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Ambientalismo, Animalismo e Verdi
(1° parte)
 

I termini “ambientalismo” ed “animalismo” vengono spesso usati indifferentemente, quasi fossero sinonimi mentre, in realtà, essi denotano modi di pensare ed obiettivi assai diversi. 

Un animalista non può che essere anche ambientalista. La maggior parte del mondo animale è costituita da specie selvatiche la cui sopravvivenza è indissolubilmente legata alla sopravvivenza e alla salute dell’ambiente. Se fiumi e mari sono inquinati, i terreni cementificati, le colture cosparse di pesticidi e l’aria ammorbata da sostanze tossiche, è evidente che i primi a pagarne le conseguenze non saremo noi ma gli animali. 

Non vale però il contrario. Un ambientalista, nella maggior parte dei casi, non è animalista. Si potrebbe dire - non se ne abbiano a male gli amici ambientalisti - che un ambientalista si rapporta con il pianeta in un’ottica egoistica in quanto egli ha a cuore la preservazione dell’habitat in cui vive egli stesso e in cui vivranno le sue generazioni future. Essere ambientalista è una scelta facilmente condivisibile (almeno in teoria) in quanto chiunque sia in grado di guardare al di là del proprio naso si rende conto che i danni che infliggiamo all’ambiente prima o poi ricadranno su di noi a mò di boomerang. Per questo motivo, a parole siamo (quasi) tutti ambientalisti. All’atto pratico, purtroppo, le esigenze dell’ambiente soccombono di fronte ad altri interessi (il lavoro, le tasse, le comodità ecc…) che, a torto o a ragione, vengono vissuti come prioritari.  

Essere animalisti è tutta un’altra storia. L’animalista parte dalla convinzione che tutti gli animali, seppure in maniera diversa, conoscano la sofferenza fisica e psicologica e che tutti gli animali (non umani) abbiano il diritto di vivere la loro vita così come noi (animali) umani riteniamo di aver diritto di vivere la nostra.  

La prepotenza umana ci ha indotto a pensare gli animali come oggetti a nostra disposizione mentre un animalista ritiene che questa millenaria concezione derivi solo dalla nostra millenaria smisurata arroganza. Nel corso dei secoli, l’Uomo dominante ha via via sottomesso ai propri interessi tutte le categorie deboli - i negri, le donne, il proletariato, gli immigrati – e la liberazione di queste categorie è avvenuta, quando è avvenuta, non grazie all’improvvisa generosità del più forte ma grazie alla capacità di ribellione delle categorie sottomesse. Il mondo animale, il gradino più infimo nella scala delle schiavitù, questa capacità ovviamente non ce l’ ha né potrà averla mai; questo, tuttavia, non è motivo sufficiente a giustificare il suo sfruttamento. Gli animalisti si propongono di difendere gli interessi di queste vittime indifese, siano essi animali domestici o selvatici, in via di estinzione o d’allevamento, con la coda o con le ali. 

Data questa premessa, è evidente che un animalista ha ben poco in comune con la persona che tratta il proprio cane o il proprio gatto come se fosse un figlio e poi si rimpinza lo stomaco con i resti sanguinolenti di ogni genere di animale. Analogamente, un animalista ha poco a che fare con chi difende le tigri del Bengala e poi compra la pelliccia di visone visto che i visoni sono allevati in appositi stabilimenti e non corrono il rischio di estinguersi.  

Gli zoofili hanno il merito di aver acquisito la capacità di leggere la grande ricchezza emotiva di cui i loro quattrozampe sono dotati e questo, nella generale cecità, non può che essere apprezzabile. Gli ambientalisti che difendono le specie a rischio di estinzione hanno il merito di aver capito che il benessere del nostro pianeta non dipende solo dalle mutazioni climatiche e dalle tonnellate di rifiuti che ci stanno seppellendo ma anche dalla sussistenza della bio-diversità. In entrambi i casi, però, il rapporto con il mondo animale è opportunistico e limitato da una visione prettamente antropocentrica.  

Ricordo che, nel corso della recente querelle sui caprioli, un giornalista della Stampa – di cui ho significativamente dimenticato il nome – diede fiato alla sua rabbia con un articolo in cui vantava il fatto che “tra i caprioli e gli alberi, lui stava dalla parte degli alberi”. Non voglio qui dilungarmi sulla fin troppo discussa vicenda dei caprioli ma mi si permetta di cogliere l’occasione per fare un breve inciso utile a dimostrare come gli interessi degli animali, anche i più fondamentali, non siano oggetto di considerazione alcuna. 

Non tutti forse sanno che la settimana scorsa il TAR Piemonte ha definitivamente bocciato la delibera regionale che autorizzava la caccia al capriolo. Il parlamentino piemontese aveva infatti preso la tanto contestata decisione sulla base delle richieste avanzate dagli Ambiti Territoriali di Caccia (enti gestiti da cacciatori) ma senza consultare l’ Istituto Nazionale di Fauna Selvatica, così come espressamente previsto dalla legge. Insomma, la gestione del pollaio era stata affidata direttamente ad un gruppo di volpi, nella convinzione che, come spesso succede, nessuno se ne sarebbe accorto e che le volpi, in stagione elettorale, si sarebbero poi sdebitate… Nel frattempo, gli animalisti venivano attaccati da più parti come fossero fanatici talebani (sic!). E qui chiudo la parentesi.  

Ma torniamo al nostro giornalista che, tra un capriolo e l’ albero è fiero di stare dalla parte dell’albero. Io no. Io sono fiera di stare dalla parte del capriolo, così come tra una fettina di vitello e un cespo di lattuga sto dalla parte del vitello (questo per rispondere in anticipo ai tanti che, a chi parla loro di vegetarianesimo, rispondono con un patetico “anche la lattuga soffre”.. ). Fino a prova contraria, il capriolo ed il vitello hanno un sistema nervoso ed un cervello che permette loro, ahimè, di percepire gioia e dolore, benessere e paura. Piante e lattuga no. E poi. Se abbiamo tanto a cuore il verde, perché siamo così tolleranti quando si tratta di fare terzi valichi, linee ferroviarie ad alta velocità, centrali a carbone, porti e grattacieli? Perché i caprioli, che mangiano le piante per la loro sopravvivenza, sono creature nefaste e noi, che facciamo danni di gran lunga maggiori, ci riteniamo in diritto di farlo?  

Ma, si dice, ci sono delle priorità. Come ci si può occupare delle condizioni infernali a cui sono costretti i maiali ed i polli degli allevamenti intensivi quando condizioni non molto dissimili sono vissute anche da certa povera gente? Certo. Le priorità ci sarebbero. Ma quando mai sono state seguite? Di quante sciocchezze indicibili si occupa la nostra società, con grande dispendio di risorse ed energie? E noi, che crediamo nelle priorità, cosa facciamo in concreto per porre rimedio agli scandali più ripugnanti di questa società? Non siamo mai andati per “ordine di urgenza” né ravvedo alcuna volontà di cominciare a farlo. Perché invochiamo questo utopistico principio solo quando si parla di animali? Ed infine. Se gli animali devono aspettare che noi umani si sia prima risolti tutti i nostri umanissimi problemi, tanto vale dire a chiare lettere che, per loro, non c’è speranza di una vita migliore, né ora né mai. 

Considerato che abbracciare il punto di vista degli animali ci costringe a rivedere tutto il nostro modo di vivere, a scapito della nostra pigrizia e delle nostre abitudini, non c’è da sorprendersi se gli Animalisti non sono molto numerosi e si trovano spesso in disaccordo con gli stessi ambientalisti. A questo punto, un partito politico che accoglie pubblicamente le istanze animaliste è un partito demagogico oppure un partito che ha il coraggio di portare avanti le proprie convinzioni? Il discorso richiede qualche riflessione. Meglio riaggiornarci alla prossima settimana. (segue)  

Antonella De Paola

responsabile provinciale diritti animali Verdi Savona