La Repubblica
Pubblico o privato il potere del cemento?
GIOVANNI URBANI

HO TROVATO stimolante la polemica sviluppatasi sulle pagine liguri di Repubblica, sulla presa di posizione dell´Assessore regionale Carlo Ruggeri contro l´eccessiva costruzione di case nei progetti dei porti turistici liguri. Ironicamente o sdegnosamente è stata notata la contraddizione fra «il dire» di oggi dell´Assessore e il suo «fare» di ieri in qualità di Sindaco di Savona, la quale naturalmente può suscitare dubbi in alcuni sulla credibilità della odierna conversione di Ruggeri alla tutela ambientale. Al di là dell´episodio, a me pare siano state toccate questioni generali rilevanti: la prima riguarda il modo in cui si atteggia una parte rilevante dell´odierno personale politico, caratterizzato sempre più da una forte «disinvoltura» - per dirla con Alessandro Natta - e da una debole coerenza sostanziale nell´esercizio della funzione dell´uomo pubblico. Alcuni movimenti politici come la Lega hanno teorizzato e praticato a tutto campo «disinvoltura» e «incoerenza», inaugurando un nuovo modo di far politica che, nei cinque anni di berlusconismo, è diventato devastante. E´ dilagata l´idea che il rapporto democratico diritti-dirigenti si instaura esclusivamente attraverso la parola e l´immagine mediatica - sempre più «volatili» perché sempre più funzioni della «disinvoltura» e sempre meno della «responsabilità» - invece che attraverso la concretezza dei fatti e delle azioni compiute e verificate, che costringe l´uomo pubblico a rendere conto ai cittadini sulla base della coerenza di comportamenti fra parole e fatti. Ma anche a sinistra e nei DS che ne sono ancora la forza principale, su questo punto c´è sovente un´opacità di idee e di comportamenti che a volte lascia trasparire una sostanziale accettazione delle pratiche correnti. La questione diventa più «pesante» se è estesa ad un altro aspetto. Oggi l´uomo pubblico - e tanto più «chi entra in politica» - sembra sovente poco attento a privilegiare l´interesse generale - e persino ad averne un´esatta nozione - rispetto al proprio «particulare» ancorché legittimo; scivolando così a volte in comportamenti che, pur non essendo palesemente illegittimi, sono politicamente inaccettabili.

Ma anche quando non si giunga a ciò appare ormai normale che la «carriera politica» sia concepita da troppi protagonisti prima di tutto come un terreno di scambio con posizioni di potere remunerate e a volte con favori.
Una delle conseguenze più gravi è l´assuefazione dei cittadini e dell´opinione pubblica. Sovente si sente dire che ormai la politica è questo e bisogna accettarla così com´è. Personalmente invece credo che siamo in uno di quei momenti in cui sono i gruppi dirigenti, prima di tutto quelli di sinistra, che devono farsi carico prioritariamente di una battaglia culturale per il rinnovamento della odierna cultura che sottende alla morale pubblica.
Si può discutere accademicamente se sia giusto perseguire una politica che difende il territorio opponendosi all´attività costruttiva, sempre gagliarda. Oppure una politica che favorisca e accompagni «la spinta a costruire» di architetti e costruttori, fonte di modernità e di ricchezza, come dicono i fautori del «fare», che si contrappongono ai presunti fautori del «non fare», accusati d´immobilismo; i quali d´altra parte - con molte ragioni chiedono una svolta rispetto al passato recente e lontano.
Ma questa contrapposizione a me pare piuttosto verbale e mediatica. Se si guarda ai fatti è difficile negare che - anche in Liguria - sono i costruttori a prevalere. Sia pure con compromessi di diverso tipo, è il loro modello di sviluppo che nella sostanza si è imposto e continua ad imporsi largamente nel paese. In questa chiave - mi pare - va letta anche la recente intervista del Sovrintendente Rossini.
Perché questo avviene? Si può rispondere puntando il dito sulla prepotenza dei gruppi imprenditoriali interessati, o sulla acquiescenza delle pubbliche amministrazioni. Forse è necessario andare più a fondo e riconoscere intanto che non esiste un modello di sviluppo globale del territorio e della sua utilizzazione ottimale, alternativo a quello semplice ed elementare dei gruppi imprenditoriali fondato sul maggior profitto possibile. Un mode11o di sviluppo che privilegi l´interesse generale.
Tentativi importanti non sono mancati nei decenni passati. Nell´Emilia del Pci con Cervellati per esempio. In Italia (e in Liguria) con architetti ed urbanisti come Astengo, sostenuti politicamente dal Psi, promotori di una riforma urbanistica, che rimuoveva prima di tutto il peso insopportabile della rendita, per aprire una fase di reale modernizzazione. La destra fondiaria e palazzinara, con il sostegno della Democrazia Cristiana del tempo, affossò la riforma.
Ma queste esperienze pur importanti non sono riuscite a creare una cultura diffusa e vincente del governo del territorio. Oggi le regioni e i comuni, con i loro nuovi poteri, sono le istituzioni più direttamente coinvolte su questo fronte. Ma non le vediamo - di norma - portatrici di proposte autonome globali, forti culturalmente e politicamente con le quali aprire il confronto con i privati sul proprio terreno. E´ ancora l´imprenditoria privata che avanza proposte e progetti secondo la filosofia che le è congeniale. E´ sul terreno dei privati che si giocano le partite urbanistiche ed edificatorie; e su quel terreno intervengono poi i poteri pubblici giocando di rimessa per così dire.
In conclusione a me pare che la questione posta da Angelini di «andare oltre Ruggeri» riguardi certo le soluzioni umanistiche ed edificatorie che hanno prevalso; ma assai di più il fatto che quelle soluzioni sono apparse «imposte» ai poteri locali da coloro che le hanno ideate, proposte, fatte accettare e poi realizzate. La questione su cui riflettere è proprio questa: del potere. Chi deve decidere dell´uso del territorio: i portatori degli interessi privati, per quanto importanti ma sempre parziali o i poteri pubblici come espressione dell´interesse generale e comune?
Giovanni Urbani