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Votare NO al referendum sulla devolution 

Com’è noto il 25 e 26 giugno prossimi gli italiani saranno ancora chiamati alle urne per il referendum sulla devolution. La devolution è solo una delle tanti leggi (Bossi-Fini, Riforma Moratti, Legge Biagi, e via discorrendo) promulgate dallo sciagurato governo berlusconiano, alle quali vanno aggiunte le numerose leggi ad personam (riccam, aggiungo). Ma, in quanto a pericolosità, mi sembra che la riforma della Costituzione sia quella più pericolosa oltre ad essere un vero e proprio tributo a Umberto Bossi e alla sua Lega, in cambio della fedeltà.

Questo referendum potrebbe essere un’occasione in più per far capire a tutti che anche con il voto si possono cambiare le cose. Anche perché si tratta di un referendum confermativo e non abrogativo. Dov’è la differenza?

Con referendum abrogativo (quello, tanto per intenderci) utilizzato per l’aborto, il divorzio, contro il nucleare e il finanziamento pubblico ai partiti, per non citarne che alcuni, l’elettore viene chiamato a esprimersi sull’abrogazione (=cancellazione) di una legge o parte di essa (e la domanda di rito che veniva stampata sulla scheda, cominciava più o meno così: “volete voi che siano abrogate…”). È per questo motivo che votare sì significava voler abrogare una legge; Votare NO significava lasciarla così com’era.

Al contrario, il referendum confermativo (utilizzato solo una volta, in occasione della riforma del titolo V della Costituzione) è, come dice la parola, una conferma del testo normativo sottoposto alla consultazione. Per cui votare sì significa confermare il testo –nel nostro caso- la devolution; votare NO vuol dire cancellare la norma in oggetto.

Vediamo ora perché bisogna votare NO. Riprendo il seguente testo dal sito www.salviamolacostitutzione.it. Lo scritto riporta il decalogo dell’onorevole Calderoli (incredibilmente ministro della Repubblica, fino a pochi giorni fa), uno dei saggi (si sono autodefiniti tali) di Lorenzago, e quindi uno dei padri della riforma costituzionale e  del contro decalogo di Leopoldo Elia, noto costituzionalista:

decalogo della riforma costituzionale

di Roberto Calderoli

Contro decalogo della riforma costituzionale di Leopoldo Elia

I viene ridotto il numero dei parlamentari: da 950 a 773, con significativo risparmio per le finanze pubbliche.

I La riduzione del numero dei parlamentari viene rinviata al 2016 per favorire gli attuali capi e capetti. Nel lungo periodo c’è tempo anche per ridurre la riduzione; per ora c’è l’effetto di annuncio demagogico.

II Saranno i cittadini, e non più i palazzi della politica a scegliere la maggioranza parlamentare, la coalizione di governo e primo ministro: è il premierato.

II Il premierato non consiste nella investitura popolare di una maggioranza parlamentare, di una coalizione di governo e Primo Ministro. Ciò avviene già in Inghilterra, in Germania e in Spagna e anche in Italia: è sufficiente perciò una buona legge elettorale. Il premierato della riforma si fonda sulla insostituibilità del Primo ministro durante tutta la legislatura e sui suoi enormi poteri (scioglimento della Camera dei deputati e questione di fiducia che, in caso di rifiuto da parte della stessa Camera, provoca nuove elezioni).

III Non più due Camere identiche, l’una doppione dell’altra. Ora il Senato sarà federale ed avrà una sua funzione specifica: rappresentare le esigenze delle Regioni. La Camera si occuperà di quelle dello Stato.

III Il Senato federale non risolve il problema del bicameralismo perché non è in grado, per la sua composizione, di rappresentare le esigenze delle Regioni: d’altra parte i veri rappresentanti delle comunità regionale non hanno diritto di voto nelle deliberazioni del Senato.

IV Semplificato il procedimento legislativo: non più lunghi e ripetuti passaggi di testi fra le due Camere, ma ciascuna camera approverà le leggi nelle materie di propria competenza. Il risultato sarà la riduzione dei tempi e dei costi per le casse pubbliche.

IV Il procedimento legislativo è straordinariamente complicato perché la prevalenza della Camera  del Senato si fonda sulla competenza a legiferare per singole materie dello Stato e delle Regioni; siccome i confini di tali materie danno luogo a gravi dubbi interpretativi (su quali deve intervenire sempre più spesso la Corte Costituzionale) è ovvia la ricaduta di tali incertezze sulle attribuzioni legislative di ciascuna Camera, specie nelle leggi, come quella finanziaria, di particolare complessità. La cancellazione del rapporto fiduciario tra Senato e governo sarebbe positiva solo se accompagnata da una chiara ripartizione di poteri tra una Camera di rappresentanza nazionale e una Camera veramente rappresentativa degli enti e delle comunità regionali e locali.

V La legge dovrà stabilire limiti al cumulo delle indennità parlamentari con altre entrate.

V La previsione di una legge che stabilisca limiti al cumulo delle indennità parlamentari con altre entrate non risolve il problema del conflitto di interessi che dovrebbe essere superato con regole giuste di incompatibilità e ineleggibilità anche in relazione a concessioni o autorizzazioni statali di notevole entità economica.

VI I regolamenti parlamentari dovranno tutelare i diritti delle opposizioni: ora questo non è previsto.

VI Il problema delle garanzie dell’opposizione non si risolve con un generico rinvio ai regolamenti parlamentari, essendo necessarie puntuali revisioni costituzionali (ad esempio, attribuzione alla Corte costituzionale, in ultima istanza, dell’esame dei ricorsi elettorali per Camera e Senato).

VII L’ordinamento evolve in senso federale, come sta avvenendo in molti Stati moderni: viene riequilibrato il riparto delle competenze tra Stato e Regioni per garantire migliori servizi ai cittadini, senza compromettere l’unità del Paese. Alle Regioni vengono devolute particolari funzioni in materia di istruzione, sanità e polizia locale. Tutte avranno le stesse opportunità[1], senza penalizzazioni per alcune aree rispetto ad altre e senza la differenziazione tra le Regioni, prevista dalla riforma del 2001. si avrà quindi un federalismo equo, solidale e equilibrato.

VII La devoluzione alle regioni di particolari funzioni in materia di istruzione, sanità e sicurezza è pericolosa, anche perché si accompagna ad una competenza esclusiva dello Stato e delle regioni nelle stesse materie. Tale duplicità è illogica e può arrecare gravi danni all’esercizio (o godimento) di diritti fondamentali (livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale). Si avrà quindi un federalismo iniquo, conflittuale e squilibrato

VIII Tutte le leggi regionali dovranno rispettare il criterio dell’interesse nazionale, non più previsto a seguito della riforma del 2001.

VIII L’interesse nazionale è ampiamente salvaguardato dal riparto delle competenze tra Stato e regioni e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha interpretato la riforma del Titolo V (voluta dal Centrosinistra e confermata dal Referendum, n.d.A.) in senso pienamente rispettoso dell’interesse della Nazione.

IX Sulle modifiche alla Costituzione sarà sempre possibile chiamare i cittadini ad esprimersi, mentre ora ciò non avviene se tali modifiche sono state apportate con la maggioranza dei due terzi.

IX L’abrogazione della norma che collega al raggiungimento dei due terzi in sede parlamentare l’esclusione della richiesta di referendum sui testi di revisione costituzionale (articolo 138 della Costituzione) va giudicata negativamente perché disincentiva quelle larghe intese che a parole tutti auspicano per l’adozione di modifiche alla Costituzione.

X Aumentano le garanzie per i comuni e le province, gli enti più vicini ai cittadini: potranno ricorrere alla Corte costituzionale in caso di lesione delle proprie competenze.

X Il ricorso diretto alla Corte costituzionale dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane (articolo 46 della Riforma) per sollevare questioni di legittimità costituzionale su leggi o atti aventi forza di legge statali e regionali ritenuti lesivi di competenze costituzionalmente attribuite agli enti locali appare oggi un puro effetto annuncio perché la disciplina del ricorso è rinviata ad una legge costituzionale (condizioni, forme e termini di proponibilità della questione) di incerta adozione, nel se e nel quando.

 

Un’ultima osservazione: la devolution è stata fortemente voluta da una delle formazioni politiche a carattere razzista e xenofobo tra quelle sedute in Parlamento. La stessa formazione auspica la costituzione di una presunta entità statale che non è mai esistita, fino a quando Bossi non l’ ha evocata dalle profondità della sua fantasia. Ma ciò che più preoccupa è che la Lega incarna il ventre molle del nostro paese (quello egoista, razzista e qualunquista) e che la cultura (per usare un termine forte) del suo gruppo dirigente esprime valori che sono il contrario di quelli che dovrebbe essere dominanti in un paese che si definisce civile. Basti leggere un discorso di Borghezio o di Gentilini, per farsene un’idea.

Quindi, votare NO al referendum del 25 giugno significa dire NO alla follia leghista, NO alla destra secessionista e localista, egoista e xenofoba. Per la costruzione di una società libera e solidale, occorre votare NO al referendum! 

Giuliano Falco


[1] Se Calderoli avesse letto don Milani, saprebbe che non c’è nulla di più ingiusto che far parti eguali fra diseguali (per il discorso sulla devolution, basti pensare alle regioni ricche e alle regioni povere del nostro paese…