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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Leones

Parte quarta

L’affollato pantheon egizio registra molti numi con attributi leonini: di Maahes s’è già detto nella prima scheda sull’argomento; sua madre era Bast, signora dei profumi, con testa di gatto o di leone; Mut o Maut, la madre degli dei in Tebe, dapprima rappresentata colle ali o in forma d’avvoltoio, piú tardi con testa di leonessa; Hathor, la regina dei cieli, leonessa o leontocefala nella sua ipostasi della distruzione e dell’ubriachezza; Sekhmet, o Sakhmet, o Sekhet, la dea leontocefala della triade memfita; Taweret (altri nomi: Taueret, Taurt, Toeris, Ipy, Ipet, Apet, Opet, Reret), la Gran femmina di cui si parlò nella scheda sugli Ippopotami; Tefnut, figurata da un leone o da una donna leontocefala col disco solare e l’ureo; Wadjet, dea del Basso Egitto, del papiro e protettrice del faraone, con corpo femminile e testa di cobra o di leone … (G. HART, A Dictionary of Egyptian Gods and Goddesses, 1986). Delle figurazioni, mi limito a rammentare la pala di Narmer, di cui parlai sempre nella scheda sugli Ipoppotami; i due leoni di granito rosso accovacciati, detti the Prudhoe Lions dal nome del donatore, all’ingresso della Galleria delle sculture del British Museum, i quali già furono guardiani delle porte del tempio di Soleb in Nubia, costruito da Amenhotep III intorno al 1370a, come rivela l’iscrizione su uno dei due, poi spostati nel IIIa a Gebel Barkal dal sovrano meroitico Amonasro: insigne esempio della maestria scultoria degli artigiani egizi (HANS GOEDICKE, The Living Image, “Göttinger Miszellen” 134, 1993, 41 sqq.); e alcuni scarabei del Nuovo Regno intagliati coll’immagine di Seth su di un leone (uno al museo di Cracovia). 

Su di un recipiente in calcare scolpito con rara perizia, da Uruk (Warka), circa il 3000, una delle piú antiche attestazioni del tema, destinato nel Medio Oriente a plurimillenaria fortuna, del combattimento fra tori e leoni, che secondo Campbell simboleggia una teomachia primeva. Ninhursag, la sumerica Signora delle montagne, è rappresentata nel fregio fuso in rame dal tempio di Tell al-Ubaid, circa il 2500, quale aquila leontocefala artigliante due cervidi addossati. Nella Costruzione del tempio di Ningirsu, un poema epico scritto durante il regno di Gudea (seconda metà del XXII sec. a. C.), quasi completamente conservato in due sigilli cilindrici, edito in traslitterazione ed in trad. ingl. presso l’ETCSL di Oxford, 2.1.7, il dio patrono di Girsu-Lagash, che sovrintendeva alla pioggia e all’irrigazione, compare affiancato da leoni. Altre creature sovrannaturali mesopotamiche (da J. BLACK-A. GREEN, Gods, Demons and Symbols of Ancient Mesopotamia: An Illustrated Dictionary) erano: il leontocentauro, collocato all’ingresso delle stanze per l’abluzione; il leontodemone benefico, che dovrebbe corrispondere all’Ugallu neobabilonese e neoassiro; il leontodragone, un essere deforme associato al dio accadico delle malattie Asakku (Asag in sumerico); l’antropoleone, in accadico Uridimmu; Samana, un mostro misto che rappresentava le malattie dei raccolti. Quattordici secoli dopo il regno di Gudea, nel palazzo di Sargon II a Khorsabad (Dur Sharroukin) verrà scolpito un simulacro, che molti interpretano di Gilgamesh, ora al Louvre, in cui l’eroe tiene colla sinistra stretto al fianco un leone e s’appresta a colpirlo con un’arma da taglio nella destra (descritto nel poema in XV, 22-26). Giustamente celebri sono poi le scene di caccia assire dal palazzo settentrionale di Assurbanipal a Ninive, intorno al 640, e ancor piú quelle precedenti di Assurnasirpal II, intorno all’865, da Nimrud (Kalhu; entrambe al British), donde vengono anche il Lamassu, il leone alato androcefalo a cinque zampe regalato al Metropolitan da Rockfeller (l’altro è al British), sul cui compito c’informa l’iscrizione stessa del re: 

Bestie delle montagne e dei mari, che avevo figurate nel calcare bianco e nell’alabastro, feci collocare alle sue porte: lo [il palazzo] costruii in modo che fosse imponente; 

e lo splendido leone ruggente all’ingresso del sacello di Ishtar attiguo alla reggia (al British: D. COLLON, Ancient Near Eastern art, The British Museum Press, 1995).

 

Purtroppo una delle icone dell’arte mesopotamica, il leone eburneo neoassiro di Nimrud azzannante un Nubiano, risulta scomparso dal museo di Baghdad dopo i saccheggi della plebaglia irachena seguíti, nel piú totale disinteresse (o interesse?) degli occupanti, alla Seconda guerra del Golfo (“The Guardian”, 30 aprile 2003; l’altro pannello con scena identica al British), né compensa, in una sorta di scambio fortuito, la scoperta, nel luglio del 2001, di un nuovo tempio con due leoni alati dell’epoca di Assurnasirpal II a Nimrud (Reuter, 17 luglio 2001). Sotto Nabucodonosor II (r. ca. 604-562) fu edificata la favolosa porta di Ishtar in Babilonia, preceduta dalla “Via processionale”, un lungo ambulacro in mattoni smaltati policromi, sulle cui pareti era riprodotta una teoria di almeno centoventi leoni ruggenti, che accompagnavano durante la Festa dell’anno nuovo il corteo della statua di Marduk dai suoi due templi di Etemenanki ed Esagila sino alla “Città nuova” (quanto resta, scavato dall’archeologo tedesco Robert Koldewey, è finito nel Vorderasiatische Museum della Museumsinsel berlinese: R. KOLDEWEY, Das wiedererstehende Babylon: die bisherigen Ergebnisse der deutschen Ausgrabungen, 1925, rist. nel 1990).

 

L’immagine superiore riproduce un particolare della ricostruzione della Porta di Ishtar al Vorderasiatische Museum di Berlino; l’immagine inferiore un frammento della decorazione originale in Babilonia  

In sostanza, la fiera sembra fosse per gli Assiri un emblema ambivalente: da un lato le forze negative della selvatichezza, domate dalla civiltà di cui era antesignano il monarca, dall’altro l’essenza della regalità. 

Ninive è come una vasca d’acqua agitata da cui sfuggono le acque. “Fermatevi! Fermatevi!”, ma nessuno si volta. Saccheggiate l’argento, saccheggiate l’oro, ci sono tesori infiniti, ammassi d’oggetti preziosi. Devastazione, spogliazione, desolazione; cuori scoraggiati, ginocchia vacillanti, in tutti i cuori è lo spasimo su tutti i volti il pallore. Dov’è la tana dei leoni, la caverna dei leoncelli? Là si rifugiavano il leone e i leoncelli e nessuno li disturbava. Il leone rapiva per i suoi piccoli, sbranava per le sue leonesse; riempiva i suoi covi di preda, le sue tane di rapina. Eccomi a te, dice il Signore degli eserciti, manderò in fumo i tuoi carri e la spada divorerà i tuoi leoncelli. Porrò fine alle tue rapine nel paese, non si udrà piú la voce dei tuoi messaggeri (Nah. 2, 9-14 CEI)

In ogni modo dall’accezione positiva proviene l’uso di collocarli a guardia delle porte. Ora, piace di credere che i Crociati portassero in occidente quest’iconologia, già riscontrabile nelle statue fittili paleobabilonesi dell’atrio e del pronao del tempio maggiore di Shaduppum (Tell Harmal, ca. 1900-1600) e conosciuta per il tramite dei Musulmani, onde leoni stilofori comparvero nei protiri delle nostre cattedrali, come dirò oltre, e molto piú tardi divennero il simbolo del potere, ad es. dell’impero britannico e del trono di Francia: straordinaria continuità, se si tiene a mente la grotta dei Trois Frères, che legittima l’intuizione junghiana degli archetipi di cui parlerò ancora in séguito. 

Della civiltà minoico-micenea va in primo luogo ricordata la Porta dei Leoni di Micene, il cui architrave è sormontato da un fregio triangolare con una colonna fra due leoni rampanti. Poiché iconografie identiche ricorrono nell’arte funeraria frigia, in particolare la Tomba dei leoni ad Arslan Tash presso Afyonkarahisar, Ramsay, che scriveva prima degli scavi cretesi di Evans, sostenne che la Porta provenisse da quei modelli e la datò all’VIIIa. Flinders Petrie però, avendo scoperto in Egitto una scena simile, intorno al 1450 ca., e materiale miceneo in depositi del tempo di Akhnaton, propose di collocarla nel Bronzo tardo, come ora è unanimemente riconosciuto, e quale fonte dello schema l’Egitto stesso. Le esplorazioni di Evans, che cosí interpretava il motivo: 

The lions have...been recognized...as symbolic figures of the military might of those who held the walls of the citadel, and as a challenge to their foes. The column itself and the architrave and beam-ends that it supports have been taken, with the altars below, to stand for the Palace of the Mycenaean Kings (Mycenaean Tree and Pillar Cult, p. 106), 

mostrarono che Frigi e Micenei avevano attinto l’idea ai Minoici. Naturalmente, resta nel dubbio se i Minoici a loro volta l’avessero derivata dagli Egizi, o viceversa. 

  La Porta dei leoni a Micene 

 L’animale si vede anche in un affresco dell’angolo sudoccidentale del palazzo di Cnosso in atto d’afferrare una preda e piú volte nel palazzo di Pilo, nei rytha neopalaziali a protome leonina rinvenuti nell’angolo sudoccidentale della Loggia dei sedili di pietra sempre a Cnosso, in alcuni sigilli che mostrano un betilo o una figura antropomorfa maschile che doma due leoni affacciati, in altro sigillo ove compare su di un’altura una pótnia thērō’n (la “Padrona delle fiere”) scettrata, fra due leoni con orante e sacello, detta la Signora delle montagne (CMMS 46, 144, 145; 172 MATZ-BISANTZ 1964), in una statuina d’avorio dall’area santuariale di Micene, nella celebre daga del Museo Nazionale di Atene niellata con una scena di guerrieri armati di grandi scudi a caccia di leoni… (E. F. BLOEDOW, On Lions in Mycenaean and Minoan Culture, in EIKON: Aegean Bronze Age Iconography: Shaping a Methodology, a c. di R. LAFFINEUR e J. L. CROWLEY, 1992). 

 

   

 

Quanto alle tavolette in Lineare B, vi s’incontra lo strum. (rewopi), ossia *lewontphi, che impone un tema in nitau, laddove il femm. lē^aina indicherebbe un originario tema in nasale; dal gr. il lat. leō, femm. lea o in trascrizione leaena, onde le forme panromanze, celtiche e germaniche; dove poi il mic. abbia preso il termine è ignoto: non risultano collegamenti ie. (sscr. ruvanya, “urlare”, non è sostenibile), accad. lābu, ugar. lb’, ebr. lam non offrono riscontri. 

Aslanlikapi, la Porta dei leoni che proteggevano l’accesso a Boğazköy-Hattuşaş, è il monumento piú noto della civiltà ittita (sul capo di quello di sinistra è incisa un’iscrizione geroglifica visibile solo a mezzodí), ma non vanno dimenticate le decorazioni su ortostati di Alacahöyük ittita, del XIV sec., nel locale museo, e la statuetta di dea seduta in una “poltrona” con braccioli leonini da Alacahöyük hattia, del IV millennio, al Museo della civiltà anatolica (Anadolu Medeniyetleri Müzesi) di Ankara. Da Karkamiş-Jerablus neoittita sull’Eufrate, oggi al confine tra la Siria e la Turchia, vengono al museo di Ankara un leone alato con doppia testa, d’uomo e di fiera, della seconda metà dell’VIII sec.; sul piedistallo di una statua del dio Atarluhas una figura antropomorfa ieracocefala fra due leoni ruggenti (VIIIa); un rocchio di colonna cui sono addossati due leoni (VIIIa). Ancora: una splendida statuetta eburnea di leone accosciato dell’Urartu da Altintepe, verso il 725, al museo di Ankara un leone guardaporte in calcare da Aslantepe, verso il 900, al museo di Malatya; i leoni guardaporte della fortezza di Karatepe-Aslantaş in Cilicia, dell’VIII sec., sui quali è incisa una doppia iscrizione in luvio geroglifico e in fenicio. La dea hurrita Shaushka (Ishtar) assume aspetto di donna alata stante sul dorso di un leone, Hebat (Hepit, Hepatu), moglie del dio delle tempeste, a volte compare nella stessa guisa (Gurney, The Hittites, 1952).

MISERRIMUS