Domenica ha raggiunto la sua ultima dimora Giovanni Calvini presidente della sezione “Fornaci” dell’Anpi
Alla memoria del partigiano “Cava”: quesiti a Gian Paolo Pansa
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Sergio Giuliani      versione stampabile

Domenica ha raggiunto la sua ultima dimora Giovanni Calvini presidente della sezione “Fornaci” dell’Anpi. E’ stata una fortuna conoscerlo, per i ragazzi delle scuole elementari ai quali raccontava, con sofferenza e con pudore, le terribili vicende che aveva attraversato e per chi ha avuto modo di apprezzarne la dirittura morale.

“Tutti gli italiani furono conniventi col fascismo, eccetto pochissimi.” dice Pansa. Io, di quei pochissimi, ne ho conosciuti un bel numero: sarò fortunato?

Il papà di Nanni era un bravo meccanico ed aveva un’avviata officina. Distrutta dai fascisti (che sia per invidia di chi seriamente lavorava, allevava la famiglia ed era “naturalmente” avverso alla retorica?). Rimasto orfano con fratelli, a sedici anni lavora all’Ilva, dove si forma nel solco della chiarezza sociale paterna (e materna; io ho conosciuto la mamma, la mia cara bidella delle elementari, Ginetta) sia imparando a lavorare con la tecnica trasmessagli dai più anziani, sia confermandosi nel proprio antifascismo perché ne ammira la solidità sociale, la solidarietà che, nel lavoro, è tutela della vita del compagno e la positività delle idee politiche, nemiche del totalitarismo becero e della sopraffazione.

Marinaio in una guerra che non condivide, vedrà morire molti suoi compagni sul cacciatorpediniere “Trieste”, silurato dagli inglesi e l’otto settembre non avrà nessun dubbio nello scegliere la rischiosissima attività del partigiano. Lui sì che ha collaborato a costruire quella “patria”, la sola autentica, nata quando i poteri italici, tutti, latitarono e che soltanto le persone ben indirizzate dai propri principi etico-politici vollero a rischio delle loro vite.

Davanti a Nanni, Pansa non può prender sul serio intervistati rancorosi che, guarda caso,”passata la tempesta” aderirono subito all’Msi (addirittura uno dichiara di aver “lasciato” il Fini “democratico” per “Forza Nuova”!!!) e mai e poi mai si convinsero della legittimità della nostra Repubblica; anzi, vissero e vivono nel rancore di una per fortuna assurda rivincita.

Se a Nanni si parlava di Pansa, come ho fatto io una settimana fa nella “Serenella”, sorrideva e alzava la mano destra con gesto stanco e il sorriso si spegneva presto. Di sicuro anche a lui certe situazioni che si vissero in quei mesi non saranno andate a genio, ma da qui a passar dall’altra parte, per troppo impegno nel grattare il muro, ce ne corre.

Bene dice Hannah Arendt quando afferma che certe “ideologie” uccidono la comprensione, il dialogo; alimentano l’odio per cocciuta intransigenza e gettano lo zolfanello acceso sulla benzina. Ragionare, bisogna; ma tutti; soprattutto se si è quotati giornalisti. Proviamo! L’amnistia voluta dal Ministro della Giustizia Togliatti era una necessità, come egli ha sempre spiegato: decantare i rancori, riconoscere innocente o quasi una “devianza” verso il totalitarismo fascista, ma senza aver compiuto alcunché di crudele e non sguarnire il rinnovato stato di competenze e di funzionari compromessi. Certo, ideologicamente ma, allo stato, insostituibili. L’amnistia fu vissuta con amarezza, come una resa appena dopo la pagata vittoria e suscitò ombre, dubbi, rabbia e, di certo, voglia di rivalsa. Fu cosa grave, certo, far giustizia fuor di tribunali. Accadde, dolorosamente ed è stato folle non averne voluto prender atto, per non pagar prezzi politici che, poi, si aggravano e schizzano marciume.

Per chi legge Pansa e, buon per lui, è giovane, sappia che la “mattanza” di Piazzale Loreto, certo ingiustificabile a sessant’anni di pace di distanza, fu preceduta dall’esecuzione, da parte fascista, di operai in sciopero e partigiani i cui corpi vennero lasciati giorni e giorni nel gelo milanese, guardati a vista coi mitra prima di esser riconsegnati ai familiari. Perché non ricordarlo? Perché darlo per scontato? Perché, delle fotografie, soltanto i negativi?

Nanni aveva raccontato da poco ad Anna Maria Frizza, che l’aveva intervistato con altri partigiani e familiari di partigiani caduti in combattimento o che non ci sono più, la propria vicenda, con parole brevissime e piene: un uomo cordiale, di pace, costretto alla guerra, avvelenato da essa, testimone di crudeltà che non lo hanno mai lasciato. Solo nella fede politica, nella solidarietà sul lavoro (ferroviere; era stato l’aiuto macchinista di mio padre) aveva ritrovato la misura del vivere, il cordiale sorriso che lo illuminava e gli affetti familiari.

Ma “Caro Lorenzo….”,il libro di Anna Maria Frizza, la maestra a riposo (ma non troppo!) che trasmette ad un alunno-tipo (simpatico anche perché indisciplinato!) i principi e i valori della Resistenza colti non nei discorsi retorici di ricorrenza, ma nei valori fondanti della convivenza umana, venderà, purtroppo, assai, assai meno del mercato-Pansa ed avrà soltanto quiete presentazioni senza tv interessate.

Chissà se Pansa troverà il tempo di leggerlo con la necessaria acribia! Certo, di grandi bugie se ne sono dette tante, ma la vita di Nanni rimane verità e valore. Quanto poi a considerare attendibile chi, per odio pervicace, si rifugia in “Forza Nuova” piuttosto che nella nostra democratica Repubblica italiana, io lascerei perdere…

Sergio Giuliani