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Premio Tenco 2006 conferito a Willy De Ville!

 

Sanremo è fin dagli anni ’50 la città del festival, ma non solo. È, infatti, proprio a Sanremo,  capitale italiana della canzonetta, che ogni anno, a partire dal 1974, viene assegnato il prestigioso premio Tenco, dedicato alla canzone d’autore italiana e straniera. Con il Premio Tenco viene premiata la carriera di uno o più musicisti di fama internazionale, che hanno offerto un significativo contributo alla canzone d'autore mondiale. Negli anni passati il premio è stato assegnato ad artisti del calibro di Giorgio Gaber, Fabrizio De Andrè, Domenico Modugno, Georges Brassens, Jacques Brel, Leonard Cohen, Paolo Conte, Tom Waits, Randy Newman, Caetano Veloso e tanti altri tra cui i prescelti delle ultime due edizioni, Peter Hammill e Dulce Pontes per il 2004, John Cale e Cheb Khaled per il 2005. Inoltre, correlate al premio principale, ogni anno a partire dal 1984 vengono attribuite alcune targhe, rispettivamente per il miglior album, lo scorso anno vinto da De Gregori con “Pezzi”, la miglior canzone (2005 Paolo Conte “Elegia”), Interprete (Morgan, “Non al denaro non all’amore né al cielo), Opera prima (non concessa) e dialettale (Enzo Jannacci, “Milano 3-6-2005”). 

Ebbene, è stato un immenso piacere scoprire che nel 2006, durante la manifestazione in programma nelle serate del 9, 10 e 11 novembre, il riconoscimento verrà conferito a William Borsey, in arte Willy De Ville, artista grande quanto ingiustamente misconosciuto, di origine portoricana ma nato a New York nel 1953.

Avvicinatosi alla musica fin dall’infanzia e formatosi nel crogiuolo di razze e culture della Grande mela, negli anni ’70 Willy De Ville forma una band cui dà il nome di Mink De Ville. Con essa nel 1976 incide l’EP di debutto “Live at CBGB’s” composto di tre canzoni, ideali testimonianze dei suoi infuocati e sentiti concerti dell’epoca. Di band dunque si parlava in quegli anni, perché così voleva e vuole la tradizione rock anglosassone, indissolubilmente legata all’immagine del gruppo di ragazzi che uniscono le forze e imbracciano gli strumenti accomunati nelle responsabilità da un appellativo generico ma, come non di rado accade, quello dei Mink De Ville si rivelerà con il tempo nulla più che il marchio di fabbrica del leader, compositore quasi esclusivo dei pezzi e unico membro stabile.

Grazie all’interesse suscitato dalle sue esibizioni e dal EP, Willy pubblica per una major il suo primo album, “Cabretta”, nel 1977. Con questo disco, in cui spiccano l’elegante autografa “Spanish stroll” e la riuscita cover “Cadillac Walk”, ben interpretate con voce calda, inaugura la sua proposta musicale, un fascinoso impasto sonoro composto da soul, rock and roll, tradizione latina e altro, ricolmo di testi inguaribilmente romantici. Each word’s a beat of my heart, ogni parola è un battito del mio cuore, come intitolerà una sua canzone anni dopo. Dopo un ancor valido disco, “Return to Magenta” (1978), più energico e ritmato ma meno venduto, De Ville scende a “lavare i panni nella Senna” e incide per un etichetta parigina il magnifico “Le chat bleu” (1980), dalla romantica atmosfera francese, forse il capolavoro della stagione di De Ville con il visone (mink), in cui appaiono canzoni stupende come le appassionatamente soul “This must be the night”e “That world outside”, la jazzata “Bad boy”, la ballabile “Mazurca”, la potente e rockeggiante “Savoir faire” e la pianistica e malinconica “Heaven stood still”. I Mink de Ville proseguono per alcuni anni con immutata ispirazione regalando dolci e indimenticabili canzoni come “Love and emotion”, “Maybe tomorrow e “You better move on”, tratte dal magnifico “Coup de grace” del 1981 o ancora offrendo pezzi del calibro di “River of tears” e della spagnoleggiante “Demasiado corazon”, nota in Italia anche per essere da molti anni sigla del celebrato programma televisivo di cabaret Zelig, tratte da “Where angels fear to tread” del 1983. La storia del gruppo termina quindi in tono minore con un album, “Sporting life”del 1985, trainato da una tosta “Italian shoes” ma in complesso inferiore agli standard abituali dell’artista.

Per restituire al musicista la creatività perduta, nel 1987 arriverà, nelle vesti di produttore e chitarrista, oltre che coautore di un pezzo, “Spanish jack”, Mark Knopfler dei Dire Straits. Il risultato del connubio sarà “Miracle”, primo album ufficialmente solista di Willy De Ville. Il disco, dal sound molto influenzato da Knopfler, si dimostrerà ottimo, con una nota particolare di merito per il brano cofirmato con Mr. Dire Straits, per “Heart and soul” e la sua spagnoleggiante chitarra, non a caso unico a essere poi regolarmente inserito in repertorio e per “Nightfalls”, ma per imperscrutabili motivi sarà recisamente disconosciuto dall’artista, restio perfino a interpretarne i pezzi in concerto. Si giunge intanto negli anni ’90 e il compositore, dopo un piacevole album composto di standard della musica di New Orleans, “Victory Mixture” (1990), molto apprezzato in Francia, nel 1992 sforna quello che probabilmente può essere considerato il massimo capolavoro della seconda parte della carriera e non solo: “Backstreet of desire” dove offre alcune delle sue canzoni più riuscite, come “Bamboo road”, “Call your name” e “All in the name of love”, tre pezzi sognanti e davvero raffinati, e una  fascinosa versione latina del classicissimo “Hey! Joe”. Questo disco peraltro, oltre all’apprezzamento entusiasta ed unanime della critica, venne molto ben accolto anche dal pubblico, tanto da risultare a tutt’oggi il più venduto del catalogo. Perfino in Italia l’anno in cui uscì riuscì a superare le ventimila copie vendute. E se a prima vista la cifra, per un epoca in cui ancora i dischi vendevano, può sembrare irrilevante, per comprenderne appieno la portata va tenuto conto dell’assoluta mancanza di commercialità del disco e del fatto che nel Bel paese l’artista fino a quel giorno era passato quasi del tutto inosservato (dal pubblico, non dalla critica), tanto che tutti i suoi album precedenti messi insieme con ogni probabilità avevano superato a stento quella quota di vendite. Giunto all’apice della carriera non può mancare il classico album dal vivo, che giunge puntualmente nel1993. Un cd di raro spessore, registrato tra Parigi e New York, intitolato semplicemente “Live”, a personalissimo parere di chi scrive uno dei migliori dischi dal vivo di tutti i tempi. Si tratta di un concerto elettrico in cui interpreta molti dei brani migliori sia della stagione Mink De Ville sia di questa prima stagione da solista, con particolare riguardo all’album del ’92, e con in più una cover di “Stand by me”. Nel 2002 arriverà poi anche la performance acustica, in trio, offerta in doppio cd, oltre che su dvd, intitolata “Live in Berlin”.

Dopo Backstreet of desire si assiste a una secca riduzione della sua attività discografica, tanto che tra il ’93 a oggi l’artista ha pubblicato appena tre album d’inediti. Per quanto riguarda l’ispirazione, anche se questi ultimi dischi risultano nel complesso un po’ routinari e inevitabilmente inferiori a quelli del periodo migliore, De Ville presenta sempre numerosi brani assai riusciti. Il valido e vario “Loup garou” del 1995 tenta di ampliare il sound del musicista, tanto che si può ascoltare addirittura un bel motivo in classico stile folk irlandese (“Angels don’t try”), mentre in “A Horse of a different Color” (1999) ritorna a sonorità tipicamente nere senza peraltro dimenticare la propria latinità. A tutt’oggi la sua ultima uscita discografica è “Crown Jane Alley” (2004). La raccolta, pur non aggiungendo nulla di nuovo alla carriera di De Ville e riproponendo anzi soltanto temi ben collaudati, presenta come al solito pezzi validi e ammalianti, come “Right there, right then”, “Crow Jane Alley” oppure “Maddy Waters rose out of the Mississipi mud” e merita sicuramente l’ascolto.

A conclusione dell’articolo vale la pena di ricordare che la tradizione del premio Tenco vuole che l’artista internazionale prescelto annualmente tenga un concerto sul luogo della premiazione. De Ville, in turnè in Italia proprio questo autunno, non mancherà all’appuntamento. Suonerà, infatti, sul palco di Sanremo la sera del 10 novembre: una performance da non perdere. E chissà che durante lo spettacolo il buon vecchio Willy non perpetri la sua romanticissima consuetudine di lanciare rose rosse in mezzo al pubblico.

Massimo Bianco