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UOMINI E BESTIE

4: Il sacrificio cruento in Grecia 

Hydria ionica a FN, 525-500a ca., Roma, Museo di Villa Giulia 

1.               Il sacrificio festivo (thysía, thŷma, hierón; charistē’ria di ringraziamento, sōtē’ria di salvazione, epiníkia di vittoria, sphágion privato, olókausta o thysíai ágeustoi quelli in cui la vittima era arsa tutta senz’esser mangiata, trittýs lat. suovetaurilia ossia di un maiale una pecora e un toro), terminato da un banchetto comune, cominciava di solito colla cerimonia dell’abluzione (chérnips, lat. malluvia), ignorata qui dal pittore: il ministro del rito (hieréus, hierurgós) si lava le mani ed asperge l’ara (bōmós) e la vittima (hiereîon) inghirlandata (estephanoménon) coll’acqua di un bacile (cherníbion) portato da un inserviente, mentre un secondo cava da un canestro (kanoûn), a volte retto da una ragazza (kanēphóros), alcuni chicchi d’orzo misti a sale (olaí, oulóchytai, lat. mola) e li getta nel fuoco acceso sull’altare, alla presenza d’un flautista (aulētē’s) e d’altri che tengono fra le mani coppe (kýlikes, kántharoi, phiálai, skýphoi) e brocche (oinochóai, hydríai, kálpides, kérama, amphoreîs, pelíkai) per le libazioni (spondaí, loibaí) di vino e ogni altro uso, o assistono semplicemente.

2.               L’officiante recide col coltello da scannare (sphagís, máchaira) un ciuffo di peli dalla fronte della vittima, suina ovina o bovina, violandone in tal modo simbolicamente l’integrità per consacrarla al dio destinatario del sacrificio e prepararne la violazione reale.

3.               La vittima viene immobilizzata, secondo le dimensioni da più aiutanti, e colpita dal beccaio (boutýpos, mágeiros, ártamos) col coltello o coll’ascia (axínē), il sangue raccolto in un recipiente (sphageîon).

4.               A questo punto comincia la narrazione del registro superiore del nostro vaso, che figura un sacrificio a Dioniso, come indicato dalla decorazione, composta di pampini, tralci, viticci, grappoli, foglie d’edera e quarti d’animali. All’estremità sinistra, fuori della fotografia, accanto ad una scena di sgozzamento che appartiene alla fase precedente, due macellai tengono sospeso da terra e divaricato per le zampe un capride supino, mentre un terzo lo squarta per estrarne le viscere (splágchna): qui solo quello che impugna le zampe posteriori dell’animale è visibile, di schiena al seguente, un servo nudo come tutti gli altri partecipanti di rango inferiore che procede verso l’ara protendendo colla sinistra la phiálē e colla destra reggendo l’oinochóē, terzo di un piccolo corteo, preceduto dal flautista mantellato, a sua volta dal sacerdote anch’egli mantellato col kántharos nella destra e la sinistra levata in atto di preghiera.

5.               Frattanto alla gran vampa dell’ara tre schiavi splagchnóptai arrostiscono su schidioni (obeloí) le viscere (polmoni, fegato, cuore, reni), che il rito imponeva fossero consumate per prime.

6.               Manca ora per scelta del decoratore la parte del sacrificio riservata al dio o agli dèi destinatari, cui venivano arse completamente sull’altare le ossa femorali (mēría) della bestia avvolte nel grasso insieme colle interiora, e separatamente il portacoda (osphŷs); spesso insieme si bruciavano focacce di farina impastate con olio e vino o miele (pē’mmata, thylē’mata). L’arsione delle interiora aveva anche scopo divinatorio.

7.               Un inserviente attinge con un ramaiolo (torýnē) da un’anfora posta su di un supporto il vino, che travaserà nella kýlix per poi versarlo sull’altare in onore del dio.

8.               Un altro, dopo aver immerso i tagli di carne nell’acqua bollente di un caldaio bronzeo (lébēs) a tre piedi (il terzo invisibile perché nascosto dalle braci), li estrae quando lessi con un puntone e li pone su di un piatto (lekánē, lopás).

9.               Due servitori si purificano del sangue versato in una vasca (loutē’r).

10.          Altri due raccolgono da un piatto su un tavolino a tre zampe i pezzi di carne lessa e li infilzano negli spiedi, per esser poi portati sul luogo del banchetto e distribuiti (kreanoméō) ai commensali secondo una rigida gerarchia, che riservava ai notabili le parti migliori (o che gli Antichi tali ritenevano): cosce, testa, lingua, pelle.

11.          Nell’ultima scena due personaggi: quello a sinistra, l’unico visibile nella fotografia, compie un atto indecifrabile perché la pittura è danneggiata, il secondo accosciato attizza il fuoco con un mantice.

MISERRIMUS