Da una parte, in alcuni paesi, la tolleranza, la compiacenza. Si concedono con una certa liberalità licenze edilizie...in altri comuni, o addirittura in singole zone all’interno di un comune, prevale la rigidissima, quasi grottesca conservazione dell’ambiente, esibita come un vanto...
Il cemento e la collina-2 Dalle ville alle stalle

                                      di Nonna Abelarda      versione stampabile

 Mancanza di pianificazione, dicevo, e schizofrenia nel rapporto dei comuni dell’entroterra con l’edilizia abitativa.

Da una parte, in alcuni paesi, la tolleranza, la compiacenza. Si concedono con una certa liberalità licenze edilizie, quasi sempre per seconde case, e senza alcun criterio estetico di uniformità all’ambiente e allo stile locale. Si creano veri e propri sobborghi di costruzioni, divise a volte da microscopici giardinetti dove pericolosi cani da guardia si ringhiano minacciosi a vicenda.

Case semplici o pretenziose, dotate di ogni comfort, moderne,  ma asettiche e poco abitate, che si rianimano a tarda sera, al rientro di forzati del pendolarismo, oppure nei fine settimana o a stento un mesetto d’estate.

Case spesso e volentieri rimesse sul mercato, a prezzi sospettosamente abbordabili, e non per caso, quando ci si stufa delle gite in campagna o dei lunghi tortuosi tragitti giornalieri. Case che si riciclano, sempre più stanche e sempre più sbiadite, già arredate, con le prime crepe e i ragni e l’odore di stantio e la muffa negli armadi. Più che garantire un paese vivo e vitale, più che ripopolare la campagna, questi ammassi di costruzioni aggiunte a caso formano un’anonima e spenta periferia, lontanissima da qualsiasi centro e priva dei servizi essenziali. 

Da parte opposta, in altri comuni, o addirittura in singole zone all’interno di un comune, prevale la rigidissima, quasi grottesca conservazione dell’ambiente, esibita come un vanto. Regole ferree che è quasi impossibile rispettare,  che impediscono persino di ristrutturare con un minimo di vivibilità. Chi lo spiega a questi severi censori che se un tempo si usavano finestre strettissime per risparmiare calore e perché non si stava molto in casa, e non c’erano servizi igienici, e le solette erano di legno o canniccio, e non si intonacavano le pietre di stalle e seccatoi per risparmiare, ora non sarebbe più il caso di rispettare alla lettera queste tradizioni? 

Se ristrutturare è un problema, figurarsi costruire. Una licenza edilizia è un miraggio irraggiungibile al comune mortale . (Mentre pochi privilegiati hanno sempre, chissà perché, una corsia preferenziale).  Si potrebbe anche sopportare qualche disagio, se portasse almeno un vantaggio per l’ambiente.  Ma così non è. Regole troppo complicate sono di fatto inapplicabili,  producono solo caos, e orrori e abusi per certi versi ancora peggiori.

Prima conseguenza,  un mercato gonfiato di pochi ruderi cadenti e terreni edificabili venduti a peso d’oro, a prezzi che neanche a Portofino o a Cortina.

Seconda conseguenza, si applica il triste italico principio, per cui è molto più facile per il cittadino cercare di cavarsela aggirando le leggi, piuttosto che voler fare le cose in regola e sottostare a burocrazie e cavilli bizantini, sopportando mille fastidi magari senza riuscire a niente. Così, si edifica alla meno peggio sperando nel solito condono. Ecco spuntare “baracche” nell’orto, dove il legno si trasforma pian piano, miracolosamente, in cemento. Ecco i “ricoveri per attrezzi” autorizzati come tali, dove sul tetto spunta un’antenna parabolica e ci sono finestre e tendine. Il che ricorda molto quegli edifici anni ’60 in Piemonte, costruiti come “stalle”, in mattoni non intonacati, ma muniti di balconi.

E sempre parlando di estetica, la miope osservanza di certe regole produce altri mostri. Esempio, volendo ampliare un edificio dove vige il divieto di sopraelevare,  ci ritroviamo case che si estendono in larghezza, addossando stanze dai tetti piatti, seminterrate,  incassate nella collina a formare dei bunker ramificati. Così come il non poter cambiare forma alla casa o squadrare i tetti produce strane pendenze e disarmonie di falde contrastanti. E via, in un proliferare di mostruosità inutili. Si può immaginare il vantaggio estetico e l’equilibrio abitativo apportato  da tali precarie e spesso bizzarre costruzioni.

Ma quale, allora, la soluzione? Come salvaguardare l’ambiente e al tempo stesso garantire i diritti abitativi, e ripopolare dignitosamente le campagne?

La prossima settimana: Vivere il verde, non vivere nel verde

     Nonna Abelarda