FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi  

Teocon? Teodem? Teoché? 

Ci mancavano solo i teo-dem.

Dopo i teocon, si sono regolarmente presentati all’appello.

Per me si tratta della ciliegina sulla torta immangiabile del nuovo partito democratico: l’alzabandiera dei neo-crociati del movimento scienza e vita

Ma quale scienza?  

Quella burattinata da Ratzinger, che, più o meno mentre infuria il Ratisbona-day, convoca una congrega di depositari della verità e pronuncia l’estremo anatema sull’evoluzionismo. Contrappone condizioni dogmatiche all’indagine scientifica: il ritorno all’ auctoritas, da cui la scienza si è liberata passando attraverso gli autodafé (senza per questo essere immune, intendiamoci, dallo stesso difetto autocratico, come dimostra l’atteggiamento scientista manifestato da tanti addetti ai lavori).  

E quale vita? 

Non quella animale, ad esempio, dal momento che in casa gesuita si inorridisce al solo sentir parlare di diritti animali.  

La vita umana quindi.

Ma  non quella colpevole, ad esempio: non ho letto di altrettali proclami contro la pena di morte e le omissioni contano nel definire l’ambito su cui si punta. 

La vita umana innocente, quindi.

Ma non di quella lateralizzata, ad esempio: non ho visto un’uguale mobilitazione contro l’uso della tecnologia di guerra, che nega o mutila tante vite lontane innocentissime. La pace, a livello di vertice, è stata anzi ceduta dal mazzo delle trattative in cambio della legge 40: ci sono noti il dove, il quando e il chi dell’accordo. Questo ai tempi del “pacifista” Woityla: alle bandiere arcobaleno farsene una ragione.  

Quale vita, dunque? 

Quella dell’embrione e quella dei malati terminali che chiedono eutanasia.  

Insomma: la vita che si sceglie.

Sì perché anche l’eutanasia non è scelta della morte ma è scelta della vita, fatta in nome della vita, nella ricchezza della sua accezione, non ridotta a pura biologia. La stessa cosa vale per fecondazione e ricerca sulle staminali embrionali. Insomma, la parola “vita” potrebbe essere scritta sui contrapposti vessilli

E’ fondamentalmente in questi territori, di interesse bioetico, quando entrano in gioco le scelte umane in nome di valori diversamente intesi, che la vita diviene per la teologia cattolica valore assoluto, vincente su ogni altro. 

Ma il fondamentalismo non si scontra col relativismo, non si tratta infatti di rinuncia ai valori, ma, con buona pace di Ratzinger, si tratta di differenti scale valoriali.  

Il principio apicale della mia scala, per puntare il compasso su me stessa, è la felicità, letta pure come assenza di dolore epicurea e non è il portato di metafisiche aristotelico-tomiste.  

Nessuno però è autorizzato a dire che i miei sono non-valori,  come io non mi permetto di sminuire su piano etico quelli altrui finché restano altrui però, ovvero tali da condizionare la vita di chi vi si riconosce e non la mia o quella di chi, come me, si riconosce altrove. 

Non dobbiamo confondere “relativismo” nell’accezione deteriore del papa-teologo, con “pluralismo”, concetto a cui da noi non si è fatta l’abitudine mentale e morale, al punto di non capirlo.  

Del resto, Giordano Bruno è finito sul rogo per aver sostenuto la pluralità dei mondi e i mondi, allargando, non sono solo situazioni astronomiche ma anche, nell’accezione leibniziana, situazioni interpretative, visioni del bene. 

Il dialogo, la ricerca comune, il confronto è l’unica via di ricostruzione di un’unità dinamica, socratica, non sul sacrificio ma sulla valorizzazione delle diverse visioni del bene. 

Ma non c’è dialogo dove si da prevaricazione. Dove si sceglie la spada. 

Una distinzione si impone in modo perentorio, e non c’è teocrazia che tenga né con i con né con i dem.  Anzi, tanto meno coi dem  perché proprio sul principio di laicità si fonda una “conditio sine qua non” del governo democratico in una società ideologicamente, culturalmente ed etnicamente pluralista.   

Quanto alla pace, alla comune benevolenza, alla solidarietà: questi sono principi ricevibilissimi perché corrispondenti con la possibilità stessa di una comunità sociale e non confliggenti. Ricevibili in quanto non esclusivamente cristiani ma umanamente condivisi, tali da poter essere formulati a nome di tutti. 

Non è per difendere questi che è nata Scienza e Vita, alla vigilia del dibattito politico sulla fecondazione assistita, che coinvolge invece punti di vista metafisici, fondati sulla fede, rispettata e rispettabile ma non imponibile. Fondati per di più non sul vangelo, che di queste cose non parla, ma sull’impianto metafisico-teologico di Tommaso d’Aquino, ragion per cui si dovrebbe parlare di principi cattolici e non cristiani, considerando il differente orientamento di altre comunità cristiane. 

Va distinto il piano etico dal piano politico: questa è la madre di tutte le questioni, dal momento che il primo ha come finalità rendere possibile la convivenza e il secondo la realizzazione del valore assoluto che si attribuisce alla vita. Il possibile e l’assoluto, quindi: il giusto da una parte e il bene dall’altra. 

Assoluto e relativo appartengono quindi a vocabolari diversi, di per sé non configgenti.

     Solo la distinzione garantisce tutti, la confusione sconfina nel totalitarismo,     nella prospettiva dello stato etico, nella dittatura di una parte sull’insieme in questioni extra-politiche.  

La politica deve rispettare le posizioni di fede in quanto deve dare a tutti la possibilità di comportarsi in coerenza con esse.

L’eventuale scelta di consentire, in caso di malattia terminale e consenso del soggetto, la soluzione eutanasia non deve certo privare chi ritiene che la vita sia dono divino indisponibile, di agire di conseguenza. Ogni mezzo e ogni risorsa deve essere destinata anche a questo e la politica ha il dovere di farsene garante. E’ giusto introdurre l’obiezione di coscienza se significa non obbligare un medico a eseguire pratiche da lui non condivise ma è bieco l’uso da neo-crociati, professionalmente ricattabili, che se ne fa oggi in Italia, per impedire ad altri di valersi di pratiche previste dalla legge.  

Il singolo medico può obiettare ma la struttura deve garantire ciò che ad essa viene richiesto, sia che si tratti di aborto che di FIVET che di Testamento Biologico. L’obiezione è del singolo non può diventare della struttura.  

Alla fine di questo colpo d’occhio su questioni problematiche e gravide di problemi, resta una constatazione semplicissima: 

Consentire non significa obbligare, proibire sì. 

Sa di dolore e di fumo, come certe fascine arse in Campo di Fiori quattrocento anni fa. 

Gloria Bardi

   www.gloriabardi.blogspot.com

 

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