BIOPOLITICA
La Biopolitica israeliana

I punti di contatto tra la politica adottata dagli israeliani e quella tipicamente nazista ci sono eccome

                          di GIULIO MAGNO    versione stampabile

Una recente vignetta sul quotidiano “Liberazione” (20 maggio) aveva scatenato una ridda di polemiche, avendo rappresentato un campo profughi palestinese come un campo di concentramento.

La risposta della redazione, in persona di Sansonetti, alla lettera sdegnata di un sopravvissuto all’Olocausto, conteneva alcune affermazioni, che mi spingono a sostenere polemicamente una tesi che, lo so, non piacerà a molti.

Nella risposta, il giornalista di Liberazione affermava che “sarebbe pura follia antisemita pensare che il popolo ebraico oggi si comporti come i nazisti ieri” e che “non ha nessun senso logico e nessunissimo fondamento storico accostare l’oscena barbarie nazista …..con gli errori, le violenze e io credo, talvolta con i veri e propri delitti commessi dal governo israeliano

Analizziamo appunto queste affermazioni, peraltro seguite, ad onor del vero, da una non certo fumosa condanna dell’operato israeliano in Medio Oriente.

Dal punto di vista biopolitico, in realtà, i punti di contatto tra la politica adottata dagli israeliani e quella tipicamente nazista ci sono eccome. Premetto, a scanso di fraintendimenti, che non sono antisemita, come non sono anti-niente semplicemente perché sono privo di credo religioso.

Chiarisco anche come non sia accettabile confondere il termine israeliano con quello di ebreo, come non si può identificare l’israeliano con il sionista.

Molti israeliani si dichiarano apertamente in contrasto con la politica espressa dai vari governi del loro paese, soprattutto per la parte che riguarda la ricerca di una soluzione alla “questione mediorientale”.

Chiariti questi punti, vado a cercare di dimostrare la fondatezza, tutta da verificare, della mia affermazione precedente.

Il governo di Adolf Hitler, sin dai suoi primissimi atti, si adoperò per realizzare il programma del partito nazionalsocialista del quale era l’espressione: la separazione delle razze inferiori da quella pura germanica, l’unica da preservare al riparo da ogni “inquinamento” razziale. Le motivazioni di carattere eugenetico (di miglioramento del patrimonio genetico) furono all’origine del disprezzo con il quale il nazismo si rapportava con le razze inferiori, ma non solo: il nazismo considerava pericolosi gli oppositori politici (ai quali arrivò a diagnosticare l’infermità mentale per le proprie scelte), gli omosessuali, gli zingari.

La base ideologica di tali scelte era l’ossessione di preservare la germanicità da altri caratteri non desiderati.

Israele non ha, ovviamente, le medesime argomentazioni ideologiche, né presunte “verginità” genetiche da preservare, e qui l’accostamento sarebbe  francamente impossibile e realmente viziato da follia antisemita.

Ma è nella prassi che escono le sorprese. Escludiamo il concetto di “soluzione finale”, cioè della volontà di eliminare fisicamente le razze inferiori su scala industriale, perché, in origine, contrariamente a quanto si pensa diffusamente, tale soluzione (che venne caldeggiata da Hitler nel suo Mein  Kampf),  si concretizzò solo nel 1942, dopo le grandi conquiste territoriali del nazismo ad est, con conseguente enorme numero di deportati slavi, zingari ed ebrei, nonché comunisti (anche quelli sono stati eliminati sistematicamente).

Sino ad allora non si sapeva bene cosa fare delle popolazioni dei territori occupati, al punto che ci fu chi suggerì la deportazione in Madagascar.

Inoltre, questo elemento, peculiare della dominazione tedesca in Europa, tende a fagocitare in sé l’idea stessa di Nazismo, che invece, a ben vedere, fu un fenomeno variegato e composto da molteplici elementi.

Gli industriali che appoggiarono il partito nazionalsocialista, per esempio, sin dalle origini non erano affatto interessati alle sorti delle razze inferiori, perché non consideravano le folli elucubrazioni di Hitler sul complotto ebraico.

Il razzismo, soprattutto l’antisemitismo, in Europa c’era sempre stato: una malapianta diffusa, difficile da estirpare, a partire dalla Gran Bretagna e dalla Francia.

Non stupisce perciò di certo la mancanza di un qualche pudore da parte della classe imprenditoriale tedesca, bene al corrente dei vantaggi concreti derivanti da una politica imperialista come quella proposta dal nuovo protagonista della scena politica, soprattutto se ascriveva i comunisti tra gli elementi da eliminare o rieducare in qualche struttura organizzata. 

Posto da parte quindi l’elemento tanatologico del nazismo, possiamo senz’altro esaminare quelli che non esito a definire indicatori,peraltro comuni a tutte le occupazioni militari.

Ad esempio, si può sottolineare il soffocamento sistematico dell’economia palestinese, privata di sbocchi verso l’esterno, ormai ridotta ad un’esistenza legata esclusivamente agli aiuti provenienti dall’estero, e la necessità di acquistare solo i prodotti di Israele;

la parcellizzazione dei territori lasciati sotto il controllo del paese invaso (ma è poi controllo, con i soldati di un paese straniero che presidiano le strade?) in una miriade di enclaves separate tra loro;

la costruzione continua di colonie in sprezzo di ogni accordo, con la sottrazione delle terre migliori, delle fonti d’acqua (hanno deviato persino un fiume), delle vie di comunicazione, interdette agli arabi;

la sistematica negazione dei diritti di assistenza, istruzione, accesso ai luoghi di lavoro, mediante l’estenuante obbligo di superare decine di check-points per ogni viaggio che si deve intraprendere;

la creazione, forzata, di un serbatoio di forza lavoro a basso prezzo a favore dell’economia del paese occupante (i lavoratori palestinesi in Israele guadagnano molto meno dei loro colleghi israeliani);

la separazione di fatto tra due popoli mediante un muro che, guarda caso, insiste sul territorio del popolo occupato, tagliando in due villaggi, separando i ragazzi dalle loro scuole, le famiglie dalle famiglie;

per non parlare delle “esecuzioni mirate”, che se non fanno danni gravissimi per errore, costituiscono veri e propri assassinii perpetrati nei confronti di responsabili politici;

le azioni di rastrellamento delle colonie, come quella di Jenin, dove i morti non si poterono contare perché gli israeliani impedirono l’accesso alle associazioni non governative;

il rifiuto sistematico di adeguarsi alle 14 risoluzioni dell’Onu (senza contare quelle alle quali è stato opposto il veto dagli Americani, che non si contano), o di accettare la presenza di forze d’interposizione (caschi blu o soldati dell’Unione Europea). 

I nazisti in cosa differirono?

Negli anni del loro dominio le popolazioni occupate subirono la spoliazione sistematica delle loro economie, il furto delle risorse naturali, qualora presenti, la loro ghettizzazione culturale, in modo da assicurarsi il risultato di un livello di istruzione medio della popolazione che non risultasse pericoloso, la deportazione di intere comunità con successive “iniezioni” di coloni tedeschi (si veda per la Polonia dopo l’occupazione, ma ancor prima per i territori contesi e poi acquistati senza sparare un colpo negli anni prima del conflitto mondiale), l’eliminazione fisica degli oppositori politici mediante l’esilio, l’internamento o l’assassinio, l’uso sistematico della manodopera non tedesca ingaggiata ad un prezzo molto inferiore a quello corrisposto ai lavoratori germanici (successe anche a molti nostri connazionali, dopo l’armistizio).

I Paesi occupati semplicemente cessavano di esistere, divenivano province.

Ma questi elementi, queste azioni sono comuni a molte dominazioni militari.

È vero, ma vi è una peculiarità.

Ecco, di tutti i punti “qualificanti” le occupazioni militari, (al di là della volontà scientifica, non occasionale, dell’annientamento di massa progettato su scala e con metodi industriali, connotante il solo Terzo Reich),  mi preoccupa l’unico veramente comune al nazismo e alla politica israeliana in Medio Oriente: la fame di terra. Quella che i nazisti avevano chiamato Spazio Vitale, necessario per la creazione della Grande Germania.

In Israele, una parte della classe politica al potere crede sia possibile e necessario creare il Grande Israele di biblica memoria, ampliando i confini mediante l’annessione di territori che vanno anche al di là di quelli, (per più del cinquanta per cento ormai considerati già madrepatria da molti coloni), che la tregua del 1967 aveva assegnato ai palestinesi.

Questa fame di terra, vero e proprio spazio vitale per un paese che come Israele vede la propria popolazione ingrossarsi ogni anno a causa della forte immigrazione dai paesi dell’Est, si pone come il più serio ostacolo alla pace in Palestina, il più dirompente argomento politico con il quale ogni candidato alle elezioni israeliane deve fare i conti, in modo da non toccare il Grande Tabù del ritiro dalle colonie. Sarebbe come se ai nazisti del ’38 si fosse imposto di rinunciare ai territori dei Sudeti.

Per questo motivo assistiamo impotenti ad un genocidio, anzi, ad uno genostillicidio, con morti quotidiane di innocenti, da una parte e dall’altra, per colpa delle bombe, e, sullo sfondo, l’agonia di un popolo vinto la cui popolazione è quasi tutta raccolta in immensi ghetti, assediati dalla povertà e dalla mancanza di risorse.

Alla prossima settimana.

Giulio Magno