HO TROVATO stimolante la polemica
sviluppatasi sulle pagine liguri di Repubblica, sulla presa di posizione
dell´Assessore regionale Carlo Ruggeri contro l´eccessiva costruzione di
case nei progetti dei porti turistici liguri. Ironicamente o
sdegnosamente è stata notata la contraddizione fra «il dire» di oggi
dell´Assessore e il suo «fare» di ieri in qualità di Sindaco di Savona,
la quale naturalmente può suscitare dubbi in alcuni sulla credibilità
della odierna conversione di Ruggeri alla tutela ambientale. Al di là
dell´episodio, a me pare siano state toccate questioni generali
rilevanti: la prima riguarda il modo in cui si atteggia una parte
rilevante dell´odierno personale politico, caratterizzato sempre più da
una forte «disinvoltura» - per dirla con Alessandro Natta - e da una
debole coerenza sostanziale nell´esercizio della funzione dell´uomo
pubblico. Alcuni movimenti politici come la Lega hanno teorizzato e
praticato a tutto campo «disinvoltura» e «incoerenza», inaugurando un
nuovo modo di far politica che, nei cinque anni di berlusconismo, è
diventato devastante. E´ dilagata l´idea che il rapporto democratico
diritti-dirigenti si instaura esclusivamente attraverso la parola e
l´immagine mediatica - sempre più «volatili» perché sempre più funzioni
della «disinvoltura» e sempre meno della «responsabilità» - invece che
attraverso la concretezza dei fatti e delle azioni compiute e
verificate, che costringe l´uomo pubblico a rendere conto ai cittadini
sulla base della coerenza di comportamenti fra parole e fatti. Ma anche
a sinistra e nei DS che ne sono ancora la forza principale, su questo
punto c´è sovente un´opacità di idee e di comportamenti che a volte
lascia trasparire una sostanziale accettazione delle pratiche correnti.
La questione diventa più «pesante» se è estesa ad un altro aspetto. Oggi
l´uomo pubblico - e tanto più «chi entra in politica» - sembra sovente
poco attento a privilegiare l´interesse generale - e persino ad averne
un´esatta nozione - rispetto al proprio «particulare» ancorché
legittimo; scivolando così a volte in comportamenti che, pur non essendo
palesemente illegittimi, sono politicamente inaccettabili.
Ma anche quando non si giunga a ciò appare ormai
normale che la «carriera politica» sia concepita da troppi protagonisti
prima di tutto come un terreno di scambio con posizioni di potere
remunerate e a volte con favori.
Una delle conseguenze più gravi è l´assuefazione dei cittadini e
dell´opinione pubblica. Sovente si sente dire che ormai la politica è
questo e bisogna accettarla così com´è. Personalmente invece credo che
siamo in uno di quei momenti in cui sono i gruppi dirigenti, prima di
tutto quelli di sinistra, che devono farsi carico prioritariamente di
una battaglia culturale per il rinnovamento della odierna cultura che
sottende alla morale pubblica.
Si può discutere accademicamente se sia giusto perseguire una politica
che difende il territorio opponendosi all´attività costruttiva, sempre
gagliarda. Oppure una politica che favorisca e accompagni «la spinta a
costruire» di architetti e costruttori, fonte di modernità e di
ricchezza, come dicono i fautori del «fare», che si contrappongono ai
presunti fautori del «non fare», accusati d´immobilismo; i quali d´altra
parte - con molte ragioni chiedono una svolta rispetto al passato
recente e lontano.
Ma questa contrapposizione a me pare piuttosto verbale e mediatica. Se
si guarda ai fatti è difficile negare che - anche in Liguria - sono i
costruttori a prevalere. Sia pure con compromessi di diverso tipo, è il
loro modello di sviluppo che nella sostanza si è imposto e continua ad
imporsi largamente nel paese. In questa chiave - mi pare - va letta
anche la recente intervista del Sovrintendente Rossini.
Perché questo avviene? Si può rispondere puntando il dito sulla
prepotenza dei gruppi imprenditoriali interessati, o sulla acquiescenza
delle pubbliche amministrazioni. Forse è necessario andare più a fondo e
riconoscere intanto che non esiste un modello di sviluppo globale del
territorio e della sua utilizzazione ottimale, alternativo a quello
semplice ed elementare dei gruppi imprenditoriali fondato sul maggior
profitto possibile. Un mode11o di sviluppo che privilegi l´interesse
generale.
Tentativi importanti non sono mancati nei decenni passati. Nell´Emilia
del Pci con Cervellati per esempio. In Italia (e in Liguria) con
architetti ed urbanisti come Astengo, sostenuti politicamente dal Psi,
promotori di una riforma urbanistica, che rimuoveva prima di tutto il
peso insopportabile della rendita, per aprire una fase di reale
modernizzazione. La destra fondiaria e palazzinara, con il sostegno
della Democrazia Cristiana del tempo, affossò la riforma.
Ma queste esperienze pur importanti non sono riuscite a creare una
cultura diffusa e vincente del governo del territorio. Oggi le regioni e
i comuni, con i loro nuovi poteri, sono le istituzioni più direttamente
coinvolte su questo fronte. Ma non le vediamo - di norma - portatrici di
proposte autonome globali, forti culturalmente e politicamente con le
quali aprire il confronto con i privati sul proprio terreno. E´ ancora
l´imprenditoria privata che avanza proposte e progetti secondo la
filosofia che le è congeniale. E´ sul terreno dei privati che si giocano
le partite urbanistiche ed edificatorie; e su quel terreno intervengono
poi i poteri pubblici giocando di rimessa per così dire.
In conclusione a me pare che la questione posta da Angelini di «andare
oltre Ruggeri» riguardi certo le soluzioni umanistiche ed edificatorie
che hanno prevalso; ma assai di più il fatto che quelle soluzioni sono
apparse «imposte» ai poteri locali da coloro che le hanno ideate,
proposte, fatte accettare e poi realizzate. La questione su cui
riflettere è proprio questa: del potere. Chi deve decidere dell´uso del
territorio: i portatori degli interessi privati, per quanto importanti
ma sempre parziali o i poteri pubblici come espressione dell´interesse
generale e comune?
Giovanni Urbani
|