versione stampabile

MA

Romanzo in dieci racconti di Gloria Bardi

C'è orecchio e orecchio, ovvero: dall'assoluto al relativo

All'epoca dei fatti di seguito narrati, Matilde Agosti Campochiesa La Loubatière non era ancora né Campochiesa né La Loubatière, dal momento che Stefano Campochiesa la Loubatière, figlio di donna Ines La Rocca, nobildonna sabauda, e del conte Tomaso,  non  era ancora comparso all’orizzonte.

Ora, la futura signora Campochiesa , nel corso della pensosa infanzia e della meditabonda adolescenza, aveva  dimostrato spiccate inclinazioni musicali, cui i genitori, prosaici com’ erano, non avevano dato adeguato rilievo.

Renato Agosti , essendo mercante, non poteva che fare orecchie da mercante, e in ciò bisogna comunque riconoscere che l'onesto padre di famiglia aveva sviluppato una singolare e cimentata abilità, che ne faceva non solo l'esecutore delle orecchie da mercante, non solo il possessore delle orecchie da mercante, a sventola per sovrappeso, ma l'incarnazione dell'idea stessa, platonicamente parlando, delle orecchie da mercante. E ciò non solo in quanto esercitava il mestiere di mercante ma in quanto esercitava quello di “marito dell’ Ernesta”. Quanto a costei, per fare orecchie da mercante alle immateriali aspirazioni della figlia non occorreva affatto essere mercante o altro, le era sufficiente essere naturalmente e semplicemente ciò che era: Ernesta Franzone in Agosti, sua madre.

Eppure Matilde bambina, Matildina, aveva più volte espresso attitudini musicali. Va detto che in casa Agosti troneggiava un pianoforte lasciato dai precedenti proprietari in quanto, in seguito a varie ristrutturazioni dell'appartamento, non aveva più potuto passare dalla porta. Matilde adolescente, Matildente, aveva chiesto espressamente di iscriversi a una scuola di musica ottenendo per tutta risposta da sua madre: "ma va via che sei stonata come una campana!", frase che le era risuonata come un'umiliazione cocente, che condensava tutta la disistima dei suoi verso le sue potenzialità. Il senso di tale umiliazione accompagnò tutta la sua giovinezza, fino ai vent'anni.

A quell'età, infatti, mentre percorreva la strada che dalla fermata del bus conduceva all'università, le accadde di scorgere la solita targa sul solito portone con la solita scritta insolita, in questo caso: "Aloisi Enrichetta. Soprano drammatico e maestra di canto".

Matilde ebbe un'illuminazione e vide in quella scritta sbiadita la luce della propria rivincita esistenziale e salì quelle scale proiettata in un sfida  a sua madre e al mondo: "ve la do io la campana!"

Fu cosi che, nel corso di quelle lezioni, emerse una sconvolgente realtà: Matilde Agosti era tra i pochi a possedere l'orecchio assoluto. Era in grado cioè di identificare una nota al primo suono e presto imparò a trascriverla sul pentagramma, ritrovandosi così collega di Strauss.

Matilde Agosti, in meno di un anno, imparò a suonare accettabilmente il pianoforte, a cantare, diaframma e muscoli obliqui compresi, e soprattutto scrisse canzoni, ballate, brevi intermezzi, ninna-nanne. Piccole cose ma bisogna pur tener conto del fatto che Strauss aveva alle spalle ben altra famiglia!

Ora, chi tra coloro che non sanno suonare, in vista di un pianoforte, meglio se a coda,  non si è per un istante lasciato andare al sogno impossibile di essere in realtà, all'insaputa perfino dei più intimi, un perfetto Chopin e di poter sorprendere il mondo sedendosi allo strumento e liberando agilissime dita su un'empatica tastiera in arabeschi di virtuosismi?

Chi non lo ha mai sognato?  In ogni caso, se non lo ha mai sognato nessuno, Matilde sì. Spesso. Per poi dover ogni volta riconoscere che il tempo è irreversibile e non è possibile modificare le premesse. Insomma se avesse messo mano alla tastiera, avrebbe rimediato la solita figura da scema, con la solita sottolineatura materna!

Ebbene, già alle prime lezioni,  grazie ai gridolini entusiasti che Aloisi Enrichetta, soprano drammatico e maestra di canto, emetteva a ogni suo minimo progresso, a Matilde fu chiaro che il suo sogno poteva diventare realtà: la figlia di Ernesta Franzone in Agosti e di Renato Agosti, commerciante di stoffe, avrebbe potuto sedersi a quel beato pianoforte e prendersi una rivincita su chi non aveva creduto in lei e non aveva raccolto il suo talento musicale.

Badò che nulla trapelasse dei suoi esercizi, dei suoi progressi e soprattutto del suo ineguagliabile dono: l'orecchio assoluto, e attese un'occasione ufficiale, pubblica, di famiglia, perché era la famiglia in quanto realtà biologica storica e pedagogica, a essere chiamata in causa da lei.

Certo, all'attenta Ernesta Franzone in Agosti non erano sfuggiti gli strani traffici della sua unica prole, dietro ai quali credette di individuare una qualche tresca sentimentale con un certo Aristotele, più volte nominato su una specie di diario (gli appunti universitari di filosofia teoretica) che la volpona aveva scritto in codice. Aveva perfino allertato il consorte: "stiamo all'occhio, Renato, qui gatta ci cova", fornendogli in realtà una preziosa occasione per esercitare la raffinata arte del fare orecchie da mercante. Infatti l'appello di Ernesta, rivolgendosi all'occhio, lasciava piena libertà di coscienza (leggi: incoscienza) alle orecchie.

Nel frattempo, mentre il tempo scorreva sotto lo sguardo vigile degli Agosti, l'occasione tanto attesa da Matilde si presentò a sorpresa con le nozze impreviste di Francesco Franzone, detto Franzo, suo cugino, con Conny Cosenza, detta Conza, sua ex-compagna di liceo e prima della classe, particolare da non trascurarsi nell'ottica revanchista di Matilde.

Per la verità, il piano rischiò più volte il naufragio, a causa di una intermittente crisi di coscienza di Franzo, incerto se sposare Conza o fondare un movimento politico di estrema sinistra, e una  grippe spirituale di Conza, incerta se sposare Franzo o entrare nell'ordine delle Carmelitane scalze.

Alla fine tutto si sistemò, anche grazie ad un proprio intervento opportunisticamente pacificatore, di cui Matilde non avrebbe mai cessato di sentirsi in colpa, visto com’è andata a finire.

Ma non anticipiamo:  come che fu come che non fu, il "sì" venne pronunciato alla bellemeglio da un Franzo frangibile, trovandosi  inginocchiato come un diacono dinanzi alla Roma dei papi, lui che era un materialista storico, e da una Conza scalza ma inscalzabile nel pretendere il rito religioso. In quel preciso istante, Matilde Agosti con solennità da teatro si avvicinò all'armonium, pose le mani sui tasti e, accompagnandosi, intonò un canto non ben identificato, secondo alcuni aveva dell' “Ave Maria”, secondo altri de "La montanara uè si sente cantare".

Qualunque cosa fosse,  matilde l’ eseguì con una voce forse non ancora del tutto messa a punto ma non priva di una sua particolare armonica dolcezza, che forse non si può proprio definire 'dolcezza'. E forse nemmeno 'armonica'. A questo punto non resta che un aggettivo: 'particolare', e lo era senz'altro tanto che, strano ma vero, piacque, sissignori, forse non a Franzo che la trovò troppo calda e forse non a Conza, che la trovò troppo fredda - con buona pace di Matilde quei due non erano fatti per intendersi. Piacque a lei: Ernesta Franzone in Agosti, sua madre, che, letteralmente rapita dai vocalizzi, un tantino fuori tempo, della sua unica e tanto a lungo incompresa figlia, elaborò, per la prima volta in vita sua e con uno sforzo lodevole -non le veniva affatto naturale - uno sguardo complicatissimo: interrogativo, ammirativo e in aggiunta autocritico.

Lo elaborò e lo ruotò, lentamente per non perderlo, fino a incontrare quello di Renato Agosti, suo marito, che, manco a dirlo, stava facendo orecchie da mercante e non aveva udito nulla, tutto intento a navigare mentalmente tra le pezzature di velluto, che stavano per subire un nuovo rincaro dell'IVA, col viso preimpostato al sorriso commosso e un po' allocchito dell'invitato tipo al matrimonio tipo.

"Ma sei proprio un bel tipo, Renato!": il pover'uomo, sentendosi così apostrofare da Ernesta Franzone in Agosti  -il calcione ricevuto nello stinco gli rese impossibile fare orecchie d. m.-, temette di non essere abbastanza entrato nel personaggio. Aggravò allora la sua posizione mimico-facciale sforzandosi di entrarvi maggiormente, commuovendo ed allocchendo ulteriormente il suo sorriso,già insuperabile, e finendo per deformarlo in una sorta di ghigno arcigno, che ottenne per tutta risposta da una colpevolizzante Ernesta una frase davvero sibillina, pronunciata con crescendo drammatico dalla prima all'ultima parola: "e pensare che tu (sic!) l'hai sempre ritenuta stonata come una campana". E su "campana" giù lacrime.  Al che il buon commerciante di stoffe osservò bonario: "Via, Ernesta, se fai così per un nipote cosa farai quando si sposerà tua figlia? Ti farai venire un coccolone?".

Tutto ciò mentre la cerimonia nuziale era stata interrotta, col prete che era riuscito a stento a trattenere la  benedizione rombante al box di partenza,  Franzo e Conza tutti presi da una discussione che, partita dal carattere caldo o freddo della voce di Matilde, era scivolata sul significato del caldo e freddo in generale, sulle relative valenze metaforiche, e quindi sul confronto tra passione e raziocinio ecc ecc ecc.

Non dimentichiamo che Franzo era cugino di Matilde e Conza ne era stata compagna di banco al liceo: certe sindromi non si improvvisano!

All'ultima nota emessa da Matilde, che stava cantando da dieci minuti dieci, una parte della chiesa era intenta a dormire, una parte a gridare "forza Franzo", una parte "forza Conza". Allora vi fu chi rispose: "Amen", e chi invece: "cantiam la montanara per chi non la sa", ed era il ramo bergamasco della famiglia.

"Coccolone? Se sposerà un allocco come suo padre sì", fu, in tanto marasma, la lucida risposta di Ernesta Franzoni alla domanda di Renato Agosti, suo marito, che se non altro, e se l'ornitologia non è un'opinione (del resto se non lo è la matematica non si vede perché dovrebbe esserlo l'ornitologia) lo rinfrancò nella consapevolezza che quello che lui stava facendo poco prima era proprio il sorriso giusto.

Le nozze andarono al diavolo, nel momento in cui la discussione su freddo e caldo, dopo varie svirgole dialettiche, fece loro scoprire che uno dormiva con piumone e termosifone acceso laddove l'altra praticava la libera finestra dicembrina. Quell’episodio rimase però negli annali di famiglia  come il momento della rivelazione, e da allora Matilde fu gettonatissima, soprattutto nelle famiglie degli Alpini, come esecutrice di Ave Marie montanare ai matrimoni.

Strano destino per un'agnostica anarchica anticlericale e antimilitarista, ma tale da consentirle di guadagnare due soldi per pagarsi l'abbonamento al Manifesto e dare il proprio personale contributo al travaso di risorse finanziarie dall'una parte politica all'altra.

Quanto ai coniugi Agosti, contrariamente alla loro abitudine e attitudine, meditarono e rifletterono sull'episodio, ciascuno per proprio conto e senza lasciar trapelare nulla all'altro e tanto meno a Matilde, loro sorprendente risultante genetica.

Il fatto è che mamma Ernesta e papà Renato erano due brave persone e per le brave persone arriva prima o poi il momento in cui ci si rende conto di non poter essere superficiali e di doversi guardare dentro. Siccome poi, in genere, le brave persone godono di una naturale predisposizione a un candido egocentrismo, fu più verso se stessi che verso Matilde che riuscirono a sentirsi in colpa.

Insomma, il rovello era il seguente: "come può Matilde, l'artista Matilde, essere nostra figlia?"

Renato Agosti escluse a priori la possibilità che sua figlia potesse non essere sua figlia, e ciò non solo per l’indubitabile fedeltà di Ernesta, ma soprattutto per l'ancora più impercorribile ipotesi che la ruspante consorte potesse avvertire attrazioni fatali per artisti o simili. Escluse poi, e a maggior ragione, la possibilità che Matilde potesse aver ereditato dall’ Ernesta stessa qualsivoglia predisposizione al sublime. Gli rimase una sola ipotesi: se la genetica non è un'opinione (e se non lo sono la matematica e l'ornitologia non si vede perché dovrebbe esserlo la genetica) era da lui, il padre, che Matilde aveva ereditato quello spirito musicale che lui tuttavia non si era mai accorto di possedere.

Non parlava mica a vanvera Nietzsche quando allo spirito della musica faceva risalire la nascita della tragedia, perlomeno quella personale non tanto di Renato Agosti, non tanto della famiglia Agosti, quanto dei suoi vicini di casa.

Il brav'uomo si convinse di avere grandi e inespresse potenzialità musicali e di avere il dovere verso se stesso  verso il Buon Dio che tali doni gli aveva fatto, di darvi adeguato sviluppo.

Così, non appena gli riusciva di ritrovarsi solo in casa, quatto quatto Renato si sedeva al pianoforte e posava le tozze dita sulla tastiera, nella speranza che qualcosa accadesse. Siccome però non accadeva nulla, si procurò un libricino dal titolo "pianisti in un mese" e prese a fare quotidianamente ripetuti esercizi. Intanto, che non avesse l'orecchio assoluto fu subito evidente, ma, Renato osservò, ciò di per sé non escludeva niente, dal momento che anche l'orecchio più assolutamente assoluto (Dio, se la logica Matilde avesse potuto leggergli nel pensiero!) subisce danni irreversibili a venir usato da anni come orecchio da mercante. Non escludeva ma era sufficiente a ridimensionare gli obiettivi e far scendere dal piano dell'assoluto a quello del relativo.

Ciò che invece rimaneva assoluto era il fastidio cui venivano sottoposti i già citati vicini di casa, incapaci di cogliere il peso delle omissioni della famiglia Agosti, tanto più che  non appena a uscire di casa era Renato, le cose invece di migliorare peggioravano perché al pianoforte si fiondava Ernesta Franzone in Agosti, sua moglie, mossa dalle sue identiche valutazioni a proposito dell'orecchio assoluto della propria prole, ma con esito deduttivo contrario: "non l'avrà certo ereditato da quel rinsordito di suo padre!" Ergo: se non era lui doveva trattarsi di lei!

Ernesta Franzone affrontava la tastiera come si affronta un grizzly: solo se il verbo "suonare" viene preso nell'accezione figurata, corrispondente a: "malmenare, prendere a botte", si può dire di lei che suonasse il pianoforte. Diversamente andrebbe meglio: "stuprare". Quanto all'orecchio assoluto, lei era convinta di averlo senz'altro e che fossero le note a essere sbagliate!

Nel domestico universo cacofonico degli Agosti si aggiravano con discrezione senile due tenere figure di nonna: Sabatella Franzone, detta nonna Sabata, zia di Ernesta, e Domenichina Dominici in Agosti, detta nonna Domenica, madre di Renato, da qualche tempo accolte tra le mura figliali di casa Agosti, che tuttavia furono risparmiate dal destino, perché entrambe godevano del beneficio della sordità, a riprova ulteriore che a questo mondo tutto è relativo. Comunque, per non correre rischi avevano aiutato la natura con dei tappi di ovatta, perché un conto è sentici male un conto è volersene!

E le due nonnine, opportunamente stappate e interrogate, negarono risolutamente di aver notato, nel corso dell'infanzia dei loro malassortiti discendenti, una qualche predisposizione musicale, nemmeno un tamburo improvvisato nemmeno due coperchi di pentola suonati con sentimento. Ma ciò ottenne solamente l'effetto che Renato ed Ernesta si sentirono appartenenti al sottoinsieme umano "con infanzia difficile", dove raggiunsero, una volta nella vita, la propria troppo impegnativa figliola.

Alla fine, Matilde fu affrontata dagli esasperati vicini di casa, i quali la credevano unica e sola colpevole di una simile purga sonora  che produceva perfino effetti collaterali, nel senso che si manifestavano contemporaneamente sui vicini del lato destro e sui vicini del lato sinistro. Si trattava di nausee, cefalee, secchezza delle fauci, sbalzi i pressione, attacchi di schizofrenia, innescarsi di dinamiche suicide.

Matilde, costernata, si precipitò in casa e capì. Un'assurda successione di note raggiunse, ahi, dolore!, il suo orecchio assoluto e le si appiccicò come vischio moschicida nel sistema timpanico. Lei non arretrò e,  stile Indiana Jones, si inoltrò verso il salotto, fino al mattino “il caro buon salotto”, dove lo vide: al pianoforte, fino al mattino “il caro buon pianoforte”, sedeva suo padre e suonava re mi fa mi sol la cantando la fa mi sol mi re: e quello era stato fino al mattino “il caro buon papà”.

Il resto della storia emerse grazie alla testimonianza di nonna Sabata e nonna Domenica, che messe assieme facevano "weekend", e non mancò di suscitare emozioni contrastanti in Matilde, che quella sera stessa decise di parlare col cuore in mano ai suoi  genitori pieni di insospettate risorse. Ma anche in quell'occasione Matilde Agosti si riconfermò Matilde Agosti e tra le tante cose che avrebbe voluto potuto dovuto dire, riuscì a dire solo questo: "come avete fatto a pensare di poter risalire dall'atto alla potenza? Ma, dico, Aristotele sarà pure qualcuno!". E se ne andò sbattendo la porta.

Solo Ernesta Franzone in Agosti si degnò di rispondere, gridandole dietro: "da un po' di tempo tu frequenti ragazzi che non mi piacciono!". Intanto Renato Agosti aveva ripreso, riconciliato con se stesso e il mondo, a fare orecchie da mercante, immerso nel giornale, anche quando sua moglie rincalzò, con il solito stile: "il ganzo di sua figlia vuole passare dalla potenza all'atto e lui che fa? L'occhio da allocco".

Stavolta l'occhio? Questa, se la signora permette, è un'altra storia e forse addirittura un altro libro.