La scuola c' è, resiste, insiste e consiste. di Sergio Giuliani versione stampabile |
Cominciò la litania delle colpe: alla politica, al sindacato, ai prof, ai ragazzi, ai genitori perché nessuno di questi settori era più eguale a se stesso: e come avrebbe potuto? Aperto, giustamente, l'uscio della scuola di "massa" (non più di "classe", e non è differenza da poco!), per tanti, tanti motivi, tutti imputabili alla velocità del mutamento o, il che è la stessa, alla lentezza del mutare delle istituzioni, si perse la rotta fino ad allora seguita: selezione tra i prof e tra gli alunni ( e nessuno rimpiange bocciature o concorsi faticosissimi ed aridi, perché nulla avevano di didattico) e si navigò a vista per rimediare.
Il processo, difficoltoso, certo, e capito fino in fondo da pochi (i più preferirono borbottare sui meriti del passato e dar facili colpe a qualche componente, come se i grandi processi sociali si potessero frenare ed incanalare!) è stato lungo e dura tuttora, con alcuni punti che restano sì irrisolti, ma sono di difficile, se non di impossibile soluzione.
Ed eccone alcuni:
1) come qualificare e giudicare gli insegnanti?
Chi dovrebbero
essere i giudici, e di che cosa?
"Cultura", abilità didattica,
capacità di giudicare senza paraocchi, ma soltanto dopo matura
riflessione?
2) Quale "cultura" porgere? Quella di soltanto pochi anni fa o quella odierna, bidimensionale e che arpeggia soltanto tra informatica, inglese (si fa per dire!) e sms?
Come e perché contrastarla, se sembra essere il modulo di intesa dei rapporti economici, produttivi e sociali del futuro prossimo?
3)
Come e perché evitare all' istituzione scuola il colpo di spazzola che s' annuncia, proprio in queste ore, ferocissimo per tutti, se
vogliamo restare o, meglio, ritornare nei parametri europei?
E una
scuola con sempre minori risorse è ancora tale o siamo molto vicini
al limite del suo collasso come istituzione delegata alla"formazione" dell'individuo?
4) come vedono la scuola i genitori? Essi che ormai vivono con angoscia il futuro dei loro figli, sanno che passa appena per la scuola, e che comincia dopo di essa. Non solo il diploma delle superiori, ma addirittura la laurea non garantiscono, come avveniva fino a non molti anni fa, una sistemazione e questo dato di fatto non può non far sentire al genitore la scuola come un contenitore precario e limitato nel tempo che incide soltanto inizialmente sul percorso, tutto da svolgere in seguito, verso un lavoro sicuro. Sarebbe opportuno riprendere il concetto di "individualismo proprietario" di cui si è detto tempo fa per capire come un figlio appaia ai genitori un bene non in assoluto, ma nel mercato, da caricare di valori venali. E questo in perfetta buona fede!
Eppure, malgrado tutto questo, malgrado gli sproloqui libreschi della Mastrocola che con la disfunzione scolastica si è fatta nome e vendite, la scuola c' è, resiste, insiste e consiste.
Basta, come fa un distillatore, saper tagliare le "teste" e le "code" e conservare quel vasto, anonimo corpo pieno di respiro che è fatto di genitori intelligenti e comprensivi, oltre che rispettosi, di professori "vocati" e quotidianamente messi alla prova ed efficienti e di giovani che non aspettano altro che si parli loro di qualcosa che li attragga e questo qualcosa, spesso, è su tutte le cattedre e in tutte, proprio tutte, le discipline.
Smettiamola con le questioni malposte: genitori ficcanaso e supponenti, professori poco motivati e capricciosi, "ragazzacci" che non trattengono le sacre nozioni trasmesse ce ne sono di certo. Ma sono una minoranza; più piccola assai di quella che vuol fare dell' Italia un insieme di "Principati di Seborga".
Ma la scuola, quella zitta, quella che trova la propria indispensabile dignità nel lavorare, quella c'è. Non schiamazza e la vede soltanto chi ha gli occhi veri.
Sergio Giuliani