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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Hippopotamii

Parte prima 

Ho híppos ho potámios oppure hippopotámios in gr.: “il cavallo del fiume”, in lat. hippopotamius (equus fluvialis in AMBROS. in hexaem. V 1, 4), da cui le lingue moderne, ma i Tedeschi dicono Nilpferd, il “cavallo del Nilo”.

La prima testimonianza in Erodoto (II 71), che scrive: 

I cavalli di fiume sono sacri nel distretto di Papremide [ignoto, cfr. HER. II 59 e 63, secondo Kees ad est di Damanhur, sacro ad un dio identificato con Ares, che dovrebbe essere Shu-Onuris], ma non nel resto d’Egitto. Hanno quest’aspetto: quadrupedi, coll’unghia fessa come i bovini, il muso rincagnato, una criniera equina, i denti protrusi, coda e voce di cavallo, grandi quanto può esserlo al massimo un bue. La pelle è tanto spessa che, disseccata, se ne fanno aste di lance. 

Spiegare le assurdità di questo capitolo non è difficile: poiché Porfirio nel perì toû kléptas eînai toùs Héllēnas (Della disonestà dei Greci) scrive espressamente (ap. EUS. praep. ev. X 3, 13) che Erodoto l’ha copiato da Ecateo, non resta che supporre che entrambi non vedessero di persona gli animali, né si dessero la pena di controllare, rispettivamente, ciò che uno copiava e che l’altro malintendeva dall’interprete, giacché è impensabile che i dettagli corrispondano a caratteristiche reali del tempo in cui fu redatto il testo.

Per di piú, sembra che gli esemplari antichi somigliassero molto agli attuali, classificati nell’ordine degli artiodattili e nella famiglia degli ippopotamidi in due specie: Hippopotamus amphibius, l’ippopotamo tout court, circa centocinquantasettemila individui alla fine del 2002 nelle zone lacustri dell’Africa orientale e centrale, ove ha dato nome ad uno stato (mali infatti in lingua bambara significa “ippopotamo”), e Choeropsis liberiensis, l’ippopotamo pigmeo delle foreste pluviali dell’Africa orientale, circa tremila a fine 2002.

In età preistorica vivevano anche in Asia e in Europa, i tipi nani nelle isole mediterranee (Sicilia, Sardegna, Corsica, Malta e Cipro), donde furono sterminati all’inizio del Mesolitico, quelli giganti in Italia, in Alvernia e nell’Inghilterra meridionale, scomparsi nel Musteriano, in Africa si estinsero piú o meno nello stesso periodo. Anche l’anfibio prosperava in un habitat molto piú vasto, come mostrano i graffiti di Tassili n’Ajjer e forse la notizia pliniana (V 10) che il Bambotus, ossia il Niger o il Senegal, pullulava d’ippopotami e coccodrilli.

Da Erodoto le sciocchezze passarono ad Aristotele (hist. an. 502a9-15), che comunque non poteva controllare e si fidò: 

L’ippopotamo d’Egitto ha una criniera simile a quella di una cavallo, lo zoccolo fesso come il bue e il muso rincagnato. Ha pure un astragalo come gli animali collo zoccolo fesso, e denti aguzzi sporgenti, coda di porco, emette un verso come un nitrito. È grande quanto un asino. La pelle è così spessa che se ne fanno lance. Gli organi interni sono simili a quelli di un cavallo e di un asino. 

Quanto non corrisponde, e cioè che abbia l’astragalo, la coda di porco e rassomigli nelle dimensioni e negli organi interni ad un asino, ho troppo rispetto per il Filosofo per pensare che l’abbia aggiunto lui di sua iniziativa, perciò si dovrà ammettere un’altra fonte ignota, anche orale.

Da Aristotele a Plinio (VIII 95), che invece poteva controllare, almeno per sentito dire, visto che gli animali furono talvolta esibiti nei sanguinari divertimenti della plebe romana, come nota lui stesso (VIII 96: durante l’edilità curule di Scauro nel 58a, inoltre sotto Augusto -CASS. DION. LI 2, 5- e Nerone -CALP. SIC. VI 66-; anche i mosaici della Casa del Fauno e di Palestrina e le pitture parietali pompeiane testimoniano una conoscenza migliore), ma non lo fece, limitandosi a parafrasare: 

Sempre nel Nilo vive un altro animale selvatico, d’altezza maggiore [del coccodrillo]: è l’ippopotamo, che presenta zoccolo fesso come i bovini, groppa criniera e nitrito di cavallo, muso rincagnato, coda e zanne adunche pari a quelle dei cinghiali ma meno dannose, cute impenetrabile a meno che non venga bagnata, adatta per farne scudi ed elmi. 

Poi continua: si nutre di coltivi, che ispeziona il giorno precedente, colla cautela di camminare all’indietro, fingendo d’arrivare dai campi e non dal fiume, per evitare che i contadini gli tendano trappole. Questa frottola durò molto a lungo: 

Dum segetem pascit retro uestigia ducit

retia tendenti sic deficit ordo sequendi

(THEODERICUS TRUDONENSIS, De mirabilibus mundi, 90-1). 

Una descrizione di codeste trappole in [EUSTATH.?], in hexaem. 727-8. Plinio seguita coll’indicazione già ricordata dei primi ludi circenses, infine la strampalata notizia che, quando ha mangiato troppo, si pratica un salasso incidendosi una vena della zampa con uno spuntone di canna palustre, come un bravo medico ippocratico.

L’unica cosa giusta è la devastazione delle messi, chiara anche a Diodoro (I 35, 9-10), che condusse allo sterminio dell’animale. Nel Nilo navigavano infatti apposite barche di ramponieri che, quando emergeva, lo circondavano e lo colpivano da ogni parte con delle sgorbie uncinate, a una delle quali era legato un canapone, poi aspettavano che si dissanguasse (DIOD. loc. cit.). Infatti, a quanto si racconta, il re degli Hyksos, Apopi (r. 1585-42 a. C. ca.), si lamentava per lettera presso il faraone Seqenenre di non aver potuto dormire nel suo palazzo di Avari nel Delta a causa dei ruggiti degl’ippopotami nella sacra peschiera di Tebe: 

Ora, quanto / a re A[pophis], la pace sia con lui, era suo desiderio in[viare] una provocatoria lettera <a> re Seqenenre, [la pace sia con lui, il] Principe della Città Meridionale. E d[opo] che per molti giorni vi ebbe pensato, re [Apophis, la pace sia con lui,] fece allora convocare [gli alti dignitar]i del suo [palazzo], [e propose loro che un messaggero fosse] mandato [al Principe della Città Meridionale, con] una lamentela ... [riguardo al] fiume, [ma non era capace di scriverla lui stesso. Perciò i suoi] scribi e sapienti ... e alti dignitari [dissero: “O So]vrano, [nostro Signore, chiedi che vi sia un ritiro] degli ippopotami [dal] canale [che si trova ad est della città, perché] non lasciano [che il sonno venga a noi né durante il giorno né la not]te, [poiché il rumore] di loro è <nell’> orecchio dei nostri cittadini”. 

La storia, assurda visto che le due città distavano qualche centinaio di chilometri, fu inventata alla fine della XIX dinastia (circa il 1200), per celebrare la liberazione dagli Hyksos (ERMAN-RANKE-EGGEBRECHT, Ägypten und ägyptisches Leben im Altertum, rist. anast. dell’ed. del 1923), ma ciò nulla toglie al valore della testimonianza.

Al contrario venti secoli piú tardi Ammiano Marcellino, che a differenza d’Isidoro (or. XII 6, 21: “et nunc Nilus gignit”) conosceva la situazione reale, dopo aver ripreso le sciocchezze delle orme a ritroso e del salasso (XXII 15, 22-3), scriverà (24): 

Queste fiere mostruose, un tempo rare, furono viste per la prima volta dai Romani durante l’edilità di Scauro [riprende la notizia da PLIN. VIII 96, cit.], padre del celebre Scauro difeso da Cicerone nell’orazione in cui tra l’altro prescrive ai Sardi di uniformare all’opinione comune i loro sentimenti verso quella nobile famiglia [allude alla per noi frammentaria Pro Scauro del 54a, ma pasticcia, perché l’accusato è lo stesso che diede gli spettacoli: SMITH, Dictionary of Greek and Roman Biography, s. v. “Scaurus”], in sèguito furon portate a Roma più volte, ed ora non si trovano più da nessuna parte poiché, a quanto ritengono gli abitanti di quelle regioni, infastidite dal gran numero di cacciatori furono costrette a migrare nel territorio dei Blemmi [una tribú etiopica come i Marziani d’oggi, si diceva ad es. che non avessero testa, ma qui significa solo la Nubia, ossia il Sudan]. 

 

MISERRIMUS