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Si è chiusa la Mostra "Le Cartoline della Valle Letimbro"

Tante persone in questi giorni hanno visitando la mostra organizzata da Antonio Vitiello con la collaborazione di Fulvio Parodi, picchi si sono registrati nei giorni festivi, mentre alcune scolaresche della zona hanno "studiato" la propria storia in modo diverso, guardandola con gli occhi di un fotografo. Mi piace immaginare quest'uomo fornito di una primitiva macchina fotografica e del suo trepide, forse vestito con la giacca di tutti i giorni e l'immancabile cappello che, ignaro dell'importanza del suo gesto, consegna alla storia le sue immagini.

Pubblichiamo l'introduzione al catalogo del Dott. Antonio Delfino.  Un testo interessante e scorrevole


Nella foto il dott. Antonio Delfino intento a spiegare alcuni particolari delle cartoline esposte.

Introduzione 

I nostri tempi, dominati da quei ritmi sempre più rapidi che la tecnologia ci permette e talora ci impone, sono caratterizzati dai continui adeguamenti dello stile di vita che di conseguenza ne derivano e non sembrano ideali per la riflessione. Trascinati in avanti dal nostro attivismo e impegnati a soddisfare le nostre esigenze personali quasi mai avvertiamo la necessità di una salutare sosta per riconsiderare le nostre radici e meditare sulla storia passata. Al più ne scorriamo le testimonianze con distrazione e con quell’atteggiamento troppo poco attento che non ci permette di cogliere l’essenza delle cose: le nostre frettolose impressioni non possono quindi che risultare superficiali, persino errate. Le mostre documentarie, in particolare quelle che ci avvicinano alla storia con l’immediatezza dello sguardo, costituiscono un’occasione irripetibile per ripensare fatti e aspetti del quotidiano che diamo spesso per scontati.

Potrà forse capitare, ad esempio, di commentare con ammiccante ironia il soggetto della cartolina spedita esattamente cent’anni fa che è posta sulla locandina e sul frontespizio del catalogo di questa rassegna. La scena di argomento ferroviario rappresenta, attraverso un disegno di impostazione fumettistica, un treno in attesa di partire sul quale saliranno verosimilmente i due passeggeri, un paludato signore e un’elegante signora con cappellino, con al seguito le loro valigie goffamente trasportate da un portabagagli. Il quadro è completato da una scritta aggiuntiva dove le parole «…a grande velocità…» preannunziano l’avvenimento, pure suggerito in modo esplicito dalla sbuffante locomotiva, il cui standard di affidabilità non sarà stato per nulla disprezzabile; il tutto sotto lo sguardo altero e compiaciuto di Vittorio Emanuele III effigiato sul francobollo. Il messaggio di questa cartolina è piuttosto chiaro al di là dell’apparente semplicità della realizzazione: il mezzo di trasporto, che facilita i collegamenti e i contatti tra realtà diverse e luoghi lontani, è qui al completo servizio del pellegrino religioso e per sottolineare più efficacemente questo fatto si ricorre ad un curioso montaggio iconografico raffigurando la mèta del pellegrinaggio sulla parte anteriore della locomotiva, in una sorta di commistione tra sfera religiosa, rappresentata dalla facciata del Santuario, e mondo secolare, rappresentato dalla ferrovia che del progresso moderno è stato forse uno dei simboli più amati.

L’idea del ‘trasporto’ insito nella vignetta sopra descritta, improntato a situazioni e sensazioni varie, collima con la fondamentale funzione della cartolina in quanto strumento di scambio contemporaneamente verbale e visivo tra persone più o meno distanti fra loro. Ma se è il mittente a formulare il tipo di messaggio personale da trasmettere, il supporto stesso sul quale egli scrive si fa veicolo presso il destinatario di una immagine preesistente dalla tipologia ben precisa scelta tra le tante disponibili. Lo status di documento visivo rimane comunque inalterato anche in assenza di effettiva spedizione postale ed è questo l’aspetto che solitamente viene privilegiato in una raccolta di cartoline.

Nella presente mostra ne sono esposte centosettantacinque inerenti la valle del Letimbro che Antonio Vitiello ha raccolto in molti anni di appassionate e faticose ricerche. Si può ritenere al momento che questo insieme di cartoline costituisca nel suo genere, entro un certo limite cronologico, la più completa documentazione visiva riguardante questa area geografica del Savonese e nello stesso tempo la più ampia campionatura di oggetti collezionabili e/o spedibili per posta che si sono resi disponibili nell’arco di circa un secolo su questo tema. Oltre all’assodato valore intrinseco, la loro importanza non sfuggirà a coloro che si interessano di argomenti storici e culturali in genere. Queste immagini, però, mantengono soprattutto uno straordinario valore affettivo non solo per gli abitanti della valle e di tutta la città, ma anche per tutti quelli che, venendo da fuori e da molto lontano, hanno trascorso solo qualche momento o un po’ di tempo nella particolare atmosfera di questi luoghi. Vi sono testimoniati momenti di storia e di fede profondamente radicati nel vissuto collettivo e questo vero e proprio ‘viaggio’ nella memoria si svolge, passo dopo passo, lungo tutta la valle dalle porte di Savona fino all’oltregiogo appenninico.

La sezione iniziale esplora il borgo di Lavagnola, sia percorrendo la via centrale animata da carri trainati da cavalli sia soffermandosi sul greto del fiume nel quale un tempo le donne andavano a fare il bucato; risulta pure ben rappresentato l’antico complesso monumentale di S. Dalmazio, mentre l’imponente caseggiato della centrale elettrica Negri, ultima propaggine dell’attività industriale cittadina, anche nel ridotto spazio di una cartolina si trova a delimitare un confine ideale oltre il quale la natura sembra riappropriarsi dei suoi spazi e dei suoi cicli. Tra questi fenomeni sono le devastanti alluvioni che segnano più in profondità la storia vecchia e recente della valle: immortalata in un gruppo di impressionanti foto, l’inondazione del 1920 irrompe tra le case e gli abitanti che si fanno ritrarre nell’acqua limacciosa con aria di sfida e con la certezza di un rapido ritorno alla normalità sembrano volerci ricordare come l’acqua costituisca nel bene e nel male un elemento determinante nella vita di questa zona. I primi gruppi di fiduciosi pellegrini che attraversano l’abitato cominciano ad animare la strada verso l’interno, preludio di quelle lunghe e frequenti processioni che si snodano lungo le curve della strada alla lenta cadenza delle numerose cappelle votive. La frenetica animazione che poi si avverte intorno alla chiesa di S. Bernardo, all’approssimarsi del traguardo, è occasione di qualche posa più studiata. Il Santuario della Madonna della Misericordia si sente già vicino e le massicce proporzioni dell’Ospizio campeggiano in numerose cartoline dove, nonostante le differenti angolature, è però immancabile la presenza di quel “fiumicello” (così denominato nella lapide commemorativa dentro al Santuario) che fece da incantevole scenario al miracolo del 18 marzo 1536 quando la Vergine apparve ad Antonio Botta.

Ma la sapiente regia dei curatori della mostra sembra ritardare volutamente l’attraversamento del ponte per condurre invece il visitatore nei luoghi che circondano la chiesa vera e propria e così soffermarsi sulle immediate alture con la Cappella della Crocetta, la linea ferroviaria, il padiglione Noceto e le abitazioni sparse tra il verde. Prima di entrare nella piazza del Santuario l’intero complesso ci si offre in ampie e ripetute vedute panoramiche che fanno apprezzare come gli architetti dell’epoca ne abbiano perseguito con costante premura l’armonioso inserimento urbanistico nella natura circostante. Le colline e i boschi sono la cornice perfetta per favorire una sosta riposante e la rigogliosa vegetazione mai mancante in nessuna inquadratura è quella che offre il gradito riparo dal sole dell’estate dopo il lungo cammino.

Già dalle affollatissime visuali della piazza, dominata dall’elegante facciata del primo Seicento, si comprende come l’evento dell’Apparizione abbia determinato la storia di questo luogo e come tutto, le persone, gli avvenimenti, gli edifici, ruoti attorno alla devozione mariana e da essa tragga motivo di esistere. È su questa piazza racchiusa tra severe costruzioni che si appunta nel tempo l’obiettivo dei vari fotografi ed è questo il soggetto per antonomasia che viene riprodotto per chissà quante volte sulle cartoline che poi girano il mondo. Cifra costante che si integra indissolubilmente alla bellezza artistica dei monumenti è sempre la presenza delle persone, dalle poche unità alle folle straboccanti inserite in contesti privati come in avvenimenti ufficiali, ed è il pulsare del vivere insieme in una comunione di fede che rende unico questo spazio, fino a diventare uno dei luoghi di maggiore aggregazione non solo per i savonesi ma anche per molti forestieri. Molto della vita passata è stato qui fissato in immagini per un ricordo: innumerevoli volti, ora festanti ora in fiera posa, tante processioni, dove non mancano mai le lodi cantate e i gruppi musicali bandistici, ma anche carri, cavalli, automobili e corriere (la famosa «Savona–Santuario»), cose della vita quotidiana che più di qualsiasi altra ci danno un’immediata misura del tempo. Per contrasto l’interno del Santuario, e cioè la navata centrale, l’altare maggiore con gli apparati ornamentali e le varie opere d’arte, sono rappresentate, salvo qualche rara eccezione, sempre senza fedeli; in ragione della sacralità del luogo si vuole che anche l’immagine suggerisca un rispettoso silenzio, condizione necessaria per il raccoglimento in preghiera: anche un’umile cartolina sembra poter ispirare stati d’animo e sentimenti così alti.

Le ultime vedute ci conducono d’obbligo negli spazi aperti delle colline più alte dove S. Bartolomeo del Bosco e Naso di Gatto, località notoriamente legate alle riunioni conviviali e alle scampagnate in allegria, non appaiono solo come l’ultima tappa di un percorso lungo una qualsiasi valle dell’entroterra ma sono il degno coronamento di un itinerario spirituale nella storia e nell’identità delle nostre genti e di noi tutti. 

  Antonio Delfino     Docente Università di Pavia