È forse peccato, è forse un oltraggio alla vita il volerla lasciar fuggire per non vederla soffrire e sporcare da un dolore (fisico o psichico) che non si riesce più a contenere?  

PAROLE DI VITA  

                      Samantha Giribone     versione stampabile

Ho sempre avuto l’idea che la mia vita fosse un libro.  

Troppi incontri, scontri, imprevisti, sviste, coincidenze. Troppi, per crederli casuali.  

Penso che sia una sensazione universalmente umana, e so che proprio questo renderebbe un libro sulla mia vita infinitamente noioso. 

Ma cos’è la vita di ognuno, se non un racconto? 

Qualcuno dice che è il battito del cuore. Altri ritengono che il segreto stia tutto nel cervello, nelle sue reazioni, nei suoi rapidissimi movimenti. Di sicuro, fin dalla prima infanzia, hanno cercato in molti di farci imparare tutto su vene, arterie e ritmi biologici. 

Il DNA: il codice inviolabile del mistero. E noi tutti lì, racchiusi centimetro per centimetro in quella striscia. Tutta la nostra vita, in una sequenza. 

Ma la scintilla? Quella perla invisibile che ci fa esclamare “sono qui”, in quale mare del nostro essere si nasconde? 

Io non sono nessuno, eppure un’idea l’avrei. 

La nostra vita, la vita di ogni essere umano, non è altro che un insieme meraviglioso di storie. 

Noi siamo ciò che narriamo di essere, ciò che gli altri ci raccontano di noi e ci hanno raccontato di loro stessi. La Storia immensa dell’Universo, dell’Uomo, che si intreccia con la storia piccola del nostro essere, di tutti gli esseri. 

La nostra vita, fin dall’inizio, è immersa nella dimensione narrativa: il bambino apprende i meccanismi del mondo tramite le favole, e solo grazie alle parole di genitori e parenti egli può costruire la propria identità di individuo elaborando il lutto di una nascita che non potrà mai ricordare. 

Il linguaggio è il fulcro reale di quello scalino (a volte tappeto) che separa gli uomini dagli altri esseri viventi. La parola ci permette di creare relazioni, comunicazioni, pensieri, emozioni, ricordi, proteste. 

Questa settimana la mia coscienza è stata investita proprio da alcune semplici parole: è arrivato il tempo di morire. 

Un uomo, fierissimo, nel suo letto di malattia, capace di ragionare, che chiede il permesso di realizzare l’unico gesto in grado di conservare la dignità di quello sguardo ancora sveglio, nonostante tutto: morire. 

Una frase come questa può colpirti allo stomaco come il più violento dei pugni. 

Un uomo non ha forse il diritto di decidere il finale del proprio racconto, senza che nessuno possa permettersi l’azzardo di dissentire? 

A cosa servono i dibattiti, gli accordi, gli scontri in Parlamento? A che titolo, uno Stato può permettersi di imporre ad un uomo l’esistenza? 

Non posso credere che i meri aspetti biologici superino a tal punto il diritto di chiunque alla responsabilità, alla volontà. 

Morire è un Diritto Universale di tutti gli Uomini. 

Scegliere le parole del nostro epilogo è fondamentale per non perdere lo status di persona. Cosa si è, se non si ha potere neppure sulla propria dimensione umana? 

È forse peccato, è forse un oltraggio alla vita il volerla lasciar fuggire per non vederla soffrire e sporcare da un dolore (fisico o psichico) che non si riesce più a contenere? 

Anche questo è Amore. 

 

Samantha Giribone