatori per catturarlo, come con la civetta: uno danza e l’altro gira alle spalle dell’uccello e lo afferra mentre sta imitando la danza del primo, 

sinonimo di ōtos, il gufo cornuto o allocco (Strix aluco, in fr. hulotte), però la testimonianza di Elio Dionisio (ap. EUSTATH. in Il. II 99, ad V 385) non depone a favore dell’identificazione:  

L’ōtos è un uccello che ha ciuffi di piume intorno alle orecchie [ōta]. Lo si cattura colle lusinghe quando imita il passo di danza, come il nyktikórax, onde gli sciocchi e i vanesii si usava chiamarli ōtoi [ossia “allocchi”, proprio come noi]. 

Uno scolio a Teocrito I 136: 

e dai monti gli skōpes gorgheggino agli usignuoli, 

ricorda che Tirannione identificava codesti skōpes, che sono secondo alcuni gli assioli o chiú (Otus scops, anche in HOM. Od. V 66: “gufi [skōpes], sparvieri e corvi di mare”, trad. Privitera) col nostro uccello tramite una di quelle fantasiose etimologie in cui erano specializzati gli Antichi: 

Gli skōpes sono una specie d’uccelli dalla voce stonata. Alessandro [di Mindo, della prima metà del Ip, De animalibus, fr. 13 WELLMANN] afferma che gli skōpes sono sgradevoli a causa del verso che fanno. Perciò gli studiosi dicono di ritener corretto che in Omero si legga: “e skōpes e sparvieri”, infatti il termine non va scritto senza la esse, in quanto l’animale si chiama cosí perché emette un’óps, ossia una voce, sk-aiá, ossia sinistra. Callimaco dice che il suo grido ha un tono di scherno, da cui anche il nome, visto che in greco schernire si dice skóptein. Tirannione ritiene che gli skōpes siano dei gufi cornuti, come fosse skíopes, gli uccelli che hanno una voce, óps, che si cela nell’ombra, en sk-iá. 

Di essi parla anche Ateneo, 391a, IX 45: 

Dicono che gli skōpes abbiano lo stesso comportamento [dei gufi]. È voce comune [AEL. nat. an. XV 28] infatti che anch’essi siano catturati con la danza. Sono ricordati da Omero [nel passo cit. sopra]. Dagli skōpes e dalla varietà dei loro movimenti si chiama skōps un tipo di danza [POLL. IV 103]. Agli skōpes piace anche imitare, e dal loro nome definiamo skōptein il contraffare e il prendere di mira le persone che si vogliono canzonare in quanto ci esercitiamo a comportarci come loro. Tutti gli animali che hanno lingua ben sviluppata ed emettono voci articolate imitano i suoni prodotti dagli uomini e dagli altri uccelli. È questo il caso del pappagallo e della ghiandaia. Lo skōps, dice Alessandro di Mindo [fr. 11 WELLMANN], è piú piccolo della civetta; su un piumaggio scuro come il piombo ha delle picchiettature biancastre e al di sopra degli occhi partono due ciuffi di penne, che arrivano all’una e all’altra tempia. Callimaco dice che ci sono due tipi di skōps e che uno emette suoni articolati, l’altro no; per questo motivo il primo è chiamato senz’altro skōps, l’altro aeískōps [fr. 418 PFEIFFER = 100, 7 SCHNEIDEWIND]. Hanno occhi splendenti. Alessandro di Mindo [fr. 12 WELLMANN] sostiene che la parola in Omero figura senza esse e cosí li chiama anche Aristotele [hist. an. 617b31]. Afferma inoltre che si tratta di un animale stanziale e non commestibile, mentre lo è quello che compare uno o due giorni in autunno. Gli skōpes differiscono dagli aeískōpes per le dimensioni e sono simili alla tortora e al colombaccio. Anche Speusippo, nel secondo libro dei Simili [Speus. of Ath. fr. 26 TARAN = 145 ISNARDI PARENTE], chiama gli skōpes kōpes, dunque senza esse. In Epicarmo [CAF I 1, 166 KAIBEL = 166 KASSEL-AUSTIN] troviamo: skōpes, upupe, civette’. Metrodoro [FHG III, 13 MUELLER = FGrH 184F3 JACOBY] inoltre, nel trattato Sull’abitudine, dice che gli skōpes sono catturati quando imitano le danze (trad. di A. RIMEDIO, con alcune modifiche). 

Il mito metamorfico ci è conservato da Antonino Liberale (15). 

La storia di Meropide è raccontata da Beo nel primo libro del suo poema sull’Origine degli uccelli. Eumelo, figlio di Merope, ebbe due figlie, Bissa e Meropide, e un figlio, Agrone, tutti superbi e arroganti: abitavano “Cos, l’isola meropide”, e la terra dava loro molti frutti perché la lavoravano con tutto l’impegno, in quanto era l’unica divinità che onorassero. Non frequentavano nessuno e non scendevano in città, neppure in occasione di banchetti pubblici e feste sacre, anzi! se qualcuno, intenzionato a celebrare un sacrificio ad Atena, chiamava le ragazze, il fratello declinava la richiesta dicendo che non amava la dea dagli occhi azzurri, visto che in casa sua tutte le ragazze avevano gli occhi neri, e non poteva proprio soffrire la civetta, se invece si trattava di una cerimonia per Artemide, ribatteva di detestare una dea che va in giro di notte, se di una libazione per Ermete, diceva che non stimava il dio dei ladri. Eumelo e i figli cosí spesso motteggiavano, ma Ermete, Atena e Artemide, adirati, si presentarono una notte a casa loro, le due dee in aspetto di ragazze, il dio con indosso una veste di pastore. Ermete salutò Eumelo e Agrone e li invitò a presenziare alla cena del sacrificio che disse di voler offrire insieme cogli altri pastori in onore di Ermete; frattanto, avrebbero potuto mandare Bissa e Meropide colle loro coetanee nel bosco sacro ad Atena e ad Artemide: queste furono le parole del dio. Ma Meropide, quando udí il nome di Atena, rispose con insolenza e la dea la mutò nella piccola civetta. Bissa fu trasformata invece nell’uccello che porta il suo stesso nome, sacro a Leucotea. Agrone, quando se n’avvide, accorse impugnando uno spiedo da caccia ed Ermete lo cambiò in un piviere. Eumelo insultò Ermete perché aveva convertito il proprio figlio in un uccello, e il dio gli fece subire la stessa sorte, trasformandolo nel gufo cornuto messaggero di sventura 

A commento di questo résumé del (modestissimo) Antonino Liberale va detto:

1.     che Beo, di patria ignota, scrisse la sua Ornitogonia, un poema epico appartenente al genus dei cataloghi delle metamorfosi mitologiche, verisimilmente nella seconda metà del IVa; la citazione disguised, che qui ho messo tra virgolette, è identificata da POWELL, Collectanea Alexandrina, fr. 27;

2.     l’isola di Cos si chiamava in effetti anticamente Merope o Meropide (PLIN. SEN. V 31; THUC. VIII 41; PAUS. VI 14, 2, ecc.); non posso qui addentrarmi nella complessa questione quanto questo primitivo nome si colleghi alla clausola omerica méropes ánthrōpoi ed al fr. 115F75 FGrH JACOBI di Teopompo;

3.     per quel che riguarda la narrazione, la civetta si diceva in gr. glaûx, da glaukós: “occhilucente”, “occhiazzurro”, ed era sacra ad Atena; la “dea che va in giro di notte” allude all’ipostasi lunare di Artemide, e di notte a quei tempi le uniche donne che circolavano erano le prostitute; tutti poi sanno che Ermete è il protettore dei commercianti e dei ladri, di cui spesso la mentalità aristocratica antica faceva un unico fascio; non è infine assolutamente possibile identificare l’uccello di Leucotea, che dovrebbe essere marino vista la divinità cui era sacro, tanto meno ricorrendo all’altro suo nome di Bissa, che è in questo senso un hapax;

4.     in generale si tratta di una delle tante favole edificanti dell’empietà punita. 

Nella Bibbia greca (ps. 101 -102-, 7) si legge: 

Fui pari a un pellicano nel deserto,
divenni come un gufo cornuto tra le rovine.
 

I Settanta rendono con nyktikórax un animale, citato pure in lev. 11, 17 e in deut. 14, 16 fra gli impuri. Poiché il termine in altri luoghi della Scrittura indica una “coppa”, da una √ che significa “ricevere”, “nascondere” o “riunire”, alcuni hanno pensato che qui andasse invece reso con “pellicano”, l’uccello col becco a tazza, ma allora come tradurre il termine precedente? inoltre nel passo deuteronomico i due volatili sono distinti e infine i pellicani non abitano le rovine, che sono invece nel folclore semitico le sedi d’elezioni degli strigiformi. Non sarà il gufo cornuto, dunque, ma è certo un rapace notturno, forse l’Athene noctua, la civetta, che in Palestina è a quanto pare assai diffusa.

A proposito di questo passo Girolamo, colla consueta sensibilità per il dettaglio linguistico, nota (ep. CVI 63, LV p. 269 CSEL HILBERG): 

factus sum sicut nyktikórax in domicilio. quod similiter habetur in graeco; et quaeritis, quid significet nyktikórax apud latinos. in hebraeo pro nycticorace uerbum ‘bos’ scriptum est, quod Aquila et Septuaginta et Theodotio et Quinta Editio ‘nycticoracem’ interpretati sunt, Symmachus ‘upupam’, Sexta Editio ‘noctuam’, quod et nos magis sequimur”. 

Così, con ben poco costrutto in verità, pure Eusebio (in ps. XXIII 1256 MPG) chiosa il nostro Salmo: 

“Divenni come un gufo cornuto tra le rovine”. Il gufo cornuto è un animale codardo, perciò fugge via da ogni luogo e va ad abitare nelle case in macerie e gracchia durante la notte in preda al timore. Tramite il pellicano il testo vuol significare l’assoluta solitudine del popolo ebraico, tramite il gufo cornuto l’oscurità che lo ha invaso, ossia che, spentasi la luce che lo illuminava, è come immerso nel buio della notte perché non conosce piú Dio. Forse poi il Santo [Davide] non può non paragonarsi ad un gufo cornuto, poiché dice nel Salmo che vegliava per tutta la notte gridando e pregando [ibid. v. 8]. 

Ed ecco infine, sempre intorno allo stesso luogo scritturale, il Fisiologo (5). 

Scrive il Salmista: “Divenni come un gufo cornuto tra le rovine”. Il Fisiologo ha detto del gufo cornuto che quest’uccello preferisce la notte al giorno. Cosí anche il signor nostro Gesú Cristo preferí noi, il popolo dei gentili, ch’eravamo immersi nell’oscurità e nell’ombra della morte, al popolo dei Giudei, che pure erano stati designati eredi della divina adozione [Rom. 9, 4; Eph. 1, 5] e dell’annuncio dei padri. Perciò disse il Salvatore: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” [Luc. 12, 32 CEI], e ciò che segue. Mi si obietterà che il gufo cornuto è impuro secondo la Legge [Lev. 11, 17], e dunque come potrebbe essere assunto a immagine del Salvatore? D’accordo; ma allora perché l’Apostolo ha detto: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” [2 Cor. 5, 21 CEI]? Si umiliò per salvarci tutti e perché fossimo esaltati. Bene dunque ha detto il Fisiologo del gufo cornuto.  

Compare anche presso STRAB. XVII 2, 4 e nell’ anth. Pal. XI 186 (NICARCH.).

 

Aldelmo di Sherborne (aenig. 35, CPL 1335 SL 133 GLORIE) ci ha trasmesso un grazioso indovinello latino medievale:  

Duplicat ars geminis mihi nomen rite figuris;

nam partem tenebrae retinent partemque uolucres.

Raro me quisquam cernet sub luce serena,

quin magis astriferas ego nocte fouebo latebras. 

Ossia: il nome “doppio”, che viene parte dalle tenebre e parte dagli uccelli, allude al composto nyktikórax, lett. “il corvo della notte”, come s’è detto; poi si ribadisce la natura notturna dell’animale.

 Il termine, nella forma “nitticorace”, passa dal lat. dei bassi tempi, nycticŏrax, all’it. antico, ov’è ad es. testimoniato quale emblema araldico del dotto assorto nello studio notturno. Compare anche nei bestiari, ad es. Cecco d’Ascoli, Lacerba III, XIII 1-6:  

Noticora, querendo ’l cibo, grida;

di notte canta, in volando preda.

Dove son corpi morti, ivi s’anida;

vede la notte, ma dal giorno è cieca;

agli altri uccelli è ‹angosciosa e feda›;

com’ piú risguarda ’l Sol piú ’l viso a‹cc›eca.  

Del tutto incomprensibile l’affermazione di Corrado Bologna (Alessandro nel Medioevo Occidentale, I) che il termine, ovviamente scempio e senza i grecque nel fr. antico niticorace, venga da “una intelligente [?] crasi tra niti(dus) = lucente e corax (thorax?) = corazza”. Nell’inverosimile trascrizione fantastica di Alexandre de Paris (III 83, 1412-16) gli uccelli diventano diurni e ittiofagi: 

A l’aube aparissant vinrent niticorace,

Bleu sont et piés ont noirs et bes comme becace

et crestes comme cos et qeue paounace

Et luisent assés plus que ne fait une glace,

Gregnor sont de vautoirs plus de demie brace,

 

ma ciò nulla toglie alla chiarissima filiazione del loro nome. 

L’attuale Nycticorax nycticorax, in it. Nittícora, Bihoreau gris in fr., Black-crowned night Heron o Qua-bird in ingl., Martinete o Garza nocturna coroninegra in isp., Nachtreiher in ted. (un esemplare è riprodotto in fotografia al termine della scheda), un airone notturno che vive nel Paleartico lungo il medio corso dei fiumi dell’Europa centrale e meridionale, nonché nel Nuovo mondo, nulla ha a che fare col nostro uccello, non solo ovviamente colla variante fantastica, ma neppure con quella aristotelico-scientifica: si tratta di un’estensione indebita dell’onomastica antica, la stessa, per intenderci, da cui vengono il nome del Niger e del Rio delle Amazzoni.

 

 

MISERRIMUS