Essere giovani, ma in particolare essere giovani donne in certe parti del mondo, è veramente difficile 
Vivere ad Agadez

Margherita Pira

Sfogliando un settimanale, mi ha colpito una scritta in evidenza, virgolettata “Dici che nel tuo villaggio le donne non possono votare. Non è grave, nel mio non possono andare a scuola.”

Incuriosita, mi sono soffermata sul pezzo giornalistico. Era un reportage dal Niger di Sergio Ramazzotti intitolato “I ragazzi di Agadez” e trattava delle difficoltà di essere giovani in una città assediata dal Sahara. Le foto di Matilde Gattoni, scattate con estrema maestria, illustravano momenti di vita in quella città fuori dal mondo in cui nei giovani convivono il rispetto del sultano, l’adesione assoluta all’Islam, l’odio per gli americani, ma anche la soggezione ai miti dell’occidente e, paradossalmente, proprio dell’America.

Questi giovani, dell’età in cui qui da noi li definiremmo ragazzi o al massimo adolescenti , hanno come status – symbol il motorino dipinto a stelle e strisce, le Nike, anche se false.

Le foto che mi hanno lasciata più perplessa sono quelle delle donne. Ragazze molto belle con jeans enormi, tante catene al collo e calzate Nike, poste in contrapposizione con vecchi disapprovanti.

E nelle interviste le giovani parlavano della loro difficoltà a far accettare un comportamento considerato disdicevole dalla società.

Uscire di sera non accompagnata da uomini o studiare è considerato gravissimo. Si rischia di essere considerata una poco di buono.

La foto più significativa è quella di una ragazza in abito tradizionale che manda un sms dalla stanza della sposa, dove solo le donne possono entrare. Due civiltà coesistono in modo assurdo, ma evidente. 

Essere giovani, ma in particolare essere giovani donne in certe parti del mondo, è veramente difficile. 

Le intervistate, come i loro coetanei maschi, parlano della corruzione del governo, dello sfruttamento del lavoro minorile,dell’obbligo dei matrimoni forzati, dell’Aids, del fenomeno dei bambini di strada, delle mutilazioni degli organi genitali, della discriminazione sessuale. 

 Il collegamento che mi è venuto spontaneo è stato col pensiero dei clandestini che giungono quasi quotidianamente a Lampedusa, dopo un’odissea terribile in cui, spesso, molti perdono la vita. 

Quando vengono date queste notizie nei telegiornali, mi sorprende sempre la presenza di giovani donne in stato di avanzata gravidanza o coi figli piccoli.

Una madre istintivamente protegge i suoi cuccioli a tutti i livelli della catena animale. Dalla leonessa alla razza umana. Nessuna madre pone i suoi figli a rischio. Se lo fa ci deve essere un motivo terribile.

Le ragazze più evolute di Agadez non tentano la via del viaggio verso questa nostra Italia tanto vituperata, ma almeno da qualcuno considerata terra promessa. Si accontentano di odiare l’occidente, ma di farne propri i modelli di comportamento.

La loro nei confronti del proprio paese è critica,ma non raggiunge la disperazione. Probabilmente non vivono abbastanza male.

I dannati di Lampedusa sono ancora ad un gradino più basso. 

Quando sentiamo parlare dell’ennesima tragedia del mare e della disperazione, istintivamente diciamo: “Chi glielo ha fatto fare? Lo sanno a cosa vanno incontro.” E, altrettanto istintivamente ci difendiamo. Queste persone sono brutte, sporche, maleducate; si odiano fra loro e non di rado arrivano alla rissa e all’omicidio. Le cancelliamo dal nostro presente

Lo faccio anche io.

Quando i bimbi magrebini vogliono vendermi i fazzolettini di carta per la strada, li mando via. 

Una volta sono salita su un treno proveniente dalla riviera in estate.

Era zeppo di uomini e donne di tutte le razze.

Mi sono seduta e davanti a me c’era un vecchio che aveva posto i piedi sul sedile e si era messo a dormire.

Nel sonno si era rilassato e le rughe apparivano evidenti. Tante – tante rughe.

Cosa poteva aver spinto quel vecchio lontano dalla sua terra e dalla sua famiglia? Cosa poteva tenerlo in un paese abbastanza ostile, a vivere sfruttato da uomini senza scrupoli e a girare col carico della sua merce per le spiagge dove la gente si rilassa e si diverte? Sicuramente solo la disperazione. La stessa disperazione delle madri con i figli piccoli a Lampedusa

Ho cominciato a guardarlo con occhi diversi.  

Allora, anche perché sono tanto più numerosi di noi e tanti più prolifici e poi potrebbero rappresentare un pericolo, è meglio fare qualcosa prima che ci sommergano. Quindi, proprio per noi sarà meglio pensare a loro in altro modo. Forse è proprio in gioco la nostra stessa sopravvivenza.

Margherita Pira